sabato 3 febbraio 2018

E' DECEDUTO GIORGIO CUCENTRENTOLI DI MONTELORO

Se n'è andato un altro pezzo della nostra "Toscanina" e anche della nostra "Firenzina", semplice, paternalista, plebea e nobile a un tempo, talvolta perfino patetica, ma fortemente umana. E con la nostra "Toscanina" se ne vanno, a uno a uno, anche i suoi protagonisti e ci lasciano sempre più soli e tristi.
Non era la Grande Toscana dei Savonarola, dei "cattilici belva" come Giuliotti, Papini, Tozzi e Casini, e neppure quella "intellettuale" demestriana che aveva il suo punto di riferimento in Palazzo Capponi, con intellettuali come Attilio Mordini, Guido Adami-Lami, Adolfo Oxilia, padre Fortuna o quella "Teologica" dei padri Giantulli della S:J, del domenicano padre Centi o del francescano padre Raniero Sciamannini.
No, era la Piccola Toscana popolare di Borgo San Frediano, che si ricordava ancora, nei racconti che si tramandavano da padre in figlio, quando il Granduca, da una montagnola del Giardino granducale di Boboli guardava fumare i comignoli della città e, quando vedeva che da qualcuno non usciva il fumo, capiva che c'era una situazione di miseria o di malattia e mandava subito lì una carrozza per provvedere alla bisogna. Era la Toscana delle "Scale di Mezzaquaresima" attaccate alle spalle della gente, come un tempo il pesce d'aprile, la Toscana dei bei Cortei Granducali, delle processioni, delle fiorite, delle friggitorie con la polenta e i "coccoli", dei trippai e delle "piazzate", una Toscanina fatta di rimpianti e di sospiri per il buon tempo andato che, per interprete, ebbe un povero "poeta di strada", Mario Palazzi (anche lui "riscoperto" da Cucentrentoli) un "partigiano dei Lorena", uomo buono e gentile, che, nel 1859, scrisse una serie di liriche - oggi tornate d'attualità vista l'italica gentaglia che ci governa - che rimpiangevano i bei tempi che, insieme al Granduca, se n'erano andati:

Ai tempi dell'ottimo Granduca
si passeggiava con la Mazzettina
Or che l'Italia libera si è fatta
Ci vuol Spada, Pistola e Carabina.

Ma almen ci fosse un po' di sicurezza
Garantigie, pe' buoni cittadini
Un cazzo! molestati sempre siamo
come in un folto bosco d'Assassini.

Povera Firenze, tu l'hai avuta
Una scossa diciamo di Tremoto
Eri bella, ridente e popolata
Ora sei brutta, trista e disperata.

Era la Firenze del venditore ambulante Lachera che se ne andava in giro, con il suo cesto di panini allo zibibbo e di bomboloni e che, una bella mattina, dopo la "partenza" del Granduca, vide la sua bella Firenze tutta impavesata di tricolori, la bandiera dei "nuovi padroni", i despoti risorgimentali, e allora, invece dei panini e dei bomboloni, riempì la sua cesta di "cenci", i caratteristici dolci fiorentini fatti a rombo e fritti in padella, e poi percorrendo le strade del centro e guardando le facciate "tricolorate" urlava: "Donne c'è cenci! E ceeenci!"
E chi sa se ieri le campane della chiesa del Cestello avranno suonato quei mesti rintocchi "a morto", - or che anche le campane si son fatte "strumento della reazione" da quando, con il Concilio, insieme alla fede e alla morale, i preti hanno perso anche la "pietas" per i morti - per dare l'estremo saluto a Giorgio Cucentrentoli Conte di Monteloro, più volte cavaliere di diversi Ordini Dinastici, "pioniere" del motociclismo, scrittore acuto e versatile, e anche Rappresentante, per un ventennio, in Toscana, del Granduca Goffredo d'Asburgo-Lorena. Il Cucentrentoli, come narra nelle sue memorie: "Spigolature di Toscana" (Tipolito l'Artigiano, Firenze MDMLXXVI), un aureo libello, scritto con penna agile in un colorito e popolaresco toscano, nacque a Firenze novant'anni fa (nel 1928) nel fiorentinissimo quartiere di San Frediano in Firenze e lì ha vissuto, fino all'altro ieri, testimoniando la sua "fede" monarchica, cattolica e granducale... sempre con il pensiero e l'azione rivolti al "vivre doucement" nella pacifica Terra di "Canapone", il buon Granduca, "I' Babbo", che ogni anno veniva rievocato, per il suo genetliaco, con una "Bicchierata" tra amici, nella bottega di via Maggio del Parrini, acconciatore d'organi e artigiano "tuttofare" che, in quel suo sgabuzzolo, aveva ancora, con sotto il lumino a olio acceso, il busto marmoreo di Leopoldo II di Toscana, che, a sera, si recava da Palazzo Pitti in via Maggio a lavorare il legno con un grande grembiule di cuoio e le bretelle che venivano conservate ancora, come cimeli o reliquie, negli anni Settanta, quando fu chiusa la storica bottega "parrinea". Giorgio Cucentrentoli pubblicò anche due monumentali volumi pieni di interessantissime notizie e aneddoti proprio sugli ultimi Granduchi di Toscana e una ricca biografia di Eugenio Alberi che, poi, romanzò nel suo "Il Novalestro d'Ugnano". E intorno a lui, al Conte Giorgio Cucentrentoli di Monteloro, ruotava un mondo ancora attaccato alle vecchie tradizioni, alle "cose antiche" come diceva la gente, pieno di personaggi che sembravano usciti, or ora, dalla penna di Balzac se non addirittura da quella di Zola, a cominciare dall'orologiaio, fiorentinissimo, morto a cent'anni, con il negozio a tre passi dal Ponte Vecchio, come lo stesso Parrini, oppure il tabaccaio di Borgo San Frediano che, in quel rione comunista, atterrava, con un sonoro "cazzotto", coloro che avevano da ridire sullo Stemma Granducale che, orgogliosamente, teneva esposto in bottega, come il Segretario di "Giorgio di Monteloro", anche lui sanfredianino che, in età avanzata, dopo aver dato la sua vita al Granduca, si dedicò alla Sezione degli Alpini, come il famoso avvocato, il più grande collezionista di cimeli granducali, come tutta quella lunga teoria di persone, insignite della Croce Granducale della "Fedeltà - Lealtà - Onore e Merito" che, ogni anno, veniva assegnata ai "fedeli sudditi", dopo la S. Messa celebrata da don Boretti, nella chiesa di San Giuseppe, di fianco alla Basilica di Santa Croce, prima del pranzo "granducale" presso l'hotel "Cavour" e, dove, immancabilmente Giorgio Cucentrentoli, si prendeva un'arrabbiatura perché non riusciva mai a portare a termine il progetto dell'erezione di una semplice croce in marmo in quel della "Badiola", nel grossetano, come lo stesso Granduca aveva lasciato scritto nel testamento a suo figlio "Se avrai modo di passare ancora per le terre di mia amata Toscana, soffermati alla "Badiola" e poni una pietra ed una croce sola e siavi scritto: "Pregate per Leopoldo Granduca di Toscana".
Altri eressero, secondo i "desiderata" dell'ultimo Granduca di Toscana Leopoldo, la Croce alla Badiola; ma anche Giorgio Cucentrentoli volle lo stesso "piantare" quella sua Croce che tante arrabbiature e sudori gli era costata, e lo fece a Badia a Prataglia (Arezzo) nel 1990, nella chiesa parrocchiale dopo una Messa in suffragio di Leopoldo II e di Carlo Siemoni. E dopo la Messa il Conte Giorgio Cucentrentoli di Moteloro tenne il suo ultimo discorso:

"L'Antica Toscaia trasmette ancora degli echi, suscita dei rimpiati e delle nostalgie, a torto o a ragione, dei raffronti per il buon governo, l'esemplare amministrazione dello stato e quelle felici aure che si respiravano quando la vita dei singoli e delle moltitudini era più semplice e si gioiva per un buon bicchiere di vino o per una stratta di mano che quella volta valeva più di mille carte bollate... Era un mondo diverso, un mondo di fiaba e a dimensione di uomo..."

Da allora, come detto, Giorgio Cucentrentoli di Monteloro, si ritirò a vita privata, in una sua casa di campagna sulle colline di Pelago, insieme ai suoi libri, ai suoi cimeli e ai suoi numerosissimi gatti, non prima di averci fatto assaporare e rivivere - io ebbi il privilegio di partecipare a quella commuovente cerimonia in quella bella mattinata piena di sole del 26 marzo 1990, in mezzo a una folla entusiasta, ai bambini delle scuole che sventolavano, con le loro mani, la bandierina della nostra Toscana, alla presenza di un Principe Lorenese, del Conte Neri Capponi, Rappresentante del nuovo Granduca e di tante autorità civili, militari e religiose - ancora una volta i "bei tempi andati", come descrisse, nel suo appassionato "Diario" il Granduca "Canapone" dopo una sua visita a Pratovecchio tra i suoi amati sudditi:

"28 ottobre 1849. Pratovecchio bella festa amorosa. L'antica Toscana si riconosceva. Pratovecchio in festa. Illuminazione, bandiere, gente... giovani, arco e Funzione. "Viva Leopoldo II, la Real Famiglia" - La famiglia Siemoni veniente, le bambine con il mazzo di fiori, le donne al governare la casa. Gioia semplice e vera. Era mia Toscana, ci si riconosceva a vicenda. (Presenti) tutti i Gonfalonieri, i notabili. Il Casentin tutto rappresentato. Io appena venuto per star con loro. Toscana mia avevo ammaliata... Influenza di Siemoni, l'uomo. Tutti furon in armi. Casentino, sincero e compatto: la foresta loro a Toscana fortuna. Noi si era lavorato nell'Appennino e nella Maremma, non tutti hanno denti per morder nel duro."
(Cfr: "Il Governo di Famiglia in Toscana - Le memorie del granduca Leopoldo II di Lorena (1824-1859), a cura di Franz Posendorfer, Ed. Sansoni 1987)

Io non rivedevo il Conte di Monteloro dal 2000 quando, anche lui, venne a Borgo San Lorenzo, per rendere omaggio al Granduca Sigismondo d'Asburgo Lorena, che, dopo il mio invito, volle onorare la mia cittadina, Borgo San Lorenzo, con la sua presenza alla Premiazione della V Edizione del Premio Letterario "Tito Casini". E quante volte mi ero ripromesso di andarlo a trovare in via Sant'Agostino, in quell'ancor vivo e palpitante Quartiere di San Frediano che rivedo e rivivo tuttavia, nelle pagine del "mio" Vasco Pratolini... stasera reciterò per la tua anima, caro Giorgio, il S. Rosario certo che in Cielo, nella nostra Patria Celeste, avrai trovato la pace della cara "Toscana Felix"...

