sabato 27 ottobre 2018

Basilica S. Miniato al Monte di Firenze (di Filippo Bianchi)

Si segnala che la Basilica di San Miniato al Monte, capolavoro dell'architettura romanica fiorentina, ha recentemente cessato di essere solo un luogo di culto per divenire un luogo mondano.
Questa basilica ha sempre manifestato interesse, non solo per essere un meraviglioso luogo sacro in cui poter pregare e partecipare alle funzioni religiose, ma anche per la sua bellezza e il suo fascino storico e architettonico, tuttavia è ultimamente in voga per motivazioni diverse da quella che è la sua propria natura ma per istallazioni di arte contemporanea inconciliabili, inaccostabili allo stile classico e deturpanti (in allegato alcune foto).
Sull'esterno della basilica, spesso utilizzato per sfilate di moda, sono stati installati degli arbusti di differenti tipologie, che rappresentano il giardino del mondo e offuscano la facciata creando un effetto "orto botanico" in perfetta sintonia con la nuova moda del Naturalismo e dell'Ambientalismo, anticipo della nuova religione gnostica globale.
Troviamo anche una scultura costituita da un libro scolpito nel marmo installata su un piedistallo metallico arrugginito, che evidentemente non rappresenta il testo sacro poiché riporta una citazione del poeta Mario Luzi "non chiuderti però" della poesia "Bellezza", come a voler strumentalizzare nel contesto attuale sia il sacro che il profano, il bello e il brutto, l'antico e il nuovo per comunicare che bisogna cambiare, aprirsi e "costruire ponti".
Entrando nella basilica si notano tre installazioni, una conca metallica al centro della chiesa che funge da riflettore di luce, una nuova acquasantiera con quattro piedistalli irregolari inadeguata per la forma e la fattura e inopportuna poiché sono già presenti le acquasantiere originali e infine uno scaleo che diagonalmente svetta dietro la meravigliosa Cappella del Crocefisso come a voler artifiziosamente distrarre le anime dal Cristo, purtroppo non si trattava di lavori in corso come credevo entrando in Chiesa ma di un esperimento di trasformazione di un luogo di culto in una specie di museo d'arte contemporanea.
Il giovane frate benedettino P. Bernardo Francesco Gianni opera in perfetta sintonia con l'élite radical chic cattocomunista fiorentina stuprando anche i luoghi sacri se serve ad attirare folla e compiacere il mondo, lo si vede anche contornato da Lotti, Nardella e compagnia come lui stesso ostenta sui social. 
Inoltre in questa basilica ha anche avuto l'onore di poter celebrare le nozze "il compagno di merende" di Renzi, Carrai, sebbene non sarebbe possibile celebrare matrimoni presso la Basilica di San Miniato poiché i matrimoni disturberebbero la quiete dei monaci (così viene detto dai monaci a chiede di sposarsi lì). Purtroppo più che un monastero quieto è divenuto un luogo ludico teatrale come si può facilmente evincere dalle immagini, in cui solo quelli della cricca possono accedere al sacramento del matrimonio.
Spero che possiate mettere un riflettore su questa vicenda affinché sia ripristinata la sobrietà e l'autentica bellezza di questo luogo tanto caro ai fiorentini e al mondo.










venerdì 26 ottobre 2018

Nuove tendenze clerical chic (di Filippo Bianchi)

L'antichissimo saio ruvido di san Francesco indossato dai Frati Francescani dell'Immacolata, simbolo di penitenza e castità, è stato considerato démodé.
I benedettini olivetani della Basilica di San Miniato al Monte di Firenze, per non correre rischi di commissariamento, si sono subito adeguati alla nuova tendenza bergogliana "LGBT Clerical Chic" come si può notare dalla "mitra" orgogliosamente sfoggiata dall'abate.
Non ditelo a Ravasi, se lo vede magari la prossima volta potrebbe portarlo con sé alla sfilata di moda al Metropolitan Museum assieme alle zoccole scosciate vestite da papesse..



