giovedì 8 dicembre 2022
mercoledì 7 dicembre 2022
Instaurare omnia in Christo (di Giovanni Tortelli)
C’è
un Io lirico che attraversa tutte le opere di Pucci Cipriani, specchio
della sua stessa essenza di uomo che gli permette di vivere la vita con
l’entusiasmo del giovane, con la lucida cognizione del saggio e con la
perseveranza del forte.
Se
poi il lirismo di Pucci Cipriani è per sua natura inscindibilmente connesso
alla religiosità convinta del christifidelis, possiamo concludere che
tutta la vita del professor Pucci Cipriani è la testimonianza stessa dei valori
assoluti dell’autentico cattolicesimo romano.
Quest’ultimo
saggio (Pucci Cipriani, La Messa clandestina, “Mira il tuo popolo”,
Solfanelli 2022) - che l’Autore ci regala nell’imminenza di questo Santo
Natale, nella solennità dell’Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo, che
cambiò il senso della storia dell’uomo - traluce dei valori assoluti vissuti da
Pucci e che egli ci trasmette con generosità, un insegnamento dal quale ciascuno
di noi potrà trarre la propria lezione ma di cui dobbiamo fin d’ora essergli
riconoscenti: una lezione di fede autentica vissuta sul luogo stesso del
Sacrificio, cioè sull’altare nella Santa Messa di sempre; una lezione di fede
assoluta nella missione salvifica della Santa Chiesa apostolica romana come
unica depositaria della Rivelazione; una lezione di fede cattolica nell’ordine
della creazione e quindi nella gerarchia «mensura,
numero et pondere»
(Sap. 11,20) di tutte le cose; una lezione di culto nel paschale sacramentum
della liturgia perché nel culto, e solo nel culto liturgico, il cattolicesimo
possiede e conserva integra la sua complessa unità. Nella teologia il
cattolicesimo possiede la sua dottrina, ma nel culto liturgico il cattolicesimo
possiede tutto se stesso.
Questo
di Pucci Cipriani è appunto un saggio liturgico. Non dico la lettura, che pure
è esaltante, ma la sua attenta comprensione e meditazione è già un’orazione di
lode e di ringraziamento al Signore.
Voglio
dire che con questo libro, Pucci Cipriani ci consegna un chiaro invito ad
adorare Nostro Signore in tutte le cose.
La
liturgia corre parallela al tempo, non a caso si parla di “tempi liturgici”, e
come dicono Giovanni Pallanti nella bella presentazione e Ascanio Ruschi nella
sua eloquente prefazione, il tempo, legato ai mesi e alle stagioni dell’anno, è
il grande protagonista di queste pagine. Purché si concepisca questo tempo come
tempo religioso, la vera chiave di volta per comprendere - e dare il senso
proprio che loro compete - alle memorie scelte dall’Autore per queste pagine.
Pucci
Cipriani ci introduce dolcemente nel mistero cristiano della vita quotidiana,
nel mistero cristiano che è soprattutto mistero liturgico che ammanta e ordina
tutte le cose, perché solo attraverso la liturgia - che la Tradizione ha
affidato alla Chiesa - possiamo veramente trovare la via della salvezza
indicataci dal Signore: Instaurare omnia in Christo.
In
queste pagine la mente umana abbraccia la vastità del piano di Dio e su questo
piano si dispiegano i ricordi e i valori assoluti di fedeltà e di amore alla
Chiesa che Pucci ci ha trasmesso in tutte le sue opere, soprattutto con la
testimonianza della sua vita. Qui i ricordi sono come i grani di un rosario che
l’Autore recita con la fede tranquilla di chi osserva le cose sotto il segno
della divina carità.
Borgo
San Lorenzo, l’amato borgo natìo. Quel giovane studente camerte, oggi
sacerdote, regala ai fedeli convenuti alla Villa “Gli Ochi”, quell’assaggio di
Paradiso – così lo chiama l’Autore, ed è vero – che è la Messa solenne in rito
romano antico. La delizia dei luoghi si incontra con l’Autore della Creazione
in un mirabile connubio di Grazia e di Natura.