Pucci Cipriani

giovedì 25 gennaio 2018

XXXI INCONTRO DELLA "FEDELISSIMA" CIVITELLA DEL TRONTO - ETIAMSI OMNES EGO NON!

Venerdì 9, sabato 10, domenica 11 marzo 2018 XXXI INCONTRO DELLA TRADIZIONE CATTOLICA presso la "FEDELISSIMA" CIVITELLA DEL TRONTO. Il Convegno inizierà venerdì alle ore 18,30 con la celebrazione della S. Messa tradizionale e proseguirà, dopo la cena, con la Via Crucis per le strade di Civitella. Il sabato 10 marzo S. Messa ore 9:00 e ore 10:00 inizio dei lavori, con il canto del SALVE REGINA, fino alle 13:30. Nel pomeriggio alle ore 15:00 prosecuzione dei lavori fino alle 20:00. Canto del "CREDO". La domenica 11 marzo alle ore 10:00 S. Messa solenne in rito romano antico, ore 11:00 partenza della processione verso la Rocca della "Fedelissima", Alzabandiera con Inno Borbonico - Visita alla Roccaforte.



La mattina del 19 marzo 1861 Fra' Leonardo Zilli da Campotosto aveva portato, dopo la celebrazione della S. Messa, l'Ostia consacrata, insieme alle parole di conforto, ai soldati, sugli spalti della Roccaforte di Civitella del Tronto. E anche in quel 19 marzo 1861 i fuochi della notte illuminavano la Valvibrata... erano i "fuochi dei ribelli", come venivano chiamati dalla soldataglia piemontese i sudditi del Regno del Sud che così, sfidando gli ordini dell'esercito rivoluzionario schierato "a corona" in tutta la Valle, facevano sapere ai difensori della Roccaforte Borbonica che non erano soli e che i cuori della gente, di quella terra benedetta, battevano, all'unisono, per loro che combattevano — spes contra spem — la loro ultima battaglia per Iddio, la Patria e il Re, perché rifiutavano quella falsa libertà portata dai liberali giacobini : "che quando te la vengono a imporre con le baionette non è più essa"
Non furono i bombardamenti indiscriminati, non fu la fame né la sete, non fu la spossatezza a far cadere la Cittadella ma il tradimento di un Giuda, il Colonnello Ascione, compro dall'oro massonico, che, nottetempo, aprì le porte al nemico. Eppure erano stati respinti anche gli emissari di Re Francesco (Dio guardi!) che dispensava quei fedelissimi dal continuare la Resistenza dopo la resa di Gaeta, il 13 febbraio 1861 e quella di Messina, 12 marzo...ormai le Cancellerie di tutta Europa guardano a Civitella del Tronto con stupore e financo con ammirazione: infatti dopo la proclamazione della così detta "Unità d'Italia", di fronte a un immenso esercito, su quella Fortezza continua a sventolare la bianca bandiera borbonica con sopra i gigli dorati, ricamati dalla stessa Regina Sofia che, "per vie segrete", era stata fatta arrivare alla guarnigione. Per altri quaranta giorni, dopo la fine del Regno con la capitolazione di Gaeta, la sparuta guarnigione civitellese aveva tenuto testa a un intero esercito "imbestiato" da quella inaspettata Resistenza, perché quei soldati sapevano bene che quello era il loro dovere di servitori del Re e di uomini veri anche se la loro resistenza era "Senza speranza".
Chiunque avrebbe reso l'onore delle armi agli eroi di Civitella ma per loro era già stata decretata la morte. Il Maggiore Finazzi, ha avuto ordini precisi da quella "casta" di Generali "risorgimentali", ormai famigerati che, in nome degli ideali di "libertà e fratellanza", avevano messo a ferro e fuoco l'Aquilano, l'Ascolano e il Teramano... ancora eran fumanti le macerie di Pizzoli e Carsòli. E negli occhi dei "cafoni", dei montanari di quelle terre, della popolazione inerme, c'era ancora l'orrore dei saccheggi, degli stupri, delle violenze dei "liberatori" che avevano lasciato il segno a Casalduni e a Pontelandolfo, incendiando tutte le case con i loro abitanti (donne, vecchi e bambini) perché colpevoli di essere genitori o figli di "briganti" e coloro che fuggivano dal fuoco giacobino, venivano atterrati dai "gloriosi" bersaglieri, appostati in periferia, perché non vi fossero superstiti. Ma nessuno parla di queste infamie, di questa tremenda "Guerra civile".
Strani pudori quelli della storiografia "italica" che ricorda soltanto le rappresaglie delle SS tedesche contro le povere e inermi popolazioni italiane... ma si dimentica dei massacri dell'esercito piemontese "liberatore", scordandosi delle teste, quelle dei così detti "briganti" e dei loro familiari ("amici e manutengoli dei "briganti!), issate sulle picche dei rivoluzionari invasori al soldo della Massoneria inglese. Sì, come in Francia ai tempi della Rivoluzione. E, infatti, il Risorgimento italiano fu, davvero, la Rivoluzione italiana.
A calci e a colpi di moschetto i "capi" della Resistenza civitellese vennero portati in paese : il Tenente Messinelli che, fino in fondo, era stato con i suoi soldati, incoraggiandoli e confortandoli come fosse un fratello maggiore, Zopito di Bonaventura, "O' Generale de Franceschiello", il "brigante" che, lasciando la moglie e i figli, era venuto dentro le mura della Fortezza per difendere la propria terra e combattere gl'invasori giacobini e, infine, il francescano padre Leonardo Zilli da Campotosto, l'eroico cappellano e combattente "lealista" lui stesso che, ogni giorno, con la celebrazione della S. Messa, dava forza e motivazione ai soldati del Re Francesco (Dio guardi!).
Di quali colpe si erano macchiate queste persone se non di quella di aver "trasgredito le leggi di guerra" con una "iniqua, prolungata difesa"? Per loro che avevano scelto la "parte perdente" e la fedeltà alla Monarchia e al loro Re c'è la sentenza di morte con fucilazioni alla schiena come si usa con i traditori. : la sentenza di morte viene eseguita dietro la chiesa di San Francesco, a Porta Napoli, dove, ancora sono visibili sui muri i segni lasciati dalla fucileria piemontese. ll primo a cadere sotto il piombo sabaudo massonico è il Tenente Messinelli mentre guarda, come incantato, quella neve vergine che, sotto il sole tiepido della primavera, imbianca il Gran Sasso... poi Zopito di Bonaventura che ha messo sulla sua giubba la coccarda rossa borbonica. Il suo ultimo pensiero è per la famiglia, per la moglie Giacomina :

"O Giacomina vestita a lutto
o Giacomina in cappellino"

E poi è la volta di padre Leonardo Zilli da Campotosto. La sua fine ci vien raccontata da un testimone oculare, Elisabetta De Gregoris in Marcellini:
"Il plotone dei bersaglieri è con l'armi puntate. Padre Zilli da Campotosto si asciuga la fronte con una pezzuola che poi ripone con cura nella tradizionale manica del saio; guarda in alto come per cercare Dio. Ha chiesto al Maggiore Finazzi una grazia, quella di poter essere seppellito nella sua chiesa.
"No" replicò il Finazzi: "I briganti devono essere seppelliti sul luogo!"
Allo sparo che rimbomba stranamente il frate cade in avanti e il cappuccio — alzandosi — gli copre ora, in terra, tutta la testa.

"Christus vincit! Christus ragnat! Christus imperat!" avevano cantato, la sera del 19 marzo, i difensori della "Fedelissima" nella chiesa di San Jacopo. E quegli eroi si erano immolati "Per Iddio, la Patria, il Re" . O Signore, Dio degli eserciti, accogli quei prodi tra le tue braccia.

* * *

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiero in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!

(Danta - Purgatorio - Canto VI)

