Con Dal natio borgo
selvaggio si entra nel vivo della vita dell'Autore, nel vivo del suo
cuore, e la cosa si fa seria perché allora non si tratta più di filosofeggiare
su parole e concetti, ma parole e concetti si fanno carne viva, la carne di chi
ha vissuto direttamente volti, personaggi, luoghi, eventi che non sono più ma
che — a distanza di anni, forse anche di molti anni — sono ancora capaci di
provocare gioie e dolori, passioni ed emozioni che il tempo non scalfisce
perché costituiscono la nostra "storia sacra".
Sì, storia sacra: con l'Incarnazione di NSGC la vita di
ciascuno di noi è diventata storia sacra perché — con tutti i nostri fatti e
misfatti — siamo stati "ricomprati" cioè redenti da Gesù Cristo, e a
caro prezzo, grazie al suo sangue sul legno della croce. Solo che questa
redenzione non scatta automaticamente ma va attivata dall'uomo stesso,
esattamente come diceva Attilio Mordini: "La storia è sacra solo per il vir bonus dicendi peritus, cioè per l'uomo
che conforma il suo dire — e quindi anche il suo fare — all'ascolto del Verbo
universale cioè Cristo, in modo da ordinare il suo cammino dal caos al cosmo,
all'ordine".
Io credo che questa importante
affermazione la possiamo tranquillamente applicare anche a Pucci Ciprini, senza
volere con ciò farne il panegirico: non è forse sempre stata la sua vita un
conformarsi all'ordine di Cristo anche a costo di battaglie che hanno messo in
croce anche lui? Pucci non è stato e non è solo il vir bonus, cioè onesto e valente, ma anche il peritus dicendi, ha fatto esperienza
dell'ascolto di Dio e lo ha testimoniato come lo testimonia tuttora. Tanto che,
se dovessi fare un raffronto anche con un recente passato, non esiterei s
metterlo al fianco di quei «cattolici belva» come Domenico Giuliotti e Giovanni
Papini che, con una lungimiranza che sapeva già di profezia, si scagliavano
negli anni Cinquanta contro un Chiesa che essi vedevano avviata verso le spire
di un modernismo che l'avrebbero prima o poi soffocata e spenta. E non è forse
ciò che è successo esattamente col Concilio che ha strozzato la Chiesa e con
questo sciagurato cinquantennio di post-concilio che le ha dato la stretta finale
al collo? E non è forse fin dagli anni Sessanta che Pucci Cipriani è in trincea
per difendere la Chiesa e i valori posseduti dalla Chiesa e per essa dalla
civiltà occidentale fino alla tragica Rivoluzione francese? Ma vorrei anche
aggiungere che l'Autore ha avuto il privilegio, se così si può chiamare, di
vivere all'incrocio di grandi eventi storici: il Concilio Vaticano II — forse
il più tremendo per i destini della Chiesa fra tutti i 21 Concili susseguitesi
fino ad oggi -, il famigerato '68 politico che ha infettato tutta l'Europa
togliendole ogni valore verticale e impostando tutta la vita privata e sociale
su un cieco ed ottuso democraticismo, un insensato europeismo e un
pericolosissimo solidarismo. Da società imperniata sulla caritas cristiana, siamo diventati una
società filantropico-massonica-opportunista. Non è poco per un protagonista
come Pucci stare sulla breccia di tutti questi avvenimenti, che egli ha
cavalcato con la baldanza, ma anche con l'onestà intellettuale e coerenza che
sempre hanno contraddistinto la sua azione sia nel campo politico che in quello
religioso.
E ora Pucci ci regala questo nuovo libro, che potremmo
chiamare di memorie, vista anche la ricchezza della bellissima documentazione
fotografica, ma che così — a mio modesto parere — è solo apparentemente: perché
le memorie di Pucci sono frammiste a riflessioni, commenti, attualizzazioni e
considerazioni sulla vita e sulla decadenza d'oggi che fanno piuttosto, del Natio Borgo Selvaggio una costellazione di
ricordi, di riflessioni e di idee rivolte al passato ma con l'occhio al futuro.
