Giovedì 13 dicembre 2018, alle ore 17:00, presso la Regione Toscana - Sala "I Gigli" Via Cavour n. 4 di FIRENZE - per iniziativa del Consigliere Regionale Jacopo Alberti (Lega) e della Comunione Tradizionale — verrà presentato il libro di Roberto de Mattei: "Trilogia Romana" (Edizioni Solfanelli).
Interverranno dopo i saluti di Jacopo Alberti, Consigliere Regionale e Portavoce dell'Opposizione e di Pucci Cipriani, Direttore di "Controrivoluzione":
CRISTINA SICCARDI, Scrittrice
ROBERTO DE MATTEI, Autore del libro
Roberto de Mattei
TRILOGIA ROMANA
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-3305-079-9]
Pagg. 160 - € 12,00
http://www.edizionisolfanelli.it/trilogiaromana.htm
[Cristina Siccardi] La storia può essere spiegata, ma può anche essere narrata. Negli ultimi decenni a raccontarla è stata più la filmografia (cinematografica o televisiva) che la letteratura, talvolta con buoni risultati, talaltra discreti, talora pessimi. Di sicuro nell’editoria troviamo molto ciarpame, sia nei contenuti, sia nello stile letterario e non solo per ciò che riguarda i romanzi o i racconti storici. Scrivere bene è un’arte, richiede preparazione, essere ruminatori di libri, rielaborare concetti e parole con un fraseggiare che catturi, rispetti, educhi il lettore, e quando si fa memoria di chi o di cosa non è più, allora occorre essere seri, esigenti nel rigore e intellettualmente onesti.
È così che, fra una scuola che non dedica più spazio sufficiente per una buona preparazione storica, fra un’istruzione agli studenti maggiormente proiettata alla formazione scientifica, informatica e tecnologica, fra la disattenzione generale ai fatti del passato a motivo della rivoluzione culturale del ’68 che ha sprezzato la Storia in quanto tale per proiettarsi in un futuro libero appunto dal passato, la narrazione storica non solo non è più considerata editorialmente appetibile, ma mancano proprio gli scrittori competenti in grado di proporla in maniera sincera e genuina, poiché l’ideologia discriminatoria e tendenziosa, erede delle teorie comuniste o radicali, è sempre in agguato.
Tuttavia, nello squallido panorama narrativo in genere e narrativo-storico in particolare, arriva, fresco di stampa, un gustoso libro. Il titolo è Trilogia romana, scritto da uno storico, Roberto de Mattei e pubblicato da Solfanelli. Sono tre racconti ambientati nella Roma dell’Ottocento e del primo Novecento. È la prima volta che de Mattei si cimenta in questo genere letterario. La tipologia non è comunque quella del romanzo storico, bensì della ricostruzione di personaggi ed eventi rigorosamente documentabile, il che rende il lavoro alquanto accattivante e, allo stesso tempo, istruttivo.
Ma come è nata l’idea di trattare la storia attraverso l’espressione letteraria? Così risponde l’autore:
«La mia opera di storico e di cattolico militante è sempre stata dedicata alla ricerca della verità. Non ho mai amato molto i romanzi, anche perché, da storico, so che la realtà è spesso più romanzesca e interessante di quanto la fantasia umana possa immaginare. Mi sono reso conto però che oggi, per trasmettere delle verità, storiche, religiose o morali, dobbiamo trovare nuove forme espressive, non solo ricorrendo agli strumenti dell’innovazione tecnologica, come Internet, ma anche riproponendo, generi letterari tradizionali, quali il teatro, la poesia, il romanzo. Con Trilogia Romana mi sono proposto di avvicinare una cerchia più ampia di lettori, attraverso una ricostruzione storica di fatti e di eventi presentata in maniera narrativa. La forma del dialogo mi è sembrata la più efficace, come Joseph de Maistre aveva già fatto con le sue Serate di San Pietroburgo».