Siamo a fine anni Sessanta (il Sessantotto) e son passati più di cent'anni dall'ultima Resistenza di Civitella del Tronto, un eversivo vento infuria tremendamente su l'Italia e in tutta Europa e non soltanto in Europa : quella che un tempo veniva chiamata la "Civiltà Occidentale" sta scardinandosi, cadono, ad una ad una, tutte le difese e le "città fortificate" messe a guardia di questo patrimonio cristiano, si perdono i valori, non ci sono più princìpi; a sera nelle città, cortei studenteschi - le scuole sono state trasformate in bivacchi e le Università in postriboli dove si pratica il "libero amore" - attraversano le strade al grido di "Camerata basco nero/ il tuo posto è al cimitero" rivolti ai Crabinieri del Battaglione Mobile e, rivolti alla polizia, il grido scandito "PS = SS".
Contestano tutto e tutti questi ragazzacci che diverranno assassini; per loro è "Vietato vietare"....cominciano a far notizia (poi non la faranno più) i primi morti tra i poliziotti,tra i carabinieri,tra i ragazzi di Destra. Nelle Università c'è il "voto unico garantito", il "Todos caballeros", e i professori (i pochi che si rifiutano di recitare questa farsa) vengono sbattuti fuori dalla canaglia urlante...se qualcuno viaggia con in tasca un giornale di Destra viene sprangato come vengono sprangati (Sergio Ramelli docet) quegli studenti che hanno l'ardire di dichiararsi contrari alla "contestazione globale"...arriva il divorzio, l'attacco frontale alla famiglia, al quale seguiranno l'aborto,l'eutanasia, la droga libera (con la capziosa differenziazione tra "droga leggera" e "droga pesante"...quando si sa bene che ogni droga porta alla morte).Inizia allora quel cambiamento antropologico dell'uomo che ha, oggi, il suo culmine nei matrimoni contronatura e nel gender.
Questa Rivoluzione sessantottarda arriva dopo la 1° Rivoluzione che è il Potestantesimo, la seconda Rivoluzione che è la grande Rivooluzione francese, e quelle nazionali come il così detto Risorgimento italiano, quindi la terza Rivoluzione ovvero il Comunismo.Il Sessantotto è la Rivoluzione che durerà di più ("Lotta continua" era il nome del Movimento a cui aderivano le giovani canaglie della scuola), dunque la quarta Rivoluzione è quella peggiore perché è "in interiore hominis", nei costumi, nelle tendenze.E' il vecchio mondo che crolla : ma ci fu anche un altro Sessantotto, quello che il rosso Cardinal Suenes definirà "Il nostro Sessantotto, il Concilio Vaticano II"...e allora si vedranno sorgere le così dette Comunità di Base, la ribellione dei preti ai loro vescovi e dei fedeli ai sacerdoti...in molti casi le parrocchie e gli oratori (pensate che don Bosco voleva "l'Oratorio" perché i giovani si facessero Santi") diventeranno i "Covi" da cui partiranno i killer, i brigatisti rossi, giovani che cercavano la "Rossa primavera" e che avevano imparato la lezione dell'odio fin da ragazzi; dai robivecchi si trova di tutto: cotte, manipoli, stole, pianete, candelabri, reliquiari, reliquie e rocchetti, carte glorie e quadri...mentre viene estromesso il latino che era stata fino allora la lingua universale della Chiesa (e si badi bene il latino viene tolto prima dalla liturgia che dalle Scuole Statali), si afferma da molti pulpiti che "Dio e morto" e si insegna la religione come "Lotta di classe", mentre don Milani, il prete ribelle, il falso converso, proclamerà che "L'obbedienza non è più una virtù ma la peggiore delle tentazioni!"
Quella "Societas Cristiana" che, nonostante tutto, era sopravvissuta fino a tutti gli Anni Cinquanta, scompare e regnerà, come ai tempi del Terrore in Francia, il caos e...Satana camminerà in prima fila, davanti alle schiere della Rivoluzione.
Noi iniziammo nei Sessantotto la nostra "ultima battaglia" che ancora stiamo combattendo, in questo triste momento di aspostasia. L'abbiamo combattuta nelle scuole, negli uffici, nelle officine, nei posti di lavoro. Qualche sacerdote l'ha combattuta, in solitudine, nella propria parrocchia, additato come "reprobo".. Civitella allora rappresentò un simbolo : il simbolo più bello della Resistenza ad oltranza dove ci siamo, ogni anno, ritrovati e dove, tuttavia, ci ritroviamo per difendere i valori eterni della Santa Tradizione.
E sugli spalti di Civitella, di fronte al sacello dei caduti per il loro Re, prendemmo l'impegno di uomini veri, quello di non mollare facendo nostro il motto che la stessa Regina Sofia ricamò sulla bianca bandiera gigliata "Non mi arrendo!". Nel 1989 iniziarono i nostri Convegni e nacque l'ANTI 89 e tutti gli anni, sugli spalti della "Fedelissima" Civitella del Tronto, gli uomini della Tradizione, i vecchi e i giovani, si ritrovano per rinnovare il loro giuramento d'onore di fronte ai Martiri dove, ogni anno, viene celebrata la Santa Messa nel rito romano antico, la Messa di sempre e di tutti ( e anche questa è una grazia che abbiamo avuto grazie ai sacerdoti della benemerita Fraternità San Pio X rimasti sempre fedeli alla Tradizione).
Anche quest'anno, nel 2018, a cinquant'anni precisi dalla Rivoluzione del Sessantotto, ci ritroveremo nella "Fedelissima Civitas" per dare questa nostra testimonianza di amore e di fede, sicuri che, altri, un giorno riceveranno il testimone, per tramandare a loro volta quello che noi abbiamo saputo trasmettere "Tradidi quod et accepi"

Pucci Cipriani



lunedì 15 gennaio 2018

Controrivoluzione n. 127




È uscito il n. 127 della rivista "Controrivoluzione" fondata e diretta da Pucci Cipriani. In questo numero illustri firme del mondo Tradizionalista hanno dato il loro contributo.
Il numero si apre dunque con il fondo del Direttore Pucci Cipriani: "Quando i vertici ecclesiastici e quelli politici non volevano che si parlasse di Anticomunismo" in cui Cipriani, ricordando la testimonianza di don Ernest Simoni (creato recentemente cardinale) in ventisette anni di prigionia e di torture nelle tremende prigioni albanesi, rammenta anche l'atteggiamento degli allora "comunistelli di sagrestia", oggi tornati in auge, che tacciavano di "fascisti" coloro che osavano parlare di Gulag e di persecuzione nei "Paradisi sovietici"; Massimo de Leonardis fa una lucida analisi sulla "Brexit" e la vittoria americana di Trump con: "Divine 'Surprise' la Brexit e la vittoria di Trump"; Roberto de Mattei ricorda la conferenza tenuta negli anni Settanta da S.E. Mons. Lefebvre a Palazzo Pallavicini: "Un esempio di resistenza cattolica: la Principessa Pallavicini"; una critica al cosiddetto "Risorgimento" italiano in un saggio di Massimo Viglione: "Il tenebroso Cavour e il vero volto del Risorgimento";  Cristina Siccardi affronta il problema della odierna crisi della Chiesa con il saggio: "Nelle profezie di don Bosco l'attuale 'cancrena' della Chiesa"; un breve saggio di Giovanni Tortelli su "Protestantesimo e Massoneria" e, sempre per rimanere in ambito massonico, Carlo Manetti scrive su "L'infiltrazione massonica nei partiti"; mentre Enrico Paolieri rievoca "La conversione di Papini".
La rivista chiude con una interessantissima rubrica di recensioni librarie con interventi di Gabriele Bagni, Michele Beghin, Luca Ferruzzi, Lorenzo Gasperini, MV, Ascanio Ruschi, Giovanni Tortelli.

Una copia Euro 6,00 - Sei numeri Euro 30,00
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mercoledì 10 gennaio 2018