Una costante di tutta quest'ultima fatica di Pucci è il ricorrente pensiero
dell'Autore sui bambini di ieri e di oggi, questo per sottolineare l'importanza
che l'educazione degli adolescenti ha avuto e ha nella vita dell'Autore non
solo come docente ma anche come uomo pubblico e politico. Perciò, non solo per
rimanere nel campo della vita e della poesia leopardiana da cui il titolo del
libro prende spunto, ma anche pera la sostanziale ragione contenutistica che ho
detto, preferirei assegnare quest'opera non al genere semplicemente
cronachistico quanto a quello dello "zibaldone" inteso in senso
tecnico come raccolta estemporanea e solo apparentemente casuale di pensieri e
ricordi che però si tengono nel filo logico intellettuale e culturale del
vissuto dell'autore.
Quindi col Natio
Borgo, non sono i ricordi che "fanno" il libro, ma i ricordi
sono il mezzo per far emergere i connotati spirituali e culturali dell'Autore.
Infatti la scansione temporale dei luoghi, dei volti, dei personaggi, degli
eventi — pur importante per classificarli nella loro storicità — non però
determinante rispetto al messaggio. E i messaggi sono tanti, e tutti per così
dire "elevano" il racconto sul piano della riflessione e della rimembranza,
non quindi del mero ricordo: è il caso del ricordo delle varie feste della
Vittoria del 4 novembre celebrate con fasto di autorità locali e di bancarelle
di dolci vari ma che si accompagna alla amara considerazione che fu la gran
loggia massonica a volere una guerra contro la cattolica Austria, che mandò al
massacro centinaia di migliaia di giovani. O quando racconta il valore della
politica in una persona come Giuseppe Paladini, personaggio noto anche a
Firenze e amico della famiglia Cipriani. E quel parlare dei rosari recitati non
solo dalle donne ma anche dagli uomini alla fine della giornata di lavoro, al
desco fiorito degli occhi dei bambini: non si tratta solo di rimpianti del
tempo che fu, qui siamo di fronte ad un amico che ci passa la parola per il
futuro, un nodo estremamente di essere "tradizione vivente".
Nel Natio Borgo
si apprezzano anche gli aspetti letterari di un Autore che ama soprattutto
Pascoli, Carducci, i crepuscolari, Gozzano, Corazzini e anche qui è un
riproporre all'attenzione di chi ha la responsabilità dell'educazione
scolastica, di tutto un filone che ha cantato la famiglia, la patria, la morte,
il dolore e il pianto e anche il valore nazionalista e che ora viene sorvolato,
ignorato o addirittura deriso. Oggi c'è il pensiero unico che obbliga tutti a
star bene, a far finta che il male non esista e comunque isolarlo quando
succede. Un pensiero unico e laicista che purtroppo è riuscito, almeno
apparentemente, a far piazza pulita non solo dei ricordi del passato ma anche
di quell' ordine alla sequela di Cristo di cui parlava Mordini.
E ora, come ultimo cenno al Pucci Cipriani politico,
credo che il miglior modo di riassumerlo sia ricordare quel scriveva a
proposito della democrazia il cattolico reazionario francese Barbey d'Aurevilly
(1808-1889):
"Vi è forse qualche cosa di più
rivoltante e disgustoso per le anime nobili e fiere, di quei sistemi di governo
a far parte dei quali nessuno è scelto per il suo personale valore, ma per il
valore che non ha ? Vi è nulla di più ripugnante per un uomo che si sete
scorrere un sangue generoso sotto l'unghie, d'uno stato di cose pel quale viene
portato sugli scudi il primo venuto, come la scimmia sulla groppa del delfino?
Non v'ingannate! Questa è l'essenza della democrazia, aver tra mano delle
marionette che si posson buttar nel sacco quando si è tagliato loro il
filo" Consoliamoci invece, caro Pucci, di fronte a questo
impero democratico e nichilista che stiamo vivendo, ricordando quel che
scriveva nemmeno troppi anni orsono il grande filosofo reazionario Romano
Amerio nel suo Zibaldone: 'Il celebre motto
di Cavour: «Libera chiesa in libero Stato» viene inteso come una formulazione
di libertà, mentre è una formulazione di autocrazia. Si crede cioè che la Chiesa
sia nello Stato mentre la Chiesa è una società assolutamente indipendente che
ha in se stessa tutti i mezzi per
sussistere e non è una parte dello Stato. L'errore di fondo è che lo Stato sia
la società di tutto il genere umano e contenga in sé e subordini tutte le altre
società. Invece lo Stato è una società particolare e la Chiesa, la famiglia, la
corporazione sono società perfette senza dipendenza alcuna ".
E preghiamo perché, in qualche modo, quest'ordine possa
venire restaurato.
Firenze, 8 aprile 2017
Giovanni
Tortelli
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