Da
qui il titolo del saggio: una Messa per pochi, quasi catacombale, lontana dagli
edifici di culto ufficiali dai quali è purtroppo bandita da sessant’anni, da
quella disgraziata riforma liturgica che volle la protestantizzazione del rito a
fondamento della Chiesa. È nella Messa di sempre che la Chiesa trova e ha
sempre trovato la sua essenza identitaria.
Da
qui, l’occasione per parlare delle “Insorgenze” in terra di Mugello scoppiate
fra il 1796 e il 1799 contro le truppe francesi è ghiotta, e il professor
Cipriani non se la lascia scappare: quadri e scenari di una religiosità
campestre che si tradusse in difesa della propria confessione cattolica, a
monito per tutte le generazioni, soprattutto per quel piccolo resto delle
generazioni future, a cominciare da quelle attuali, che lo sapranno cogliere. Un
lavoro oltretutto meritorio, quello di Pucci Cipriani, ché altrimenti tante
memorie locali sarebbero cancellate dai libri di storia.
“Cacciati
i francesi – ma presto ritorneranno! – si fece festa nel Mugello e nella Val di
Sieve. La popolazione si riversò nelle chiese dove vene cantato il Te Deum
di ringraziamento e aretini e popolani della terra di Giotto e dell’Angelico
ringraziarono anche la Madonna del Conforto …”. Come si vede, non solo la
natura con le sue bellezze della Creazione, ma anche la storia si riconnette
alla liturgia, ed è logico: la venuta di Gesù Cristo segna la fine dei tempi e
tutte le cose, anche la storia, hanno origine e fine in Lui e a Lui vanno
ricondotte, perché Cristo è la vita del mondo e tutto il mondo e tutta la
storia vivono il mistero di Cristo come un mistero pasquale, cioè come un
“passaggio” dalla legge alla libertà, dalla morte alla vita, dalla terra al
cielo.
Semplicemente
commovente il resoconto della visita della Madonna di Fatima a Luco di Mugello,
le parole dell’Autore riescono a rendere perfettamente l’atmosfera di festa ma
anche di commozione che colpiva tutti quelli che ammiravano quella santa
immagine incoronata. Tutta la campagna, e poi le strade di Luco e la chiesa
festante risuonava di “Ave Maria!” e di inni alla Vergine Madre. La folla
faceva ressa per entrare dentro la chiesa e davanti ai confessionali sostavano
file di fedeli in attesa del proprio turno. Quale miracolo più grande poteva
fare Maria se non quello di spingere i suoi figli prediletti a chiedere perdono
e a riconquistare la perduta Grazia, segno della potenza rigenerante e
salvifica che la Chiesa elargisce ai suoi fedeli tramite i segni liturgici
della penitenza, della lode, del ringraziamento e dell’impetrazione.
Libro
prezioso, questo di Pucci Cipriani, per darne conto in qualche modo in una
recensione dovremmo soffermarci su ogni singolo capitolo, su ogni singola
pagina, sui rimandi letterari, di storia nazionale e locale, sulle curiosità,
che le annotazioni dell’Autore offrono abbondanza. Dalle campane del campanile
longobardo di Borgo san Lorenzo, all’importanza liturgica delle campane,
annunciatrici di gioie e dolori, di nascite e di morti: “Quanto più bello e
umano dunque non nascondere la morte, ma anzi annunziarla col suono delle
campane come fa quel mio caro amico, il parroco di San Donato in Poggio (…) che,
con il triste rintocco suono delle campane ripetuto più e più volte, durante il
giorno, quando scompare uno dei suoi parrocchiani, sembra far catechismo e
ricordare a tutti che, dopo la morte, che chiede silenzio e rispetto, le
campane suoneranno l’Alleluia nel giorno della Risurrezione del Signore”.
E
come non soffermarci poi sull’importanza delle rogazioni che un tempo si
svolgevano con processioni in mezzo ai campi il 25 aprile e nei tre giorni
precedenti l’Ascensione. Una preghiera semplice, spontanea, prevista e regolata
dalla Chiesa, un innesto di fede nella natura campestre, un connubio felice fra
liturgia cattolica e sensus fidei del popolo, anch’esse un modo naturalmente
sublime di Instaurare omnia in Christo.