Lecca-lecca Papa Francesco

Ricordo il libro: "Fiori per io" del 1980 di una giornalista di Destra che a me, allora, piaceva moltissimo, si chiamava Gianna Preda e scriveva sul settimanale "Il Borghese" un settimanale che acquistavo ogni sabato. Racconta la Preda di quando era bambina e, insieme ai compagni, giocava in un giardino della sua Bologna: veniva disegnato in terra, con un gessetto, la sagoma grande di un uomo, quindi venivano sorteggiati, a turno, i partecipanti e, ciascun bambino, doveva scegliere una parte anatomica del disegno da "offrire al Duce". E iniziavano così: "Io al Duce gli do' il cuore" e il secondo: "Io al Duce gli do' la testa" (e con una X cancellavano quella parte anatomica) e così via... Ormai - narra la Preda - tutti i pezzi erano esauriti e rimanevano soltanto le parti "dove non batte il sole" e all'ultimo bambino, un morettino, che l'autrice crede di identificare in Renato Zangheri, il futuro Sindaco di Bologna, non resta che esclamare "Io al Duce ci do' il culo"... E questo suscita la reazione di un anziano pensionato, seduto su una panchina, che interviene: "Ci mancherebbe altro che glielo dessi anche tu... già gliel'hanno dato in tanti!"
Mi è tornato alla mente quest'episodio quando ho visto, di fronte a una vetrina, una mamma che aveva per mano la sua bambina che accennava la vetrina dove erano esposti tanti lecca-lecca giganti raffiguranti Papa Francesco con un cartello "Lecca-lecca Papa Francesco" con preghiera allegata Euro 4.
In quel preciso momento avrei voluto dire alla bambina - parafrasando il Morettino, amico della Gianna Preda - "Non fartelo comprare... ci sono già abbastanza che lo leccano".
Ecco, con questo esempio, io vorrei spiegare la Papolatria. Da quando è salito al Soglio Pontificio il Papa "venuto dalla fine del mondo" c'è stata una metamorfosi della grande stampa italiana (e delle TV) e anche in parte della così detta "politica". Da una posizione di attacco frontale al "Papato", e in particolare alla persona di Benedetto XVI, all'esaltazione di Bergoglio... fin dal primo momento. Finalmente - dicono - un Papa che non va contro il mondo ma è il "Papa del mondo" quello che, in poco tempo, ha dato un calcio alla "forma" e ha riportato anche nei riti, nell'abbigliamento, nello stile (diceva Buffon: "Lo stile è l'uomo") al Sessantotto. Un Papa che finalmente, dicono i giornalisti in servizio permanente effettivo del Mondialismo Massonico, ha lasciato il trionfalismo e ha rifiutato mozzetta e stola, un Papa che telefona a destra e a sinistra fino a diventare molesto, un personaggio che non vuol esser chiamato Papa o Pontefice ma semplicemente "Vescovo di Roma" e che disdegna i Palazzi pontifici, per vivere alla Locanda Santa Marta, per "controllare meglio i suoi nemici", un "Vescovo di Roma" che, con ostentazione si rifiuta di inginocchiarsi davanti al Tabernacolo con il SS. Sacramento, ma che si inginocchia davanti agli uomini, un Papa che non benedice facendo il gesto della croce ma facendo mille altri gesti e che, con la stessa ostentazione con cui non si inginocchia di fronte alla Presenza reale del Cristo, si rifiuta di salutare con "Il sia lodato Gesù Cristo" o con il francescano "Pace e bene" preferendo il "buon pranzo", un Papa che, pur avendo a disposizione schiere di guardie del corpo e valletti, nei viaggi si fa riprendere con una borsona alla Mary Poppyns, con gli scarponi alla zampognara e i pantaloni che escono dalla veste bianca trasparente, da cui si intravedono pantaloni o braghe.
Ma attenzione se è vero che, in un primo momento Bergoglio era chiamato "Totò", subito dopo il nomignolo è stato tramutato in "Dionigi", alludendo al tiranno Siracusano.
Bergoglio trova subito il suo dotto Eginardo (colui che cantò le gesta: "Gloriosissimi imperatoris Karolis Magni") nella figura di Eugenio Scalfari che diventerà il suo biografo, il giornalista di riferimento, il suo confidente, il suo amico, per cui quando qualcuno vuol sapere notizie sulla situazione della Chiesa si rivolge direttamente al fondatore di "Repubblica", ateo e anticlericale, al quale detterà, in contrapposizione all'insegnamento dei Sommi Pontefici, ribadito fermamente da Benedetto XVI il suo "Manifesto del Relativismo": "Ciascuno di noi ha una sua visione del bene e del male. Noi dobbiamo invitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il bene".
Insomma inizia il "Magistero bergogliano" che vede nell'episodio dell'adultera un "Gesù che fa un po' lo scemo" e che ha mancato contro la morale. E alle domande dei giornalisti, in aereo, dopo i viaggi, risponde a braccio... e quando gli chiedono l'atteggiamento della Chiesa verso gli omosessuali, riferendosi al suo nuovo collaboratore Mons. Ricca messo ai vertici dello IOR risponde: "Chi sono io per giudicare un gay?" guadagnandosi, nel 2013, la nomina a "uomo dell'anno" dalla rivista storica del Movimento omosessuale americano "The Advocate" che lo ritrae in copertina con la scritta virgolettata "Chi sono io per giudicare un gay?"
Sdoganata l'omosessualità con gioia di tutte le gazzette eccotelo con quella sublime enciclica con le nuove norme dettate ai cristiani per meritare il paradiso: la salvezza degli aracnidi e dei serpentelli, la raccolta differenziata della spazzatura, il risparmio energetico, insomma bando all'"Angelo di Dio" e al "Pater Noster", l'importante è un pensierino sul surriscaldamento del pianeta (nel Nord America, guarda caso, il termometro è sceso a -40) ...
E poi - a proposito di spazzatura - ecco l'assemblea fatta in Vaticano, promossa dal Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace, dei Movimenti Popolari mondiali, che tradotto in italiano significa l'incontro con i delinquenti "rossi" mondiali rivoluzionari. Tanto che gli "educandi" del centro sociale "Leoncavallo" - dove si consuma e si spaccia droga - sono entusiasti di Francesco che ha detto loro: "Andate e portate a termine la vostra opera", ovvero, riprendete in mano le chiavi inglesi e andate ad aprire, come cocomeri di Rassina, le teste dei "Benpensanti" definiti - tout court - "Fascisti"... insomma - chiosa Rep.it del 24 agosto 2014 - "Il Leoncavallo si dice vicino all'attitudine del nuovo pontefice, che ha riportato il cristianesimo al suo messaggio originario" (Ipse dixit).
Ma se un Pontefice non mostra qualche esempio da seguire che Pontefice è? E allora Bergoglio esegue diligentemente il suo compito. Non ci presenta San Pietro o San Paolo, San Giovanni Bosco o Santa Caterina da Siena, Santa Maria Goretti o San Doemnico Savio... gente anacronistica e fuori dal mondo. No gli esempi e (testuale) "le persone da seguire" sono i radicali Marco Giacinto Pannella ed Emma Bonino.
A tessere le lodi di Marco Pannella, il padre del divorzio, dell'aborto, della droga libera e dell'eutanasia, inizia un personaggio che, nella sua comicità, ha del tragico, e risponde al nome di Federico Lombardi, l'allora Portavoce vaticano, che dichiara: "Lo ricordo con stima e simpatia, pensando che ci lascia un'eredità umana e spirituale importante (...) di impegno civile e politico religioso, per gli gli altri e in particolare i deboli e i bisognosi di solidarietà".
Poi Monsignor Paglia, di fronte al quale perfino Lombardi diventa un gigante del pensiero, durante una bisboccia nella Comunità Cattocomunista di S. Egidio si rivolge all'agonizzante figuro radicale con queste parole: "Ti do' un abbraccio di cuore e ricordati che abbiamo tutti bisogno di te"... Inutile poi sottolineare come il chiacchieratissimo Mons. Paglia - uno dei pezzi da novanta della "squadra" bergogliana insieme a Mons. Bruno Forte, mons. Semeraro e mons. Becciu - sia stato incaricato dal Papa di "distruggere" l'Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi sulla Famiglia mettendo alla porta Mons. Melina espressione "reazionaria" della Curia Woytilo-Ratzingeriana.
Ma Francesco è andato oltre nella "beatificazione" della mammana Emma Bonino - la quale, tra l'altro, pubblicamente si è vantata di aver eseguito, con una pompa da bicicletta oltre diecimila aborti: "il prodotto abortivo (i corpicini dei bambini tritati, n.p.c.). dichiarò a suo tempo la mammana, veniva poi messo in un vasetto di marmellata... "ed era questo un motivo per farsi quattro risate ed abbassare così la tensione" - invitandola in Vaticano, nella Sala Nervi, in mezzo a seimila bambini, a pontificare e, affermando, poi, "mi dicono che è gente che la pensa in modo diverso da noi. Vero. Ma bisogna guardare alle persone, a quello che fanno". (Forse a Bergoglio era sfuggito il particolare dei diecimila aborti fatti dall'"Orchessa").
Poi, dopo un viaggio a Cuba, quattro salamelecchi al satrapo comunista Fidel Castro, un "calcio nel sedere" ai dissidenti cattolici castristi - i quali portavano, e portano tuttavia, sui loro corpi e nei loro cuori, i segni delle torture dell'inumano regime rosso dell'Isola Caraibica - che Bergoglio non volle neanche incontrare; le polemiche in diretta tra il Papa e il candidato repubblicano alle elezioni americane Donald Trump (qualcuno azzarda l'ipotesi che la campagna elettorale dell'ultraabortista e guerrafondaia Hilary Clinton, detta "La Cagna", sia stata sovvenzionata anche dal Vaticano), la sua politica filoislamica per cui, affermò "L'Europa deve molto all'Islam"... come se a Lepanto e a Vienna non fosse stata fermata, dalla Cristianità, l'invasione della barbarie della Mezzaluna. E ancora il silenzio di Bergoglio sulle persecuzioni islamiche (silenzio assoluto anche sul genocidio dei cattolici nigeriani), i suoi comizi "boldriniani" - l'ultimo la notte del S. Natale di quest'anno - in cui viene politicizzato in senso pauperistico il Messaggio evangelico... e ancora la negazione che ci siano dei "principi non negoziabili", come invece affermò SS Benedetto XVI, a schiena diritta, di fronte a Giorgio Napolitano, che aveva varcato, con baldanza arrogante, le soglie vaticane, nella speranza di poter fare "abbassare la guardia" sui principi etici... Infine la difesa bergogliana di quella sorta di "Associazione a delinquere" che le ONG, le cooperative rosse e la Caritas, hanno messo in piedi per lo sfruttamento degli immigrati che - apprendiamo dalle intercettazione di "Mafia Capitale" - rendono assai più della droga.
Ma la svolta vera e propria doveva avvenire con la "Amoris Laetitia" il documento pontificio, imposto "manu militari", da Bergoglio - nonostante le votazioni contrarie allo schema presentato - con il quale si cambia la Dottrina e quindi la Fede cattolica legittimando il divorzio con l'inganno levantino: "La dottrina non cambia: cambia la pastorale"... mandando al diavolo il "principio di non contraddizione!". Tuoni e fulmini sui cardinali che hanno presentato al Papa i "dubia" ovvero la dimostrazione teologica - il Santo Padre, con diploma di perito chimico, non sembra molto ferrato in teologia - delle eresie contenute nel documento.
Il più grande filosofo cattolico vivente, Robert Spaeman, amico personale di Benedetto XVI, ebbe, allora, ad esclamare: "Anche nella Chiesa c'è un limite di sopportabilità".
Naturalmente i "media" - contrarissimi a Ratzinger che giunsero a veri e propri "linciaggi morali" nei confronti del regnante Pontefice - esultano per Bergoglio, ne tessono le lodi giornalmente e, a lui, innalzano peana e gl'incensi laici... nelle trasmissioni televisive di Fazio, Barbara d'Urso, Chiambretti e via contando è lui, Bergoglio, l'eroe che, finalmente, ha "reso moderna la Chiesa", ha "vinto il bigottismo", ha "aperto ai gay e ai divorziati" ha lasciato dietro le spalle le "anacronistiche condanne" e - grazie alla sua parola magica, la "Misericordia" (che non si sogna neanche di coniugare con la giustizia) - sembra voler abolire - tout court - anche il peccato. E oltre a Scalfari, la maggior parte della stampa lo incensa, il "Corriere della Sera" lo adora, la "Stampa" lo venera, "Il Fatto Quotidiano" addirittura vede nel papa argentino il proprio eroe rivoluzionario e ne pubblica i libri, considerandolo l'ideologo più accreditato della Sinistra. Alba Parietti, Benedetto Della Vedova, Lerner, Mentana, e il circo equestre mediatico-politico sarebbero pronti a dare la vita, qualora ce ne fossero due o tre, per un "papa che finalmente ha cambiato la Chiesa e ha capito che deve marciare con i tempi".
I partiti di sinistra, di centro e perfino qualche personaggio di certa "falsa destra" vedono in Bergoglio l'alfiere dei "Diritti civili" ovvero di tutto cio' che - si sarebbe detto un tempo - "tira" ovverosia piace ed è fatto lecito come: "Semiramis lussuriosa che libito fe' lecito in sua legge" per cui l'Argentino, proprio dopo che venivano rese note le condanne degli orchi "rossi" del Forteto, ovvero i fondatori e i dirigenti - tutti ex alunni o seguaci ed estimatori di don Milani - della Cooperativa comunista dove venivano resi schiavi, torturati e violentati i bambini, "carne fresca" inviata agli orchi dal Presidente del Tribunale dei Minori di Firenze e grande amico di don Milani, Giampaolo Meucci, non ha esitato ad andare a Barbiana e tentare una sorta di Beatificazione di don Milani dove erano invitati tutti: i sacerdoti della diocesi, gli ex alunni di don Milani... ma non il Comitato delle Vittime del Forteto, per paura che qualcuno di loro rivelasse fatti incresciosi del rapporto don Milani (milaniani) Forteto.
Al "lecchinaggio" laico va aggiunto il lecchinaggio scontato dei "cattocomunisti" e quello di preti e vescovi che, pur criticando in privato l'Argentino, hanno capito come, per evitare grane e vivere felici e contenti, occorra adeguarsi ai tempi e hanno scoperto, anch'essi, l'arte del lecca-lecca, la "Papolatria": così abbiamo visto, ad esempio, adeguarsi il Patriarca di Venezia e abbiamo visto anche l'arcivescovo di Firenze, il Cardinale Giuseppe Betori - e Dio sa quanto ce ne dispiaccia -, scavalcare "a sinistra" (se così si puo' dire) lo stesso Bergoglio e cedere ai musulmani (in combutta con l'imam Ezzedin, il Sindaco pidiota Nardella, quello della rossa Sesto Fiorentino e l'ancor rosso Rettore dell'Università fiorentina) il terreno fabbricativo (venduto a un prezzo stracciato), che era stato donato dai fedeli cattolici per costruirvi una chiesa, all'Imam Izzadin, per costruirvi una Moschea, dopo quella di Firenze... sembra che lo stesso Izzadin, per paura di essere delegittimato dai suoi correligionari seguaci di Allah e del Profeta, abbia pregato Betori di moderarsi, nel suo abbraccio all'Islam, altrimenti "crederanno che Lei sià più musulmano di noi"...

"La sensazione (è) - commenta Marcello Veneziani sul suo Blog - che un Papa estroverso (Francesco) lasci scappare le sue pecore dall'ovile senza portarne di nuove a casa: Per dirla con Flaiano è un Papa che rischia di finire non in odore di Santità, ma in odore di pubblicità. Forse non si addice a un Papa essere acclamato da "Time" e dai media "personaggio dell'anno". Chi è missionario dell'eterno non può essere ridotto, in un corso accelerato di secolarizzazione, a star mediatico dell'anno".