Dunque per de Mattei la forma letteraria, nelle sue manifestazioni drammaturgiche, liriche e narrative, è uno strumento che deve essere recuperato perché, nello squallido panorama odierno e nel deserto lasciato dalla Chiesa postconciliare, le persone vanno avvicinate alla verità e alla fede non solo in modo accademico (non sarebbe sufficiente), ma anche in maniera divulgativa e affabile per arrivare a molti, anche perché: «Trilogia Romana è un’opera che può essere letta a diversi livelli, e può interessare dunque tipi diversi di lettori. Alcuni saranno attratti dal quadro di vita romana tra Ottocento e Novecento; altri dalla singolarità delle figure e degli eventi che sono presentati; altri ancora dal ruolo delle società segrete della storia che viene messo in evidenza, con particolari anche inediti; ma ciò che io voglio trasmettere e che mi auguro sia recepito dai lettori, anche in maniera indiretta, è innanzitutto una teologia della storia. La narrativa moderna sembra essere risucchiata dal vortice del nulla. Nelle mie pagine cerco di elevare il lettore a una visione alta delle vicende storiche che oggi è abbandonata perfino dagli uomini di Chiesa. Solo la teologia della storia può farci comprendere la natura profonda del dramma religioso, politico e sociale che stiamo vivendo».
Ecco il segreto di questo libro che non è solo un rimembrare con coerenza e fluidità linguistica accadimenti del passato, ma c’è qualcosa di più profondo, di più incisivo: qui viene ridato il giusto posto d’onore alla lettura provvidenziale della storia. E le pagine si fanno pedagogia. Allora tornano in mente le illuminanti parole di dom Prosper Gueranger nel suo testo Il senso cristiano della storia (Edizioni Amicizia Cristiana), quando dice che a rendere la visione dello storico cristiano solida e serena è la certezza che gli dà la Chiesa in quanto Sposa di Cristo, la quale gli rischiara il cammino come un «faro e illumina di divino i suoi giudizi. Egli sa quanto stretto sia il legame che unisce la Chiesa all’Uomo-Dio, quanto la Chiesa sia salvaguardata dalla promessa divina dalla possibilità di commettere qualsiasi errore nell’insegnamento e nella guida generale della società cristiana, e quanto profondamente lo Spirito Santo l’animi e la conduca; è dunque in essa che lo Storico cercherà il criterio dei propri giudizi».
Lo storico cristiano non si spaventa, non si dispera, non si angoscia, non si adira come potrebbe esserlo, invece, per esempio, uno storico ideologico, legato alla sola politica, in cui la sua fazione cede agli accidenti della storia.
Spiega ancora dom Gueranger: «Le debolezze degli uomini di Chiesa, gli abusi temporanei, non lo stupiscono perché sa che il Padre della famiglia umana ha deciso di tollerare la zizzania nel suo campo fino alla mietitura. Se deve raccontare, sarà attento a non tralasciare tristi episodi che testimoniano le passioni dell’umanità e attestano allo stesso tempo la forza del braccio di Dio che ne sostiene l’opera; ma sa dove riconoscere la direzione, lo spirito della Chiesa, il suo istinto divino. Li riceve, li accetta, li confessa coraggiosamente; li applica nei suoi scritti. Parimenti non tradisce e non sacrifica». Chiama buono ciò che la Chiesa di Cristo giudica buono e chiama cattivo ciò che la Chiesta di Cristo chiama cattivo. Lo storico cristiano, pertanto, è tenuto a raccontare fatti e persone alla luce della trascendenza che, in definitiva, significa essere storiografi dall’orizzonte eterno, liberi dalle catene del contingente.
Le vicende presentate in Trilogia romana sono o poco note oppure inedite; interessante è che i soggetti ivi inseriti, anche quelli apparentemente in secondo piano, vengono ad assumere connotazioni di rilievo. Ma quali di tutte queste personalità de Mattei stima maggiormente e perché; quali considera più pericolose e perché; quali, infine, gli sono particolarmente simpatiche per il loro modo di relazionarsi?
«Tutti i miei personaggi, alcuni noti, altri meno noti, sono realmente esistiti. Le parole che ad essi attribuisco sono state realmente pronunciate o corrispondono al loro pensiero. La figura a cui ho dato maggior spazio e che mi è più cara è quella della principessa Maria Cristina Giustiniani Bandini che ho conosciuto non personalmente, ma solo attraverso memorie familiari, la lettura dei suoi scritti, e soprattutto grazie al devoto ricordo che di lei aveva un caro amico scomparso, Pierre Engel.
