L’ennesimo crimine del fondamentalismo islamico in Francia suscita diverse considerazioni. La prima è il fatto che l’opinione pubblica europea si sta abituando a questo “terrorismo in franchising” che colpisce a intermittenza e almeno all’apparenza senza una logica preordinata. È finita da tempo l’era delle fiaccolate in favore di Charlie Hebdo e della libertà di fare satira (magari anche di cattivo gusto, come emerso dopo il terremoto ad Amatrice). Certo, le vittime della strage di Carcassonne e di Trèbes sono state per fortuna meno numerose che in altre occasioni, ma resta il fatto che l’Europa si sta assuefacendo all’idea che sia una cosa normale finire schiacciati sotto una macchina o sgozzati ad opera di fanatici. Ci può essere del buono in questa mitridatizzazione di fronte al pericolo: l’angoscia non può paralizzare la vita di una nazione. Ma al tempo stesso sussiste il rischio di una sottovalutazione dei rischi sottesi al fenomeno migratorio e all’applicazione del principio dello jus soli.
L’ultimo terrorista islamista di Cacassonne
Il terrorista di Carcassonne era un marocchino cui era stata concessa la cittadinanza francese, che aveva convertito al fanatismo islamico una ragazza francese, che viveva di espedienti ma si trovava a piede libero. Anche se ha agito da solo, non era un isolato: nel quartiere dove viveva le troupestelevisive recatesi dopo il delitto sono state minacciate e aggredite da giovani magrebini e l’ex sindaco di Carcassonne, un socialista, ha auspicato che non sia sepolto nel territorio cittadino, per evitare il rischio di pellegrinaggi. Il criminale ha sgozzato il tenente colonnello Arnaud Beltrame (pugnalato al collo, nell’eufemistico linguaggio degli inquirenti), con un rituale ricco di significati nella subcultura del fanatismo islamico.
Arnaud Beltrame, patriota europeo
Proprio la figura di Beltrame, offertosi in ostaggio al posto di una donna nel supermercato della strage, merita una riflessione che trascende l’effimera esaltazione retorica. Classe 1973, l’ufficiale apparteneva a una generazione cresciuta all’insegna della celebre frase di Brecht “beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”: affermazione lapalassiana che però, decontestualizzata, è stata utilizzata come strumento di propaganda antimilitarista. Per fortuna non l’ha mai presa sul serio: lo dimostra la sua carriera, dal liceo militare di Saint-Cyr a un reggimento di artiglieria, dalla partecipazione alle missioni di pace all’ingresso nella Gendarmerie. Il suo ultimo gesto non è il riscatto, ma il compimento di una vita e ha ottenuto un plauso unanime, o meglio quasi unanime, visti i commenti deliranti di un esponente di “La France Insoumise”, per altro subito tacitato dai suoi compagni, che si è scagliato contro i “lèches-culs qui chougnent sur la mort d’un colonel de gendarmerie”. Il suo gesto ricorda quello di Salvo D’Acquisto più di quanto potrebbe sembrare, e non solo perché la Gendarmerie è l’equivalente francese dell’Arma. Se l’eroico vicebrigadiere italiano si sacrificò per salvare dei civili dalla rappresaglia di un esercito di occupazione inferocito dal nostro voltafaccia dell’Otto settembre, il tenente colonnello francese è morto per salvare i connazionali dalla ferocia di quella che potrebbe essere l’avanguardia di un esercito di occupazione ancora più spietato.
Un combattente cattolico
C’è tuttavia un altro aspetto della figura di Arnaud Beltrame su cui è doveroso soffermarsi: il suo spessore etico-religioso. Il colonnello proveniva da una famiglia laica che non l’aveva nemmeno fatto passare a Comunione, era sposato civilmente (in Francia, però, non esiste l’istituto del matrimonio concordatario e le due cerimonie avvengono separatamente), era stato affiliato alla massoneria, che ha rivendicato la sua appartenenza alla “Respectable Loge Jérôme Bonaparte de Rueil-Nanterre”. Il quotidiano cattolico “La Croix” ha però precisato come negli ultimi anni ne avesse preso le distanze, intraprendendo un percorso diverso, e ha parlato senza precisare la fonte di persone “a lui vicine”. Forse, l’unica testimonianza certa, se non fosse vincolata al segreto del confessionale, sarebbe quella del sacerdote che negli ultimi anni era divenuto suo direttore spirituale: padre Jean-Baptiste, canonico dell’abbazia di Lagrasse. Con lui Beltrame aveva intrapreso un percorso di avvicinamento alla fede, cominciato quasi casualmente con una visita al monastero. La lettera in cui il sacerdote rievoca il suo rapporto col tenente colonnello e la moglie, le sue visite all’abbazia, il lungo itinerario di preparazione al matrimonio religioso, la cui celebrazione era prevista per il 9 giugno, è facilmente rintracciabile su vari siti cattolici, fra cui Stilum Curiae, il blog dell’ex vaticanista della “Stampa” Marco Tosatti.
C’è tuttavia un altro illuminante dettaglio nella conversione religiosa del tenente colonnello. Quella di Lagrasse non è un’abbazia qualsiasi. I canonici della Mère de Dieu, che la amministrano dal 2004, appartengono a quell’arcipelago di comunità religiose tradizionaliste che hanno ottenuto, grazie al motu proprio Ecclesia Dei, voluto da Giovanni Paolo II, il permesso di celebrare la liturgia utilizzando ancora il messale del 1962; in altri termini, come si dice semplificando, “dicono la messa in latino”, espressione impropria perché l’odierna messa in volgare non è la semplice traduzione del vecchio messale di San Pio V, ma ha conosciuto considerevoli mutamenti anche di contenuto.
Questioni liturgiche a parte, è interessante notare come l’eroico tenente colonnello non sia stato attratto da un cristianesimo conciliare e conciliante, il cristianesimo che sta riabilitando la teologia della liberazione affiancandole magari la teologia dell’immigrazione. Ad affascinarlo è stato un cattolicesimo virile e tradizionalista, quasi “templare”: il suo era il Cristo delle cattedrali, non quello dei presepi multietnici o Lgtb. Anche il suo sacrificio può essere letto in questa chiave. Certo, anche senza conversione, un alto senso del dovere associato all’etica laica della République avrebbero potuto indurre Beltrame alla stessa scelta, ma non è da escludere che la conversione e la conseguente fede in una vita ultraterrena abbiano contribuito a infondere in lui quel supplemento d’anima, quella virgola di eroica follia indispensabili per affrontare a viso aperto una morte quasi certa. Del resto, anche Salvo D’Acquisto era uno spirito profondamente religioso ed è stato avviato per lui un processo di canonizzazione, che l’ha proclamato “servo di Dio”. Oggi c’è chi auspica che la Chiesa riconosca le virtù eroiche del tenente colonnello Arnaud Beltrame, morto per una Francia che credeva di non avere più bisogno di eroi. E che anche per questo oggi si trova ad averne un disperato bisogno.
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