Mi fa ridere Marcello Veneziani... ma gli pare che i pretoriani di Bergoglio, i suoi "sinistri" consigliori - tra cui spicca il gesuita padre Spadaro - pensino a queste bazzecole? Mica si chiamano Marcello Veneziani che quando al "Giornale" ha visto che non era più gradito dalla cricca sinistra di Berlusconi - dopo la svolta gay del satrapo puttaniere arcoreo - se ne andò dignitosamente da quel quotidiano felice di aver mantenuto le proprie idee e la propria libertà!
"Bergoglio è lì messo dalla "mafia di San Gallo" scrive nel suo libro: "Il Papa Dittatore" Marcantonio Colonna... e lì ci vuol rimanere e guai a chi lo tocca...
I Cardinali gli presentano i "dubia" e indicano le eresie contenute nell'Amoris Laetitia? Manco gli risponde... Anzi inizia l'epurazione a suon di randellate (per il momento soltanto virtuali) epurandoli... il Cardinal Sarah critica il "carnevale liturgico"? Gli manda alla Congregazione una banda di personaggi ultrarivoluzionari, capeggiati da Claudio Maniago, ex coadiutore dell'arcivescovo di Firenze ("La Messa va trasformata in una sala di regia" affermava a Firenze... ai tempi dello scandalo della Regina della Pace) e poi lo umilia, come avrebbe fatto il peggiore dei dittatorelli sudamericani, pubblicamente... Toglie il cardinal Burke dalla Segnatura Apostolica e gli concede la carica onorifica di Protettore dei cavalieri di Malta... poi lo toglie anche di lì commissariando l'Ordine degli stessi Cavalieri. Ma il suo capolavoro è stato la distruzione, fatta a sangue freddo, giorno dopo giorno, dell'unico Ordine fiorente nella Chiesa... un Ordine che aveva un fiorire incredibile di vocazioni, sia nel ramo maschile che in quello femminile, i Francescani dell'Immacolata; una vicende infame che la storia ricorderà con i nomi e cognomi degli artefici del misfatto.
Bergoglio, che sembra una pasta d'uomo, quando si irrita - d'altra parte, come lui stesso ha rivelato, è stato un cura per alcuni anni da una psicanalista ebrea - diventa un vulcano in eruzione, non accetta che si metta in discussione il suo "Verbo", si lega al dito il nome di chiunque sia non solo un "Cattolico fedele alla Tradizione" ma anche il nome di chi gli sta vicino o sia in odore di "tradizionalismo" e addirittura afferma che: "Vi sono anche le resistenze malevole che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive" ... Lo zio Adolfo, o "Beppino" Stalin non avrebbero detto diversamente.
I suoi "nemici" sono, ad esempio, i militanti Pro Life, che hanno, criticato il suo endorsement alla "eutanasia nascosta" nella legge sul testamento biologico, sono coloro che sono contrari a un'invasione islamica della loro Patria e che si oppongono - interpretando l'aspettativa della gran parte dei cittadini cattolici italiani - alla legge JUS SOLI che vorrebbe dare indiscriminatamente la cittadinanza italiana, a tutti quelli che arrivano in Italia... legge abbandonata perfino dai pidioti ma rivendicata dalle truppe cammellate bergogliane...
Insomma mentre Galantino, il Segretario della CEI a cui "fanno schifo e provocano disgusto i volti di coloro che sgranano rosari davanti agli ospedali dove si pratica l'aborto", pensa ai "pro life" iniziando nei loro confronti una sorta di persecuzione tanto feroce quanto stupida (usa come Pasdaran il Presidente del Movimento per la Vita Gianluigi Gigli, un vecchio trombone, rottame montiano, parlamentare uscente e che quindi dovrà dare l'addio allo stipendio... ma che spera, ora, in qualche carica forse promessagli dallo stesso Galantino, dopo aver inviato una lettera all'associazione MpV - in cui, tra l'altro, militano ottime persone - invitando non solo a boicottare la grande Marcia per la Vita che si terrà a Roma a maggio... ma ordinando anche di "evitare", e mettere nel ghetto degli intoccabile, personaggi, di cui, tra l'altro, fa nomi e cognomi, accusati di non essere "bergogliani doc"... Insomma una vera e propria lista di proscrizione.
Ora sembra che, come del resto fanno tutti i dittatori, in Vaticano ci si appresti a formare una sorta di Corpi di Polizia Speciale: l'OVRA (Opera Volontaria Repressione Antibergoglio) di cui potrebbe prendere il comando Massimo Introvigne, l'ex guardia del corpo di Mons. Lefebvre e caporione dell'allora "Alleanza Cattolica", già distintosi nella persecuzione dei Francescani dell'Immacolata e nella "censura" - insieme al prete guerrigliero Leonardo Boff - allo scrittore Vittorio Messori, reo di aver criticato - seppur sommessamente e cautamente - il Vescovo di Roma.
A capo dell'altro Corpo di Polizia Speciale, ovvero la GAYSTAPO, potrebbe andare il giornalista Andrea Tornielli, un linguacciuto personaggio detto "Il Formichiere" che, tornando all'episodio dell'incipit descritto da Gianna Preda, avrebbe forse scelto anche lui di "dare al Duce del momento" quella parte anatomica... se ne fosse stato costretto naturalmente; un personaggio, il Tornielli, adatto a difendere, usando ogni mezzo, dalla delazione alla calunnia, l'opera del "Conducator argentino" se è vero che "è l'aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende".


Pucci Cipriani

lunedì 11 dicembre 2017

Controprocesso a Papa Francesco (di Pietro De Marco)

Il professor De Marco interviene e confuta le tesi di R.R. Reno, Borghesi e Ivereigh nel monografico del "Foglio" dedicato al Pontefice


Caro Direttore, Matteo Matzuzzi ci ha offerto una mappa delle diverse diagnosi del travaglio della Chiesa sotto il pontificato di papa Bergoglio. Ma la mappa finisce con l’essere, per la sua stessa ricchezza di informazioni, un repertorio esemplare di spiegazioni o “narrazioni” per lo più erronee che non è possibile “lasciar correre”. A momenti viene da dire a biografi e opinionisti, ma anche a battaglieri colleghi improvvisamente filo papali: ma ci credete senza memoria o ci prendete in giro?


Il processo a Papa Francesco

Il cattolicesimo sta andando incontro alla più grande trasformazione da molti secoli in qua: entro trent’anni i suoi bastioni saranno in Sudamerica, Africa e Asia. Indagine su come il Papa sta rivoluzionando, non senza divisioni, la più grande religione al mondo
Ripercorro l’articolo. Trovo quasi in incipit una vecchia conoscenza; sono infatti decenni che si descrivono e diagnosticano lo spostamento di asse mondiale della Chiesa, la nuova composizione del Collegio cardinalizio e della Curia romana, e le loro implicazioni “future”. La vera novità di oggi è che le istanze delle chiese africane e asiatiche non corrispondono alle attese dei novatori “conciliari”. Basta pensare alla fermezza cattolica e romana del card. Robert Sarah, guineano, prefetto della Congregazione dei riti, o alle posizioni dei vescovi d’Africa e Asia al Sinodo dei Vescovi del 2015 sul regime sacramentale dei divorziati. Così avviene che, quando si oppongono le cattolicità extraeuropee alle “vetuste chiese europee” e si depreca “l’arroccamento [della Chiesa in Europa] in fortini sempre più diroccati”, si pensa di confermare uno schema perenne (la freschezza del ‘nuovo’ ecclesiale contro la conservazione del tradizionale), ma è il contrario che è vero. Abbiamo la freschezza della tradizione (della continuità cattolica) contro la vecchiezza di innovazioni e rivoluzioni. Insomma, il paradosso inconsapevole che risiede in questi enunciati è che i ‘fortini’ che si designano non sono quelli di una Chiesa conservatrice (alla quale in genere si riservano dal Concilio in poi queste metafore belliche) ma le stesse chiese modernizzanti d’Europa. Ci si dà, usando una immagine d’altri tempi, la zappa sui piedi.

La vera novità di oggi è che le istanze delle chiese africane e asiatiche non corrispondono alle attese dei novatori 'conciliari'.
Così per un’immagine-diagnosi successiva: la crisi attuale deriverebbe dall’apertura del “vaso di Pandora” delle “tensioni accumulatesi nel postconcilio e tenute a bada nella lunga stagione giovanni-paolina” fino a Benedetto XVI. Questa suggestione, per quello che vale, non è errata ma sconta anch’essa un’ovvietà: la maggior parte dei giornalisti e commentatori che scrivono ora non ha conosciuto gli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso. Non sa o dimentica, cosa comunque strana (vi è tanta letteratura in proposito), che ben altro vaso di Pandora fu aperto dall’evento-Concilio; il suo contenuto, che non è propriamente il Concilio stesso, si riversò in una lunga stagione di divisioni e diaspore, cui Roma dovette far fronte. L’età del pontificato di Paolo VI, poi quella giovanni-paolina, “tennero a bada” non tensioni che si accumulavano, ma l’opposizione esplicita e il disfacimento aggressivo di intere chiese nazionali e di ampi ceti teologici, trasformati in intelligencija “critica”. Con un successo parziale e pagato caramente: la persistente opposizione ai pontefici, fino a ieri, dell’intelligencija ecclesiastica e laica d’élite, derive teologiche e pastorali e liturgiche, effettive eresie. Salito ora al soglio di Pietro un uomo di una di quelle chiese e di quella intelligencija, sia pure nella diversità latino-americana (che da qualche secolo non abita alla “fine del mondo”!), segnato a partire dal Concilio da forti venature antiromane, il dramma di allora è oggi divenuto farsa. Poiché il Papa, per oltre venti anni vescovo ausiliare poi arcivescovo di Buenos Aires, non può evitare di fare due parti in commedia, il papa e il vescovo “anticuriale”, un ruolo prefissato che trova sempre giustificazioni. E non credo per la sua natura dialettica. Ne parlerò più avanti.
Quel miracoloso ma limitato successo dei pontificati di resistenza, poi di nuova partenza dottrinale e universalistica della Cattolica, non autorizza a dire che se ne sia ricavato “un falso senso di stabilità”; l’opinione di R.R. Reno, direttore di quello splendido periodico che è “First Things”, con cui in genere concordo. Non so negli Stati Uniti, ma in Europa i ‘conservatori’ o, semplicemente, quanti restano convinti della oggettiva verità di ogni enunciato del Credo che professano, avevano solo sperato che all’apice del percorso giovanni-paolino e benedettino vi fosse una uscita dal tunnel, ovvero dalla liquidificazione dell’Una Sancta. Avevano, avevamo, goduto di una boccata d’aria dopo una troppo lunga sopravvivenza in apnea, mentre per altri (ma lo sapevamo) ogni “stabilità” o “solidità” residua era ancora qualcosa da minare o liquefare. Nessuna illusione di “stabilità” né che, al di fuori della sede di Pietro, tanti fenomeni in corso si arrestassero. Ci affidavamo e tutt’ora ci affidiamo, spes contra spem, al Capo del corpo che è la Chiesa, al suo Fondatore e alla Sua promessa di divina assistenza.
Ma la cultura di papa Bergoglio, si dice, è più complessa di quanto appare. Che, stando al saggio di Borghesi cui Matzuzzi fa riferimento, non ci si trovi con papa Bergoglio “di fronte a una persona che non possiede le categorie per affrontare il mondo contemporaneo”, non è dire granché. Quali sono le “categorie” con cui la Chiesa e Pietro possono (ma direi: devono) affrontare il cosiddetto “mondo contemporaneo”? E vi sono categorie variabili?