Sul fronte opposto, una figura particolarmente inquietante e pericolosa mi sembra quella di un altro principe romano, l’islamista ed esoterista Leone Caetani. Il ruolo dell’aristocrazia nella storia, nel bene o nel male, è più importante di quanto noi possiamo immaginare, al di là delle presentazioni deformate che di questa classe sociale ci vengono fatte dai mass media. Anche sotto questo aspetto, Trilogia Romana, può essere considerata una “Apologia della Tradizione”».
Il primo racconto rievoca il Cardinale Giuseppe Mezzofanti e lo storico Jacques Crétineau-Joly; il secondo è un mosaico di figure fra cui spiccano Monsignor Umberto Benigni e Don Ernesto Buonaiuti, nonché il Principe Leone Caetani e la Principessa Maria Cristina Giustiniani Bandini, protagonista principale del terzo e ultimo racconto, il quale, con freschezza e pennellate di particolari, descrive il passaggio di Roma da capitale della Cristianità a capitale dei liberali, dei massoni, dei politici, dei democristiani, aperti al socialismo e al comunismo, dai quali si dipartì la riforma agraria di De Gasperi, che toccò con prepotenza la proprietà privata degli italiani; un atto che Pio XII, nel 1951, giudicò negativamente, affermando la legittimità dei grandi latifondi. Con l’abolizione della mezzadria e con lo sradicamento dei contadini dai loro territori, persone e famiglie si sono spostate nelle periferie urbane edificate dai “palazzinari”. Contemporaneamente la cultura è stata carpita da socialisti, comunisti e liberali, che hanno occupato le cattedre delle scuole e delle Università.
Non si può inoltre tralasciare Maria Montessori, dalla quale emerge il veleno ideologico e culturale di una classe intellettuale e dirigente che ha guidato la secolarizzazione dell’Italia e al suo abbruttimento morale. L’educatrice dell’infanzia, che a 28 anni aveva abbandonato suo figlio (avuto da una relazione con lo psichiatra Giuseppe Montesano), non parlava di matrimonio, ma della necessità di un’evoluzione della concezione della maternità, grazie alla «scelta cosciente e libera» del proprio partner «come contributo alla rigenerazione della razza. Insomma si va dal libero amore alla trasformazione dell’educazione in un allevamento di razze umane». Femminista e seguace della teosofia di Hélène Blavatskij, la Montessori è tuttora considerata un punto di riferimento della pedagogia moderna, svincolata dai “tabù” del passato e dai “pregiudizi”, proiettata a rendere l’individuo autonomo e indipendente. Personaggi come lei hanno in realtà formato generazioni di persone sole, insicure, allo sbando, in balia del potere assoluto dello Stato, compreso quello “democratico”.
sabato 17 novembre 2018
venerdì 16 novembre 2018
Presentazione: IL “CAMBIO DI PARADIGMA” DI PAPA FRANCESCO (Firenze, 28/11/2018)
Mercoledì 28 novembre 2018, alle ore 17;00, presso la Regione Toscana - Sala "I Gigli" in Via Cavour, 4 di FIRENZE — per iniziativa del Consigliere Regionale Jacopo Alberti (Lega) e della Comunione Tradizionale — presentazione del libro di JOSE' ANTONIO URETA: "IL CAMBIO DI PARADIGMA DI PAPA FRANCESCO: CONTINUITA' O ROTTURA NELLA MISSIONE DELLA CHIESA? BILANCIO QUINQUENNALE DEL SUO PONTIFICATO" (Ed. Istituto Plinio Correa de Oliveira)
José Antonio Ureta
IL “CAMBIO DI PARADIGMA” DI PAPA FRANCESCO
Continuità o rottura nella missione della Chiesa?
Istituto Plinio Correa De Oliveira, San Paolo, Brasile, 2018
p. 213 - Euro 8,32
https://amzn.to/2JjTKiW
[Luca Ferruzzi] Fisolofia, Religione, Fede, Magistero, Uomo, Dio, Chiesa, Spirito Santo: tutto, compreso il significato stesso dei termini utilizzati ed il loro contesto, viene messo in discussione in una battaglia epocale, senza esclusione di colpi, tra “tradizionalisti” da un lato e “modernisti” dall’altro, in una tenzone all’ultimo sangue il cui premio finale sarà inevitabilmente il controllo, il potere, da esercitarsi nei confronti del Cattolicesimo come da sempre, al di la delle argomentazioni portate dagli uni e dagli altri, è destino che avvenga per ogni consorzio umano dacché Caino pensò bene di spaccare il capo allo sfortunato fratello.