Se trasformiamo il nostro pianto in riso possiamo smascherare ed esorcizzare questa dissacrante fiera del ridicolo!

lunedì 22 ottobre 2018

Editoriale del n. 128 di Controrivoluzione: OMAGGIO A GIOVANNINO GUARESCHI

Editoriale
OMAGGIO A GIOVANNINO GUARESCHI
Uomo della Tradizione, a cinquant’anni dalla sua scomparsa
di Pucci Cipriani


Giovannino Guareschi morì, improvvisamente, il 22 agosto del 1968, nella sua piccola residenza estiva di Cervia. Era nato sessant’anni prima a Fontanelle di Roccabianca (PR) e, con Guareschi, muore uno dei più grandi scrittori italiani, profondamente cattolico e anticomunista, di cui era noto il suo attaccamento alla Monarchia e alla Tradizione. “Un uomo fuori del tempo, imprigionato nel XX Secolo” lo definì benevolmente qualcuno, un combattente che riuscì durante la sua vita a mettersi contro l’arroganza del Potere (e il Potere è cattivo e vendicativo): fu incarcerato dai fascisti (ma liberato, immediatamente, da Mussolini) ai tempi del giornale satirico “il Bertoldo” e, poi, con il regime repubblicano, perseguitato dai comunisti e dal “democristianesimo”, l’ideologia “cristiana” liberalmodernista che, come ha riconosciuto onestamente l’on. De Mita, ha trasformato milioni di elettori cattolici in “elettori democratici”, quindi dei poveri “fuchi” rotti al compromesso e pronti a rinnegare ogni principio... come puntualmente hanno fatto i “demo(niaci)cristiani”.
Scrive Marcello Veneziani: «Per comporre la biografia di Guareschi bisogna riconoscere i suoi tre paradossi: dopo due anni nei campi di concentramento nazisti, passò per un fascista; dopo aver vinto la battaglia nel ’48, appoggiando la DC di De Gasperi, finì in galera con la querela del medesimo De Gasperi; dopo aver umanizzato i comunisti, fondò il settimanale più efficace nella lotta al Comunismo e là scrisse il primo libro nero del Comunismo.»
Tornato dalla guerra, dopo due anni di campo di concentramento nazista, coerentemente, nel 1946, Guareschi votò nel referendum istituzionale per la Monarchia, denunziando, poi, quelli che lui chiamerà “i brogli delle calcolatrici dell’Onorevole Romita”, quindi, nel 1948 contribuirà, votando per la “falsa diga” democristiana, a sconfiggere il FDP (Fronte Democratico Popolare), ovvero PCI + PSI, che lui ribattezzò Fronte Democratico Pecorale. Sono rimasti famosi alcuni manifesti da lui stesso creati: “Compagni, nel segreto dell’urna, Dio vi vede Stalin no” e un altro che ricordava i 100.000 soldati morti o dispersi in Russia (allora Unione Sovietica). Lo scheletro di un soldato dell’ARMIR appoggiato a un reticolato di filo spinato che protende il braccio additando Garibaldi, simbolo del Fronte popolare, e la scritta: “Mamma votagli contro anche per me”.
Il Fronte Popolare fu battuto ma la DC di De Gasperi (“un partito di centro che guarda a sinistra”) non andava bene al nostro Giovannino che già nel 1946 aveva scritto sul glorioso “Candido”: «Qualcuno si ostinerà a voler trovare che “Candido” ha vaghe tendenze destrorse, il che non è vero per niente in quanto “Candido” è di destra nel modo più deciso e inequivocabile.»
E su “Candido” si rivelerà il genio guareschiano per cui non possiamo dimenticare le sue vignette: “Contrordine compagni” in cui i compagni da lui disegnati con tre narici (trinariciuto, in quanto la terza narice serviva a svuotare della materia grigia il cervello), si attenevano, alla lettera, agli ordini del loro quotidiano “l’Unità” e, quando c’era un errore di stampa, arrivava, di corsa, il “messo” che annunziava: “Contrordine compagni!” infatti la frase “Bisogna rieducare i compagni insetti” (e, nella vignetta, si vedevano i “Trinariciuti” intenti ad ammaestrare grilli, cavallette e scarafaggi) contiene un errore e quindi va letta: “bisogna rieducare i compagni inetti”.