Quali sono le 'categorie' con cui la Chiesa e Pietro possono (ma direi: devono) affrontare il cosiddetto 'mondo contemporaneo'? E vi sono categorie variabili?
La Gaudium et Spes tentò, oltre mezzo secolo fa, questa operazione sulla fine del Concilio e, com’era inevitabile, ne risultò una Costituzione conciliare ridondante, eclettica, già vecchia quanto a categorie di analisi. Ne restò, nel breve giro di anni, un pacchetto di citazioni buone a tutto, purtroppo anche ad essere usate come popolare chiave ermeneutica del Concilio, quello considerato vitale, “traente”; delle ovvietà sub-teologiche furono usate come perno per interpretare un corpus teologico (Costituzioni, Dichiarazioni, Decreti) controverso ma, spesso, di alto livello. Davvero un dato strutturale, che spiega molto di un post-Concilio tra radicale e imbastardito. Suo difetto essenziale còlto subito dalle stesse culture progressiste “escatologistiche” - come si diceva, per distinguerle da quelle orizzontaliste, sociali, dette “incarnazionistiche” - era l’aver cercato una proiezione mondo-centrica della fede e della vita cristiana, più che la diagnosi dei “processi storici”. Era in realtà, quella della GS, una ri-costruzione moderatamente “secolare” di un canone di “mondo”; ovvero, era l’ideologia prodotta dallo stesso saeculum che veniva privilegiata e assimilata come parametro di verità dall’intelletto cattolico. Quel supplemento di visione su come il “mondo” laico-secolare intendeva se stesso non si sarebbe dimostrato fecondo; era una visione del mondo (non più critica ma tale da sembrare, al contrario, quasi normativa per i cattolici), non il Mondo contemporaneo. Era ideologia aliena, da analizzare con sguardo fermo, distante; fu invece assimilata come amica. Agevole già allora, per le menti più libere, la previsione (oggi la post-visione, la scienza di Epimeteo) della successiva colluvies di equivoci e errori nell’esistenza credente.
Caro direttore, intenderci con i lettori su questi punti è importante. Papa Bergoglio ha certamente delle “categorie per affrontare il mondo”: ha anzitutto quelle del secolarismo cattolico. Di tanto in tanto il suo eloquio sembra sottintendere: But I can’t believe!, “questo non posso crederlo”, con J. A. T. Robinson, professore di Nuovo Testamento, vescovo anglicano, celebre per Honest to God, 1963, in Italia tradotto come Dio non è così (ma l’espressione equivale ad un Perdio! scelto dal buon vescovo per la sua equivocità ’esemplare’). ‘Non possiamo più credere x o y’, con le sue implicazioni, fu un canone popolare, alla portata di chiunque, anzitutto del clero e dei laicati colti. Innestato su molte altre mode e parole d’ordine, rivestito di ermeneutica, ha avuto lunga vita, e perdura.

Quali arroccamenti e su quale scacchiera?
Come credere, allora, che la Chiesa si sia “adagiata”, “chiusa in se stessa” dopo la caduta del Muro di Berlino come Borghesi spiega a Matzuzzi, e che “Bergoglio la riapre alla storia”? Quale chiesa? Che chiusura su di sé può praticare, su quali contenuti e forti istituzioni, una chiesa permeata da decenni di secolarismo (debole) se non in capite certo in membris? Da un lato, e dall’altro, quanta chiesa, non coincidente con questa, rimasta su tutte le frontiere? Ovviamente la diagnosi è empiricamente falsa. È vero semmai qualcosa di molto diverso e più volte diagnosticato: dopo il collasso della stagione politica, ha prevalso nell’onda lunga del post-concilio una visione dualistica (essere contro apparire, manifestarsi) della cosiddetta comunità cristiana in sé e per sé, che dovrà essere orante, celebrante ma, possibilmente, invisibile lievito - quasi il senso del lievito sia nel suo scomparire, più che il suo visibile operare, nell’impasto. Dunque non “pubblica” o politica, contro la supposta visione militante, di riconquista, del Novecento cattolico preconciliare, ma in effetti contro la vicenda millenaria della Cristianità. In compenso, e come conseguenza cercata, oltre il confine della “comunità” ogni singolo cristiano opererà “laicamente”, con totale arbitrarietà. È l’essenza della ‘scelta religiosa’ dei lontani anni Settanta. Questa disarticolazione tra fede e agire conseguente (non certo conforme ai modelli etici e politici millenari), era già stata di molte élites cattoliche, dagli anni Sessanta. Ma fu un drammatico segnale quando venne proclamata da una storica organizzazione del laicato per sua natura ordinata alla “azione cattolica”, formale e pubblica. E questa era la sua natura religiosa. “Azione cattolica” è formula ottocentesca, allora nuova, preesistente all’organizzazione laicale che prese questo nome e che non avrebbe potuto esistere in forma diversa. E l’AC non sopravvisse.
In terra cattolica, negli ultimi cinquant’anni, hanno operato sia radicali e diffusi indebolimenti secolaristici, sia l’attrazione per il Sektentypus (la tipologia protestante della piccola comunità di salvati) e uno spiritualismo anti-istituzionale, la crisi della missio (poiché il “cristiano anonimo” ha in sé idoneità sufficiente alla salvezza), la conseguente fine della presenza universalistica del clero: la fine della direzione spirituale diretta a chiunque [si direbbe ora: vada dallo psichiatra!], l’abbandono dell’abito e la mimetizzazione sociale. Invece di un prete palese, per tutti e di fronte a tutti, un uomo chiuso in canonica con la sua cerchia di parrocchiani “amici” e cento attività secondarie. Costituisce una assoluta confusione mentale, un collage inconsulto di dati e di analisi, sostenere che questa condizione di comunità, questo perseguire un ecclesiale in sé e per sé, che hanno prevalso, tra candore e mediocrità teologica, e distruzioni del passato, nelle parrocchie “riformate” dal Concilio (quelle che ancora esistono) specialmente in Europa, possano essere analogati a fortini o steccati o muraglie, secondo parametri da anni Sessanta. Se vi sono in Europa realtà ecclesiali, diroccate, cadenti, queste sono i prodotti del Concilio o, come preferisco dire, del suo cosiddetto “spirito”. Un quadro plurinazionale che coesiste e si oppone in Europa ad un altro, divergente, di chiese cattoliche nazionali, maggioritarie o meno, ma “resistenti” alle secolarizzazioni. Esemplare la polacca; miracolosa, agli inizi del terzo Millennio, la capacità di volersi rempart, baluardo e scudo, della Cristianità, mostrata nella catena di pellegrinaggi e rosari ai confini orientali ma anche occidentali! Aggiungiamo una residua capacità di resistenza di Italia e Spagna e delle stesse isole di identità cattolica nelle aree francofone. Qualcuno, cui manca ogni voglia celebrativa, sottolinea piuttosto i pericoli di una tale geografia di rapporti. Le divergenze tra chiese, anzi tra cattolicità, non troverebbero, per la prima volta da secoli, un punto equilibratore e regolatore in Roma, anzi proprio nel Papa un (il) fattore di divisione.