Come
non ricordare poi, fra gli spunti offerti da questo libro straordinario di
Pucci Cipriani, l’illustre mugellano Tito Casini, non solo l’autore del celebre
saggio La Tunica stracciata, ma anche il fondatore – insieme ai “cattolici
belva” Domenico Giuliotti e Giovanni Papini – dell’altrettanto celeberrima
rivista Il Frontespizio.
Esattamente
come il professor Cipriani, anche il professor Tito Casini descrisse il mondo e
la vita rurale come baluardo della cultura cattolica nei confronti del laicismo
che avanzava. Esattamente come Pucci Cipriani, anche Tito Casini usò quella
lingua musicale e scintillante che forse i neonati mugellani acquisivano
succhiando il latte materno. Entrambi questi illustri figli del Mugello, con le
loro opere, hanno messo in luce qual è il male spirituale odierno, cioè quella
che Romano Amerio chiamava la “de-adorazione”: “Il problema dell’uomo è il
problema dell’adorazione e tutto il resto è fatto per portarvi luce e
sostanza”.
Esattamente
quello che Pucci Cipriani ha fatto in ogni pagina di questo splendido libro e
nella sua stessa vita, adorando Dio nella Messa cattolica di sempre egli ha
portato dentro l’adorazione anche tutto il resto del mondo. Con la riverenza,
il rispetto, il tremore e la tenerezza religiosa dell’autentico cattolico.
Giovanni
Tortelli
martedì 6 dicembre 2022
Recensione a “I padrini dell’Italia rossa” di Roberto de Mattei
L’opera
storiografica di Roberto de Mattei si arricchisce oggi del nuovo e prezioso
saggio che il Professore dedica al decennio dagli anni Settanta agli anni
Ottanta del secolo scorso (Roberto de Mattei, I padrini dell’Italia rossa,
Solfanelli, Chieti 2022, collana Interventi).
Si
tratta di una raccolta di sei articoli, scritti dal dicembre 1975 all’aprile
1979 da un Roberto de Mattei poco più che trentenne, che colpiscono per la
profondità e la compattezza dell’analisi politica, per la lucidità e la
fondatezza delle tesi esposte, per la maturità e la conoscenza dello scacchiere
politico interno e internazionale, ma anche per il coraggio del loro Autore,
capace di alzare una voce già autorevole, critica e controcorrente di fronte a
un’opinione politica uniforme e piatta, poco o punto abituata agli scenari
presentati in quegli articoli.
Eventi
politici di rara gravità per la Repubblica dovevano però accadere proprio in
quel decennio, iniziato con opachi collegamenti fra le istituzioni, tensioni
fra i Poteri, misteri e segreti di Stato veri o artefatti, gran parte dei quali
ancor oggi insoluti o coperti. Dovevano accadere eventi straordinari e dolorosi
per tutto il Paese, che avrebbero imposto scelte istituzionali altrettanto
dolorose.
Fu
un decennio di stragi, aperto nel 1969 dalla più emblematica di tutte, quella
di Piazza Fontana a Milano, e poi Piazza della Loggia a Brescia nel 1974 e la
strage alla stazione di Bologna nell’agosto 1980. Nel mezzo di quegli anni, l’approvazione
della legge sul divorzio nel 1974 e quella sull’aborto nel 1978, le prime e
forti tensioni fra la politica e la magistratura, i tentativi destabilizzanti
di una parte deviata dei Servizi segreti insieme al ruolo onnipresente della
Massoneria e in specie della Loggia P2 di Licio Gelli, e poi il caso Lockheed,
le dimissioni del Presidente Leone, fino all’assassinio di Aldo Moro e alla lunga
scia di sangue delle Brigate Rosse, che costituiscono il sigillo politico e
morale di un Paese per la prima volta seriamente provato nei suoi valori civili.
È
naturale che in quegli anni il mondo guardasse fisso agli affari interni
italiani, ogni atto della politica interna aveva riflessi internazionali, niente
di meno se si parlava di far entrare il Partito comunista nell’area di governo,
considerata la fedeltà all’atlantismo garantita da sempre dalla Democrazia
cristiana e dai suoi alleati di centro e la sudditanza politica e morale del
comunismo italiano verso quello sovietico.