Magnificamente argomentato da José Antonio Ureta, discepolo del leggendario Plinio Correa de Oliveira, direttore storico del settimanale “Legionario”, uomo politico, ultra-conservatore, avversario mortale della teologia della liberazione, il volume si propone di tracciare un bilancio dei primi 5 anni di pontificato di Papa Francesco, alla luce delle esternazioni e degli atti magistrali prodotti dal Papa, Evangeli Gaudium e Amoris Laetitia in primis.
Tale bilancio, per Ureta, lascia senza parole: il “nuovo paradigma” sembra operativizzare, una volta per tutte, i cambiamenti epocali prefigurati dal Concilio Vaticano II: la Chiesa si sottomette alla democrazia, al numero, alle opinioni correnti … anzi: al materialismo e al comunismo. L’Uomo si libera (da che?), diviene mentore e guida di se stesso, s’innalza verso le stelle, novello astronauta la cui rotta egli deciderà sul momento (essendo anch’essa soggettiva) quando più gli aggraderà.
E allora: perché non introdurre un poco di grigio tra bianco e nero? O ancora: “chi sono io per giudicare” tra il giusto e lo sbagliato? Per Ureta, la guida della Chiesa di oggi rischia di perdere il bandolo della matassa, con il superamento dei “valori non negoziabili”, le prese di posizione neo-marxiste e comuniste, il “colloquio” con istanze abortiste, pro-eutanasia, pro LGBT e unioni omosessuali, il concetto “dinamico” di “verità”, e di “parola di Dio”, la nuova morale di tipo soggettivo senza imperativi assoluti (messa in discussione dei precetti morali), l’ecologia, l’avvicinamento a e la condivisione con tutto ciò che anche vagamente possa essere definito “progressista”, il dialogo inter-religioso.
Ma tutto questo, ci dice Ureta, viene approcciato per “spot” successivi, una tantum, senza prima voler garantire la certezza del disegno finale, che altrimenti il collegio cardinalizio e i vescovi lo saprebbero e certo non vi si opporrebbero, alfine certi che lo Spirito Santo abbia illuminato una intera nuova visione universale del cosmo e del ruolo dell’uomo nello stesso (del creato, si sarebbe detto una volta … ma in questo caso, Dio sarà d’accordo?).
E mentre 900.000 fedeli, smarriti, chiedono chiarimenti, inopportuni Dubia e Correctio Filialis de haeresibus propagatis invano aspettano risposta che non verrà. Essa non può infatti logicamente giungere: tutto ciò appartiene al “Vecchio Paradigma”, quello dei codici e del latino; non vi può essere alcuna risposta da chi già nel “Nuovo Paradigma” sta proiettando l’Uomo e il mondo. La “non risposta” è una condanna senza appello, un superamento d’ogni tradizione, consuetudine, canone: il segno del cambiamento senza ritorno.
Leggere il “Cambio di Paradigma” lascia sgomenti, senza alcuna certezza: non consigliabile ad un pubblico non maturo. L’uomo per sua natura, guarda al passato: forse tutto ciò è sbagliato, non sapremmo, oppure forse lo Spirito Santo illumina alcuni si e altri un po’ meno (con le due fazioni in lotta per accaparrarselo), forse davvero il Cristo è venuto a mettere figlioli contro genitori, e noi non l’abbiamo capito.
Non manca poi molto però, secondo le Centurie di Nostradamus, per scoprire chi aveva ragione.
SALUTI
Jacopo Alberti, Consigliere Regionale - Portavoce dell'Opposizione
Pucci Cipriani, Direttore di "Controrivoluzione"
INTERVENGONO
José Antonio Ureta, Autore del volume
Roberto de Mattei, Docente Universitario, Presidente della "Fondazione Lepanto"
PRESIEDE
Ascanio Ruschi - Giurista
José Antonio Ureta
IL “CAMBIO DI PARADIGMA” DI PAPA FRANCESCO
Continuità o rottura nella missione della Chiesa?