Se non ha corrispondenza con le cose affermare che “oggi siamo tornati nel recinto e questo rischia di clericalizzare la chiesa”, neppure ha senso dichiarare che “il Papa risulta essere destabilizzante per chi ama un mondo trincerato”?
Papa Bergoglio ha ragione quando stimola ad uscire e andare per le strade, ma è come non avvertisse che il “ritrarsi” spiritualistico e “rispettoso” (della laicità e dell’autonomia degli altri, dei valori del cristiano anonimo e via dicendo) da parte di preti e pastori, che oggi ha almeno un quarto di secolo, non ha niente a che fare con gli “antichi bastioni”, tema retorico della sua, nostra, giovinezza. Borghesi cita von Balthasar, Abbattere i bastioni! Bene, ma eravamo appunto nel 1952. Senza contare che il grande teologo e intellettuale, dalla sua Svizzera, forse non capiva bene quale fosse la situazione dell’Italia e di gran parte dell’Europa continentale, sotto la interna sfida comunista. In Vaticano si era meglio informati.
Di fronte ai laicati “conciliari”, minoritaristi e ostili a Roma, permeabili e mimetici verso tutto quanto non fosse cattolico (penso alla tragedia delle chiese protagoniste del Concilio, quelle francofone come quella olandese) l’opera di Giovanni Paolo II aveva già puntato su forze altre: i giovani, le chiese non europee, le stesse aree ecclesiali ‘tradizionali’, e riscoperto la essenziale ‘pubblicità’, in senso affine a quello giuridico, della Chiesa. Così, dire ora che “la Chiesa non può chiudersi entro il recinto di tre o quattro valori non negoziabili”, fa parte dei controsensi di una deformazione della realtà e di un cattivo uso della categorie. Con la battaglia sulle questioni bioetiche la Chiesa è stata, ed è, pubblica, alla luce del sole, conforme al proprio compito universale. Non casualmente queste battaglie furono accusate di ingerenza politica. Ma quale segnale più convincente della presenza cristiana attiva nelle banlieues spirituali della reazione che essa suscita in chi è responsabile di quelle rovine morali? Quale peggior segnale, invece, che questi soggetti responsabili (maîtres à penser, ceti intellettuali e politici ‘laici’) invece ti blandiscano, ti elogino?
E se non ha corrispondenza con le cose affermare che “oggi siamo tornati nel recinto e questo rischia di clericalizzare la chiesa”, neppure ha senso dichiarare che “il Papa risulta essere destabilizzante per chi ama un mondo trincerato”? Chi si sente in trincea? Il parroco che predica un Gesù accostante, solo umano e amorevole, perché non osa (o non sa) dire altro? Il prelato che, ormai stancamente, elogia i ‘lontani’? Per avere trincee bisogna aver qualcosa e qualcuno da proporre ed anche difendere; bisogna accettare, con coraggio, di avere anche nemici. Non è questo il caso oggi prevalente, anche se nello stringere le mani a tutti (nel limiti della correctness mondiale!) non vi è niente di virtuoso. Certo, chi combatte sembra avere trincee; così il mondo cattolico conservatore, o tradizionale, minoritario, che è però (anche) l’unico mondo che va allo scoperto, oltre le “trincee”. La convinzione pigra e politically correct che, essendo la missio per definizione pacifica (in realtà essa è annuncio della recuperata pace con Dio), per predicare si debbano cercare condizioni epidermiche di non conflitto, è un fragile sofisma che contrasta con l’intera esperienza della missione cristiana, dalle sue origini.
Non vi è topos, insomma, tra quelli documentati da Matzuzzi o reperibili negli autori che cita e in altri ancora, che non sia vecchio, o fuori contesto, o usato controsenso. Con il pontificato attuale schieramenti e significati (meglio: denotazioni) di parole sono mutati; questo, non il “puro vangelo” del Papa, è disorientante. Cercavo di spiegare ad una coppia di giovani (con figli) partecipanti alla Marcia per la vita, quale coerenza possa esserci tra la fedeltà al supremo magistero del vescovo di Roma, sempre creduto dal mondo “tradizionale”, e la contemporanea opposizione di questo mondo all’attuale pontefice. È sintomatico, dicevo, che le subculture cattoliche duramente antiromane da oltre mezzo secolo, oggi proclamino per la prima volta (loro!) una autorità del magistero ordinario, in senso estesivo, del Papa non suscettibile di critica. Si tratta di una geometria di posizioni ecclesiali alterata, normalmente incomprensibile. Infatti gli ex- oppositori di Roma non ammettono certo di essere diventati solo tatticamente filo- romani, perché a Roma c’è un papa che fa quello che piace loro, rigore dottrinale o meno, cosa che a questi ambienti non importa. Si trovano simpliciter e comodamente, per ora, ad essere i difensori del Papa. Il mondo conservatore invece, quello diretto e palese della Correctio, sa di avere l’onere di spiegare che una interna e intollerabile contraddizione resterebbe, se non si procedesse, come si è fatto, ad affermare che il papa attuale è talora gravemente in errore. E non può essergli dovuto assenso, almeno sui terreni in cui si muove senza la prudenza e la scienza (senza doni dello Spirito santo) che il suo munus gli impone. “I trascendentali sono inseparabili. La misericordia non può [in sé] essere contrapposta alla verità, sono due poli della stessa tensione ecc.”, ricorda Borghesi. Ma l’onere della prova d’essere dentro e non fuori questa dialettica è ora a carico del Papa.

Che Bergoglio abbia della chiesa una visione dialettica è possibile, forse scontato. Ma dialettica è categoria da trattare con rispetto
L’idea (Ivereigh) che “Francesco sta dicendo: bene, abbiamo risolto le questioni dottrinali, ora salviamo e guariamo” è davvero comica; talmente falsa la premessa “abbiamo risolto” che può nascere nella testa di chi non conosce né chiesa, né teologia, né storia. L’azzardata formula è preceduta da una più ampia lettura delle cose, del tutto erronea: “Francesco sta recuperando la dinamica pastorale del Concilio Vaticano II, che si è persa nel (necessario) processo di stabilizzazione postconciliare, in cui l’attenzione era rivolta all’ortodossia e all’obbedienza”. Ho già detto in proposito. Qualcosa è vero, ma solo sul polo dell’intenzione dei Pontefici; se ci limita, cioè, a parlare della “attenzione” di Roma e talora delle gerarchie nazionali, non di una conseguente e oggettiva “stabilizzazione”. Nella cattolicità molto è andato diversamente (quando non in forma decisamente aberrante); la dinamica pastorale del post-Concilio è sempre attiva e, se vi sono “stabilizzazioni” nelle parrocchie come nei movimenti o negli ordini religiosi, esse sono senza ortodossia né obbedienza.
Il giochetto di connotare i critici del Papa come gli uomini dalle “lenti sfocate”, “terrorizzati” dal nuovo, con “rendite di potere”, si scopre facilmente come inconsistente. I pezzi del puzzle in mano agli apologeti di Bergoglio non vanno a posto, non è quella l’immagine da ricostruire. Non si inventano impunemente delle narrazioni implausibili.

L’intellettuale Bergoglio.
Vi sono segnali cólti in papa Bergoglio, come ad esempio l’enunciato che “la realtà è più importante dell’idea”? Nella sua generazione, come nella mia, era diffuso questo topos anti-idealistico, tra pragmatismo ed esistenzialismo (e “filosofia della prassi”, vagamente marxista), perché sembrava risolvere la discussione sul primato della orto-prassi rispetto alla orto-dossia. Un equivoco tra i tanti, letali, di quella infelice stagione. Come può esservi orto-prassi cristiana senza un retto credere, se non presupponendo che l’orto-prassi di un cristiano sia ormai dettata da fuori della Tradizione e della Chiesa, da altre e opposte visioni del mondo? Così fu effettivamente negli anni Sessanta-Settanta, nei quali l’ortoprassi cristiana doveva essere esemplata sulle prassi rivoluzionarie e/o di liberazione. Dopo quella fase l’ortoprassi sarà esemplificata sulle libertà dei post-Moderni, proprio come la cultura comunista si muterà in “rivoluzione” dei diritti individuali. Papa Bergoglio è dentro una eredità cattolica del genere, e i suoi modelli di orto-prassi sono quelli non eroici delle quotidianità secolarizzate (quelle del sintomatico “chi sono io per giudicare?”) e post-cristiane.
La questione della cultura intellettuale di p. Jorge M. Bergoglio s.j. affrontata da Borghesi mi attrae molto, comunque; l’analisi delle culture filosofiche è il mio terreno di formazione. Mi limito a quanto Matzuzzi riporta, perché non ho ancora letto il libro di Borghesi; ma ho personalmente molta stima per l’autore di cui conosco altre cose. Che Bergoglio abbia della chiesa una visione dialettica è possibile, forse scontato. Ma dialettica è categoria da trattare con rispetto, non si tratta di credere che è vero A ma anche il suo contrario, pericolosa propensione questa che vecchi collaboratori argentini di Bergoglio gli attribuiscono.
Una visione dialettica della Chiesa condurrebbe ad esempio a pensare necessari gli opposti (detto per semplicità) dell’istituzione e dell’evento, del mistero-sacramento e della parola, della singolarità e della comunità, dell’interiorità e del culto pubblico. In una dialettica i termini che si oppongono vengono nell’opposizione stessa dotati di senso profondo e irriducibile. In Bergoglio non compare granché del genere. Il Papa, al contrario, sembra voler deprimere o trascurare quello che, nelle opposizioni che supponiamo essergli care, considera “superato” o dato staticamente: la liturgia ad esempio, celebrata sciattamente come per un obbligo formale, e la stessa istituzione ecclesiastica, che Bergoglio solamente “usa”. Forse la “dialettica” che predilige è tra Chiesa e mondo, ma è veramente dialettica o piuttosto una relazione in cui le distinzioni si liquidificano per risolvere preoccupazioni pratiche? Dov’è l’opposizione polare (il Gegensatz che presiede al concreto-vivente) del giovane Guardini, cui Borghesi rinvia? Ricordo: “La teoria degli opposti [...] parla di opposizioni non di contraddizioni. Le sintesi dei contraddittori, come sono presentate dal monismo, si spiegano col fatto che nessun concetto vi è pensato fino in fondo, nessuna essenza è vista con chiarezza, nessun confine è nettamente tracciato”.
Che “la legge che governa l’unità della Chiesa sia basata su una dialettica polare che tiene uniti gli opposti senza annullarli” è un paradigma corretto e importante. Ma è, in sostanza, la tesi della Chiesa cattolica come complexio oppositorum cara a grandi intellettuali tedeschi da Harnack a Carl Schmitt, passando per un autorevole studioso di religioni, Friedrich Heiler, che proveniva dal cattolicesimo. Salvo che in Schmitt, si trattava anche di una tesi che apprezzava storicamente ma condannava, infine, religiosamente il Katholizismus nella prospettiva protestante-liberale. E non è prospettiva che il “riformismo” cattolico, intimamente protestantizzante dalla dogmatica alla liturgia, prediliga.
Anche per queste ragioni, credo, non si trova un’idea “dialettica” di complexio nel Papa. Né dialettica né complexio di opposti hanno a che fare con i pragmatici “x ma anche y” che si intravedono nei suoi atteggiamenti, tantomeno con l’adesione a x stamani e al suo contrario stasera. Che poi, sempre sulla falsariga delle ipotesi di Borghesi, Karl Rahner non abbia avuto influenza su Bergoglio non è plausibile, poiché direttamente e indirettamente, attraverso molti tramiti e molte semplificazioni, Rahner è arrivato ovunque (cfr. De Marco, 2017). Mentre le linee che Hans U. von Balthasar sviluppò contro Rahner, quando il post-concilio apparve per ciò che era in molti ambienti e intelletti (falsificazione del dato conciliare, in una ipnotica inconsapevolezza), non affiorano assolutamente. Erano diventate, d’altronde, le passioni teologiche di una opposizione di minoranza, la rivista “Communio”, entro l’originaria militanza di Comunione e Liberazione, e altri periodici, che non si leggevano sui fronti cui Bergoglio apparteneva.
E non parliamo di Gaston Fessard s.j., il penetrante diagnostico degli errori del neotomismo degli anni Trenta-Quaranta acriticamente recettivo delle culture marxiste (il p. Chenu, ma anche Maritain) e geniale interprete di Hegel in teologia della storia, anzitutto. Ma i confratelli della Società non pubblicarono né il suo volume di dura critica alle teologie della liberazione (1968), tradotto in spagnolo (1979) e diffuso in America Latina, né il terzo volume della Dialettica degli Esercizi spirituali (postumo, 1984). Penso che se il giovane p. Bergoglio s.j. fosse stato veramente allievo di Fessard la sua maturazione intellettuale avrebbe conosciuto un altro percorso. E non parlo di teologia della liberazione, cui sappiamo che anche Bergoglio si oppose.