Il
contesto politico stava però già cambiando, e gli articoli di de Mattei ce lo
spiegano molto bene, sia in Italia che nel mondo si stavano muovendo dietro le
quinte quei “padrini” dell’Italia rossa da cui il titolo emblematico del
presente saggio.
Un
nuovo vento stava spirando sia sulla politica interna italiana che su quella
internazionale, le grandi forze economiche e finanziarie alla guida dei destini
politici del mondo stavano riposizionandosi dopo un intervallo durato dalla
fine della seconda guerra.
Chi
erano questi “padrini” che a un certo punto vollero un revirement così
profondo della politica non solo italiana verso i comunisti nostrani, ma della
politica internazionale verso le forze più progressiste del mondo intero? L’Autore
ci spiega che queste forze non erano altro che le punte di diamante dell’altissima
finanza internazionale, capaci di larghe influenze anche sui destini politici
di Stati e Governi, forze di élite che prepararono e aprirono in Italia alla
possibilità di cooptazione del Partito comunista di allora come forza di
governo nazionale, in linea con un generale appoggio ai regimi progressisti del
mondo, più sensibili a un cambiamento tecnologico e tecnocratico.
In
altre parole si pianificò - da parte dei potentati economici e finanziari più
esclusivi del mondo - una politica progressista “controllata” su scala mondiale,
finalizzata alla realizzazione di una sorta di «repubblica universale» fondata
sui nuovi valori di una democrazia limitata dalla supremazia tecnologica e
tecnocratica di una ristretta classe dirigente al potere.
Con
sorprendente lucidità, in quegli articoli Roberto de Mattei spiegava che in
tutto ciò non vi era alcuna contraddizione. Che alta finanza e comunismo
potessero dialogare con reciproche soddisfazioni non doveva scandalizzare, era
già successo con la Rivoluzione d’ottobre finanziata in gran parte dal
capitalismo germanico. Supercapitalismo e comunismo hanno infatti il medesimo
obiettivo di eliminare la proprietà privata: i comunisti come tappa necessaria
per arrivare alla dittatura del proletariato; l’alta finanza per creare un
nuovo tipo di società tecnologica manovrabile e controllabile da una ristrettissima
élite di potere, i tecnocrati. Naturalmente ciò non poteva avvenire dalla sera
alla mattina ma tramite un percorso di avvicinamento fra sistemi economici avversi,
percorso che fu individuato negli istituti bancari di prima importanza, giudicati
idonei apripista per intese di integrazione sempre più larghe e proficue in
ogni campo fra sistemi capitalisti e sistemi comunisti.
Così
le Banche, sempre più multinazionali e sempre meno ideologiche, potevano
cominciare a incontrarsi per affari sempre più in larga scala coi partners
oltrecortina, e con ciò fare ponte per la politica.
Accanto
alle banche, operavano già consessi come l’anglo-americano Council of
Foreign Relations, il trans-nazionale Bilderberg Club o in Italia l’Istituto
Affari Internazionali fondato da Altiero Spinelli, come delle vere e
proprie sponde di una politica riservata se non occulta, ad altissimi livelli, lontana
dai riflettori dei media e quindi assolutamente libera da controlli. A distanza
di più di quarant’anni da quegli articoli di Roberto de Mattei, e il professor
de Mattei quarant’anni prima di tutti noi, si accorgeva e scriveva che “pugni
di uomini simili per interessi e prospettive, manovrano gli avvenimenti da
posizioni invulnerabili dietro le quinte”.
I
primi abboccamenti fra l’altissima finanza anglo-americana e i comunisti
italiani (grazie anche all’anello di congiunzione della Famiglia Agnelli), potevano
dirsi contemporanei a un generale ripensamento dell’alta finanza nei confronti
del progressismo mondiale. L’Autore ne dà prova, nel suo articolo del gennaio
1977, a proposito dell’elezione del democratico Jimmy Carter alla Presidenza
degli Stati Uniti, favorita dal formidabile appoggio della Trilaterale di David
Rockefeller (Chase Manhattan Bank) e di quel politico di lunga esperienza che
fu Zbigniew Brzezinski, poi Consigliere per la Sicurezza nazionale dello stesso
Carter, e del suo potente entourage saldamente arroccato con la finanza
democratica di Wall Street.