Istituto Plinio Correa De Oliveira, San Paolo, Brasile, 2018
p. 213 - Euro 8,32
https://amzn.to/2JjTKiW
[Luca Ferruzzi] Fisolofia, Religione, Fede, Magistero, Uomo, Dio, Chiesa, Spirito Santo: tutto, compreso il significato stesso dei termini utilizzati ed il loro contesto, viene messo in discussione in una battaglia epocale, senza esclusione di colpi, tra “tradizionalisti” da un lato e “modernisti” dall’altro, in una tenzone all’ultimo sangue il cui premio finale sarà inevitabilmente il controllo, il potere, da esercitarsi nei confronti del Cattolicesimo come da sempre, al di la delle argomentazioni portate dagli uni e dagli altri, è destino che avvenga per ogni consorzio umano dacché Caino pensò bene di spaccare il capo allo sfortunato fratello.
Magnificamente argomentato da José Antonio Ureta, discepolo del leggendario Plinio Correa de Oliveira, direttore storico del settimanale “Legionario”, uomo politico, ultra-conservatore, avversario mortale della teologia della liberazione, il volume si propone di tracciare un bilancio dei primi 5 anni di pontificato di Papa Francesco, alla luce delle esternazioni e degli atti magistrali prodotti dal Papa, Evangeli Gaudium e Amoris Laetitia in primis.
Tale bilancio, per Ureta, lascia senza parole: il “nuovo paradigma” sembra operativizzare, una volta per tutte, i cambiamenti epocali prefigurati dal Concilio Vaticano II: la Chiesa si sottomette alla democrazia, al numero, alle opinioni correnti … anzi: al materialismo e al comunismo. L’Uomo si libera (da che?), diviene mentore e guida di se stesso, s’innalza verso le stelle, novello astronauta la cui rotta egli deciderà sul momento (essendo anch’essa soggettiva) quando più gli aggraderà.
E allora: perché non introdurre un poco di grigio tra bianco e nero? O ancora: “chi sono io per giudicare” tra il giusto e lo sbagliato? Per Ureta, la guida della Chiesa di oggi rischia di perdere il bandolo della matassa, con il superamento dei “valori non negoziabili”, le prese di posizione neo-marxiste e comuniste, il “colloquio” con istanze abortiste, pro-eutanasia, pro LGBT e unioni omosessuali, il concetto “dinamico” di “verità”, e di “parola di Dio”, la nuova morale di tipo soggettivo senza imperativi assoluti (messa in discussione dei precetti morali), l’ecologia, l’avvicinamento a e la condivisione con tutto ciò che anche vagamente possa essere definito “progressista”, il dialogo inter-religioso.
Ma tutto questo, ci dice Ureta, viene approcciato per “spot” successivi, una tantum, senza prima voler garantire la certezza del disegno finale, che altrimenti il collegio cardinalizio e i vescovi lo saprebbero e certo non vi si opporrebbero, alfine certi che lo Spirito Santo abbia illuminato una intera nuova visione universale del cosmo e del ruolo dell’uomo nello stesso (del creato, si sarebbe detto una volta … ma in questo caso, Dio sarà d’accordo?).
E mentre 900.000 fedeli, smarriti, chiedono chiarimenti, inopportuni Dubia e Correctio Filialis de haeresibus propagatis invano aspettano risposta che non verrà. Essa non può infatti logicamente giungere: tutto ciò appartiene al “Vecchio Paradigma”, quello dei codici e del latino; non vi può essere alcuna risposta da chi già nel “Nuovo Paradigma” sta proiettando l’Uomo e il mondo. La “non risposta” è una condanna senza appello, un superamento d’ogni tradizione, consuetudine, canone: il segno del cambiamento senza ritorno.
Leggere il “Cambio di Paradigma” lascia sgomenti, senza alcuna certezza: non consigliabile ad un pubblico non maturo. L’uomo per sua natura, guarda al passato: forse tutto ciò è sbagliato, non sapremmo, oppure forse lo Spirito Santo illumina alcuni si e altri un po’ meno (con le due fazioni in lotta per accaparrarselo), forse davvero il Cristo è venuto a mettere figlioli contro genitori, e noi non l’abbiamo capito.
Non manca poi molto però, secondo le Centurie di Nostradamus, per scoprire chi aveva ragione.
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