La “nuova era per la Chiesa” è iniziata da mezzo secolo e questo imporrebbe, come ho detto, più che ripetizione e enfasi di vecchi slogan, una analisi critica e un consuntivo coraggioso dei suoi effetti inattesi e dei suoi visibili fallimenti.
Non si deve togliere alla fervida speranza di Ivereigh e di altri niente di ciò che essa attende di buono da questo pontificato, ma prendiamo le misure delle cose. La “nuova era per la Chiesa” è iniziata da mezzo secolo e questo imporrebbe, come ho detto, più che ripetizione e enfasi di vecchi slogan, una analisi critica e un consuntivo coraggioso dei suoi effetti inattesi e dei suoi visibili fallimenti. La “credibilità della Chiesa, e la sua statura del mondo”, mai perduta in sé, è stata riconquistata da una trentina d’anni a livello pubblico mondiale da Giovanni Paolo II. E l’equilibrio, la complexio espressa dal pontificato wojtyłiano andrebbero meditati; non vi è per ora che una continuità marginale. Dire che “lo stile carismatico e personale di grande calore e sincerità” (quanto stabili e profondi questi tratti di stile?) renda “il papato molto più vicino al Vangelo”, corrisponde poi ad un’idea epidermica e un po’ salottiera della parola di Dio. Leggo che il programma di Francesco, quello eversivo del nostro gusto per le trincee, sarebbe “andare più vicino alle persone nelle loro realtà concrete, aiutandole a trovare la grazia” (ci si rendesse mai conto di quello che significano parole così importanti, invece di usarle a vanvera!) con una “proclamazione che sia kerygmatica e indichi la misericordia di Dio”. Sono parole d’ordine che, con minime varianti, hanno oltre mezzo secolo, in Europa e in America Latina. Furono e restano ambigue, minimalistiche, senza sostanza di mistero e sacramento in mano a entusiasti e sprovveduti. Ai loro effetti variamente combinati, perversi (non vi furono solo questi, certamente), si deve l’autodistruzione delle chiese europee, con poche eccezioni, nonché l’avanzata, in America Latina, delle ‘sette’ evangelical, molto più acute nell’individuare le “realtà concrete” e le vie personali (estatiche quanto pragmatiche) di enpowerment e salvezza. Non risulta che i vescovi dell’America Latina, e in particolare l’Arcivescovo di Buenos Aires con cariche di più estesa responsabilità, ora Papa, abbiano ammesso su questo fronte l’insufficienza della loro pastorale così accostante e nuova.
Non dobbiamo accettare, insomma, che, per gettare legittimi ponti di comprensione verso papa Bergoglio, si disegnino mappe della realtà fantastiche o ingannevoli.
Grato per la ricchezza del contributo di Matzuzzi e per l’intelligenza del Foglio nell’averlo ospitato nella sua inconsueta estensione, saluto cordialmente.

Pietro De Marco

Fonte: "Il Foglio" del 10- XII- 2017

domenica 10 dicembre 2017

IL CARDINALE DOMENICO BARTOLUCCI Dal Mugello alla Sistina, una vita polifonica (di Guido Scatizzi)

Era il 20 novembre 2010, quando papa Benedetto XVI volle onorare della sacra porpora il Maestro mons. Domenico Bartolucci, del clero fiorentino. All’epoca, alla venerabile età di 93 anni, si trattava del cardinale nominato più anziano di sempre nella storia della Chiesa. Il motivo di un simile privilegio non era certo difficile da comprendere, guardando a “le opere e i giorni” di questo nostro conterraneo.
Nato a Borgo San Lorenzo il 7 maggio 1917, Bartolucci dopo le scuole era entrato nel Seminario Maggiore di Firenze, esperienza della quale conserverà sempre un fulgido ricordo per la vita religiosamente orientata che caratterizzava la formazione del clero. Qui, oltre agli studî ordinarî, si dedicò ben presto alla musica e al canto sacro, affiancando Domenico Bagnoli, Maestro di Cappella del Duomo di Firenze. Alla morte dello stesso, sarà proprio Bartolucci a succedergli (e tutt’ora è un suo diligente discepolo, il Maestro Michele Manganelli, a ricoprire tale ruolo). Nel 1939, anno in cui venne ordinato sacerdote, si diplomò anche in composizione e direzione d’orchestra presso il conservatorio fiorentino; dal 1942 invece proseguì a Roma, ospite del prestigioso Almo Collegio Capranica, gli studî musicali. In poco tempo, dopo aver ricoperto il ruolo di vice Maestro di San Giovanni in Laterano, ascese alla direzione della Cappella Musicale Liberiana di Santa Maria Maggiore, nel 1947, ruolo che ricoprirà per un trentennio, quando lascerà la celeberrima corale nelle mani di uno dei suoi più noti allievi, l’attuale Maestro mons. Valentino Miserachs Grau. Risale a quest’epoca, proprio al maggio del 1947, la musicazione dell’Inno Eucaristico In Te credo Dio nascosto, composto dal “cattolico belva” Domenico Giuliotti in occasione del Congresso Eucaristico tenutosi a Greve in Chianti.
Nel 1952, su indicazione di mons. Lorenzo Perosi, Maestro della Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, fu nominato Maestro sostituto della stessa. Alla morte del Perosi, papa Pio XII gli conferì l’incarico di Direttore perpetuo dell’insigne “Sistina”: il complesso musicale si trovava in precarie condizioni, dopo la pluricinquantennale direzione precedente, e Mons. Bartolucci, con zelo e fedeltà alla musica polifonica che tanto amava, avviò un’opera di risanamento che portò la Cappella ad alternare l’accompagnamento delle liturgie papali con tournée nei cinque continenti dell’orbe. Negli anni del Concilio Vaticano II (1962-1965), contrario all’abbandono della lingua latina come lingua liturgica tanto del parlato quanto del cantato, si spese affinché il patrimonio musicale sacro, che affonda le sue radici gloriose nella polifonia palestriniana, come anche il canto gregoriano non venissero accantonati. Furono proprio quei cambiamenti insperati, ma tristemente giunti, che portarono nel 1997 alla sua sostituzione con il Maestro Giuseppe Liberto, in modo che la “Sistina” si adattasse maggiormente allo stile liturgico (o sedicente tale) del Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, mons. Piero Marini. Furono certamente anni tristi e desolanti per il Maestro mugellano, che non smise mai di celebrare la S. Messa secondo il rito di S. Pio V (cosiddetto rito romano antico).
In occasione del suo 85° genetliaco, con l'obiettivo di conservare e diffondere il notevole patrimonio musicale composto da Bartolucci, fu costituita la Fondazione Domenico Bartolucci, con presidente del comitato d'onore, di cui faceva parte anche l’allora card. Joseph Ratzinger, il card. Sergio Sebastiani. Il nuovo pontefice Benedetto XVI, che da cardinale si era strenuamente opposto alla rimozione del Maestro dalla direzione della “Sistina”, lo chiamò per un concerto in Vaticano il 24 giugno 2006. Ma il tributo volle esser ancor più tangibile, con la creazione a Principe della Chiesa che si rammentava in incipit. Come rispettivo e devoto ringraziamento, l’ormai card. Bartolucci offrì al papa un altro concerto, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo il 31 agosto 2011, per la cui occasione compose il pezzo Benedictus (che riecheggiava il nome del pontefice felicemente regnante).
Si è spento l’11 novembre 2013, all’età di 96 anni, e le esequie, presiedute dal card. Angelo Sodano, si sono tenute il 13 novembre all’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro, con il rito dell’ultima commendatio e della valedictio presieduti da papa Franesco. La cara salma destinata alla pieve di Santa Maria a Montefloscoli (Borgo San Lorenzo), dove era solito trascorrere le ferie estive, nel mai dimenticato Mugello, si trova ancora presso il cimitero della Venerabile Misericordia.
L’opera del Maestro card. Bartolucci resta un punto di riferimento per chiunque intenda dedicarsi allo studio o al semplice ascolto, che si fa preghiera, della grande tradizione di musica sacra. Con sorpresa, tuttavia, nella scorsa primavera l’Arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori, ha annunciato che un’opera lirica inedita del Maestro è stata inserita nella Stagione Lirica 2018-2019 del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: si tratta del Brunellesco, opera lirica in tre atti per coro e orchestra, narrante la storia del progetto e della costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore in Firenze. La sua prima esecuzione è stata fissata proprio per il dicembre 2018, esattamente seicento anni dopo la presentazione del progetto di Filippo Brunelleschi e l’avvio della costruzione della magnificente cupola.
Sacro e profano, sulle note ricercate e autentiche di questo sapiente compositore, hanno saputo comunicare prolificamente nell’opera di una vita devota e… polifonica.


Guido Scatizzi

FONTE "IL GALLETTO" settimanale 2 dicembre 2017

martedì 21 novembre 2017

INVITO ALLA LETTURA : "DAL NATIO BORGO SELVAGGIO"

Nozze di Orazio Pedrazzi, Ambasciatore d’Italia
in Spagna, nella Pieve di Borgo San Lorenzo.
Per le benemerite edizioni Solfanelli esce l'ultimo libro di Pucci Cipriani, uno dei più noti combattenti per la Tradizione in Italia dalle origini. Il letterato e giornalista toscano racconta i ricordi del "Piccolo Mondo Antico" della sua Borgo San Lorenzo con una dose di nostalgia sincera e doverosa per un mondo in cui il ruolo della Chiesa era ancora riconoscibile ("quando ancora c'era la fede e si pregava in latino", recita il sottotitolo).
Ricordi familiari e della vita religiosa e sociale di un tempo si mescolano, in un'opera di sicuro valore letterario (rara avis nel contesto attuale), a quelli delle lotte di tanti anni per il Trono e l'Altare. Il racconto è arricchito dal vivido ritratto di tante persone reali, sacerdoti e amici, intellettuali di rango e persone semplici, che incarnano il discorso della Tradizione in volti che anche al lettore diventeranno familiari.
Processione del venerdì Santo
a San Donato in Poggio
Pucci Cipriani riesce a far parlare il passato per rendere amabili e desiderabili i valori e la fede che lo animavano, rendendo così un servizio prezioso alla nostra causa. Un ampio corredo fotografico rende ancor più viva e presente la narrazione che, farà desiderare al lettore di lottare per far rivivere quell'ordine perduto.










Pucci Cipriani
Dal natìo Borgo selvaggio
quando ancora c'era la fede e si pregava in latino
Con prefazione di Massimo de Leonardis e postfazione di Cosimo Zecchi
 pagg. 272 Euro 19,00 - Ed. Solfanelli 2017


Fonte "La Tradizione Cattolica"
Rivista del Distretto Italiano della Fraternità San Pio X
Anno XXVIII N.3 (104) - 2017