Nel 1951 esce in Italia il film Don Camillo, di cui Guareschi scriverà il soggetto e la sceneggiatura — scriverà anche quelle delle altre quattro pellicole, ma a causa dei tagli “buonisti”, delle censure e delle mutilazioni volute dal Produttore, ritirerà, sdegnosamente, la firma — che racconta le avventure di un parroco della “Bassa” (don Camillo) e del sindaco comunista (Peppone)... è la vita politica e religiosa che si svolge, all’ombra del campanile e della torre civica; personaggi che Guareschi “deideologicizza” cogliendoli nella loro umanità, personaggi vivi e palpitanti che ci ricordano la vita dei nostri paesi, delle nostre contrade, delle nostre campagne, quando ancora ci si toglieva il cappello per salutare, si rispettava il “sacro”, si dava del “lei” e non del “tu” e i “comunisti” erano “sovversivi” fuori ma, conservatori, al pari degli altri, in famiglia... ancora esisteva la famiglia.
Il libro e il film di don Camillo ebbero e hanno tuttavia un meritatissimo, grandioso successo e che pareva imprevedibile allora. Don Camillo fu tradotto in tutte le lingue... persino il Pontefice, Giovanni XXIII, proporrà all’autore di comporre il Catechismo della Chiesa Cattolica con i propri racconti e le proprie vignette; ma lo scrittore della Bassa non accettò, non si ritenne all’altezza di trattare temi così alti... e anche l’umiltà fu una delle caratteristiche del Nostro.
Questo suo successo di pubblico (milioni le copie vendute dei vari volumi delle avventure “camilliane”) rese ancor più indigesto l’autore, non solo ai “pesci rossi dell’acquasantiera”, ma perfino a coloro che, invece, avrebbero dovuto apprezzarlo, ma furono (e sono) presi dalla gelosia; e allora cominciarono a dire che Guareschi “banalizzava la realtà” e, detti “cazzerellini tutto pepe e sale”, decretarono che non potevano seguire un uomo che riduceva il linguaggio a “poche e colorite frasi” e il cui impegno si riduceva al motto: “Dio - Patria - Famiglia”... mentre i loro cervellini pensavano (verbo troppo impegnativo il pensare!) alle nebbie del Nord e alle corna di Odino, a Maometto e al paradiso musulmano dove “gli untorelli della falsa destra”, avrebbero fatto quello che non avevano e non hanno fatto in vita: scopare vergini e urì in mezzi al verdeggiante paesaggio, dove scorrevano fiumi di biondo miele e di ambrosia.
Nei libri di Giovannino Guareschi vi ritroviamo la vita del “dopoguerra”. Vengono raccontati quegli episodi della “guerra civile” che insanguinò l’Italia, e Giovannino Guareschi pur narrando, senza veli, quei truci e sanguinosi episodi, ha parole di pietà per i vivi e per i morti: «Fratelli, si parla di dialogo tra chi sta sulle opposte sponde. Queste anime che noi ricordiamo stanno sulla sponda della morte e parlano a noi che stiamo sulla sponda della vita. Ascoltiamo ciò che ci domandano e il nostro cuore troverà la giusta risposta. Amen.»
E, profeticamente — lui che morì all’alba della Rivoluzione Sessantottarda — capirà la grande portata della medesima e metterà in guardia i giovani dai “cattivi maestri”: «Protesto perché nessuno dice a questi giovani: diffidate di chi vi sorride e vi dà importanza eccezionale. Vuole rifilarvi un giornale, un libro, un disco, una rivista pornografica, un intruglio gassato, una chitarra, un allucinogeno, una pillola, una scheda elettorale, un cartello, un manganello, un mitra. Protesto perché sono stato giovane e buggerato come saranno irrimediabilmente buggerati i giovani d’oggi...»