Forse
la scelta caduta su Carter fu anche avventata o semplicistica, ma è un fatto
che quel nome fu scelto in nome del progressismo: si volle un uomo semplice come
Jimmy Carter, simbolo dell’«uomo nuovo» non attaccato al potere, emblema del
pioniere stelle e strisce, onesto e coraggioso, incarnazione dell’autentico
spirito americano dopo lo scandalo Watergate.
L’Italia
era però anche quel campo fertile di un sottobosco politico ed economico che
negli stessi anni fra il Settanta e l’Ottanta produsse fenomeni come Michele
Sindona e i suoi opposti Enrico Cuccia, Guido Carli, Gianni e Umberto Agnelli.
Tutti più o meno affiliati o per lo meno contigui alla Massoneria
internazionale e tutti abituati ad un lavoro di cui si potevano anche
intravvedere i risultati ma non certo la progettazione né la preparazione.
In
quegli anni, spiega l’Autore, il repubblicano Ugo La Malfa incarnava l’icona
dell’antifascismo e della laicità dello Stato liberale kelseniano, e
sicuramente anche quella del referente di rapporti di politica ed economia
internazionale ad altissimo livello, lontano com’era da ogni compromesso col
Vaticano e con le sue finanze e quindi tanto più gradito al mondo finanziario
americano fondamentalmente protestante e calvinista. Nell’ultimo articolo del
Saggio, datato 28 aprile 1979, Roberto de Mattei ricostruiva minuziosamente la
figura di questo politico che era maturato però all’interno della Banca
Commerciale Italiana, una sorta di “Università segreta” come la chiamò allora
l’Autore, luogo nel quale La Malfa incontrò il pensiero keynesiano, il sistema
alla base del New Deal, e dove incontrò anche l’alta finanza internazionale e
l’imperitura Fabian Society stabilendo amicizie e intese strategiche. Fu nel
1962, scriveva de Mattei, che La Malfa ebbe il suo grande momento con la
nascita del centro-sinistra, vero punto di partenza del lungo cammino di
avvicinamento fra finanza e comunismo italiano, acquisito come forza
democratica di governo.
“Alle
soglie dell’ultimo passaggio del compromesso storico – scriveva allora de
Mattei – si chiude bruscamente l’avventura terrena di Ugo La Malfa” ma con lui
se ne andava anche l’illusione di quei tanti come lui, intellettuali, laici,
antifascisti, agnostici, anticlericali, in buona parte massoni, che avevano
creduto fino in fondo al loro progetto e poi – secondo le ultime parole dello
stesso Ugo La Malfa - “alla fine una grande amarezza”.
Roberto
de Mattei concludeva allora che i due veri partiti del mondo sono in realtà
solo due: “Quello dell’amabile Salvatore sta alla destra, su di un sentiero
angusto, sempre più ristretto dalla corruzione del mondo (…). A sinistra c’è il
partito del mondo e del demonio, ed è più numeroso, più magnifico e, almeno nell’apparenza,
più splendido”, parole che suonano ancor oggi come un epitaffio, tuttavia pieno
di speranza, per Ugo La Malfa.
Mi
sono chiesto la ragione che ha spinto il professor de Mattei a ripubblicare
queste sue gemme di pensiero datate lungo gli anni Settanta, e posso azzardare
una risposta solo guardando non solo alla vastissima e lungimirante cultura del
Professore che vedrà – immagino - il ripetersi di certi “motivi” alla base
degli eventi storici e politici, ma anche alla sua straordinaria sensibilità religiosa
che nella dottrina cattolica è carità. Carità verso i suoi simili perché
attraverso queste gemme di pensiero il professor Roberto de Mattei affida ai
destinatari la possibilità di cogliere il tremendum di questi ultimi
tempi in quei motivi che si ripetono ieri e oggi, segno della natura stessa
dell’uomo.