Tra don Camillo e Peppone, e gli altri eccezionali personaggi che fan loro da corona, anche dopo ardue baruffe si trova sempre la “quadra”... è il cuore a prevalere sull’ira, sull’odio, sull’orgoglio e, lo abbiam detto, sull’ideologia... ma un’altra, ben più grave rivoluzione si era già abbattuta sulla Chiesa, quella del Concilio Vaticano II, come ebbe a dire il “rosso” cardinale Suenens: «Il Concilio Vaticano II è stata la nostra rivoluzione, il Sessantotto della Chiesa.»
Ma qui non c’è Peppone, lo Smilzo, il Brusco, la Gisella a competere con il povero prete di campagna, qui c’è don Francesco — ahimè, ahimè questo Francesco — detto “Chichì” che è «un pretino progressista e sculettante — scrive Alessandro Pronzato — della nouvelle vague in giacchetta e cravatta (...) lustrato a dovere; munito di spiderino rosso, allevato artificialmente ingozzando formule e slogan, portatore di istanze sociali, fautore di una teologia che si è sbarazzata di tutto il vecchiume (...) tarantolato dalla smania delle riforme (...) assume con evidente compiacimento posizioni di avanguardia, propugna idee “aperte”... Parola d’ordine: “Demistificare”... buttare in soffitta il ciarpame devozionale, lottare contro la superstizione, mettersi al passo con i tempi, dialogare con i lontani... Fa di tutto per apparire anticonformista, controcorrente (...) Di fatto, tuttavia, il vero anticonformista è don Camillo. Le mode non lo toccano. I suoi modi ruvidi risultano come al solito efficaci.»
Sì, insomma un Francesco (don Chichì) supponente e carico d’orgoglio, così carico di risentimento e di odio per il passato della Chiesa, un odio che lo acceca e gli fa vedere ovunque “reazionari” in agguato, anche nell’umile vecchietta che accende il suo lumino in chiesa.
Guareschi ne ha passate tante ma non è mai stato con le mani in mano: nel 1954 inizia il processo "De Gasperi - Guareschi", infatti quest’ultimo aveva pubblicato sul settimanale della Rizzoli da lui diretto, due lettere attribuite a De Gasperi in cui l’arcigno politico di Trento avrebbe chiesto al Comando inglese di bombardare Roma per “per infrangere l’ultima resistenza morale del popolo romano”. Naturalmente il Direttore di “Candido” non fece la cosa a cuor leggero: aveva fatto fare alle due lettere un’accurata perizia a un illustre personaggio, il dottor Umberto Focaccia, perito dello stesso tribunale di Milano il quale: «... dopo un lungo, attento e scrupoloso esame di confronto con molti altri iscritti sicuramente di De Gasperi...» non poté che dichiarare: «In piena coscienza di riconoscere per autentiche del De Gasperi la scrittura del testo e la firma di cui sopra.»
Il Processo per “direttissima”, meglio sarebbe parlare di “esecuzione”, doveva essere veloce e la Corte negò la perizia calligrafica e chimica delle due lettere, in quanto si opposero gli avvocati del politico trentino come si opposero, ritenendole inutili, a tutte le altre deposizioni potenzialmente favorevoli al Direttore del “Candido”. Guareschi fu condannato a 22 mesi di reclusione. Dopo il primo processo un altro ne fu fatto, da altro Collegio, che avrebbe dovuto pronunziarsi sul “falso”... ma il Collegio decise che non c’era nulla da decidere se non la distruzione del “corpo del reato”... giustizia allegra!
Giovannino Guareschi non chiese sconti, non chiese la “grazia”: era stato due anni nel lager nazista; starà due anni in quelli “democratici repubblicani”, ma è amareggiato e avvilito, commenta con il suo Dante: «... e il modo ancor m’offende... No, niente Appello. Qui non si tratta di rifondare una sentenza, ma un costume... Accetto la condanna come accetterei un pugno in faccia», e porta con sé, nella sua cella, anche lo “spirito” di don Camillo e di Peppone, e continuerà, chiuso in gattabuia, a far scriver ai due le loro storie, tanto, esclama: «Nella mia cella è sempre primavera: il guaio è che è primavera anche fuori...»
«Ci sono stato io in galera, ci può stare Guareschi», commenta “misericordiosamente” Alcide De Gasperi.
In carcere nulla gli fu risparmiato: «Domani farò un’istanza al Ministero — scriveva l’illustre prigioniero — acciocché mi autorizzi per il 1° maggio, a compiere i 47 anni. Scriverò pure un’istanza al Procuratore della Repubblica per ottenere due paia di mutande pulite ogni settimana.»
Esce dal carcere profondamente provato nel corpo (si aggrava l’ulcera di cui soffriva e arrivano gravi problemi cardiocircolatori... per cui dovrà andare per un non breve periodo di tempo a curarsi in una clinica svizzera) ma Giovannino è ancor più provato nell’animo anche se aveva scritto e lavorato senza aspettarsi la riconoscenza di nessuno... figuratevi quella degli ibridi democristiani che, a lui, dovevano la vittoria del 1948. Guareschi uscì dal Carcere di San Francesco del Prato (Parma), dove era entrato nel maggio 1954, nel luglio del 1955, dopo 409 giorni di carcere... altri sei mesi dovrà scontarli in libertà vigilata.
Nel 1957 lascerà la Direzione di “Candido” pur continuando a collaborarvi: quando nel 1961 uscì Don Camillo Monsignore... ma non troppo lontano dalla spirito “guareschiano” cessò la collaborazione con la Rizzoli e Angelo Rizzoli, nonostante avesse fatto le sue fortune, con lo scrittore della Bassa, chiuse anche il “Candido”.
Giovannino fu chiamato a “La Notte” da Nino Nutrizio e anche da “Oggi” in cui, settimanalmente, scriveva lo spassoso “Corrierino delle Famiglie”, poi cura una rubrica su “Il Borghese” di Mario Tedeschi e, nel 1968, fu chiamato di nuovo al “Candido” che aveva ripreso Giorgio Pisanò, ma morì prima di cominciare la collaborazione, come abbiamo detto, a Cervia.
Negli ultimi anni si era battuto contro la Rivoluzione conciliare e rimane un pezzo famoso, da antologia, scritto da Giovannino: “La Messa Clandestina” in cui è lui a scrivere al “suo” don Camillo esautorato dai nuovi barbari dell’iconoclastia conciliare:
«(Don Camillo) potrà celebrare una Messa Clandestina per pochi Suoi amici fidati. Una Messa in latino, si capisce, con tanti oremus e kirieleison. Una Messa all’antica, per consolare tutti i nostri Morti che, pur non conoscendo il latino, si sentivano, durante la Messa, vicini a Dio, e non si vergognavano se, udendo levarsi gli antichissimi canti, i loro occhi si riempivano di lacrime. Forse perché, allora, il Sentimento e la Poesia non erano peccato e nessuno pensava che il dolce, eternamente giovane volto della Sposa del Cristo potesse mai mostrare macchie o rughe. Mentre Essa si presenta a noi dal video profano, col volto sgradevole e antipatico del Cardinale Rosso di Bologna (Lercaro, n.p.c) e dei suoi fidi attivisti, gentilmente concessi alla Curia dalla locale Federazione Comunista. Don Camillo tenga duro: quando i generali tradiscono abbiamo bisogno più che mai della fedeltà dei soldati. La saluta affettuosamente il suo parrocchiano Giovannino Guareschi.»
Il Caporione comunista Palmiro Togliatti definì Guareschi: «Tre volte idiota, moltiplicato per tre» ma Giovannino definì l’espressione: “un ambito riconoscimento”, in precedenza il giornale dell’Azione (non) Cattolica le cui firme saranno, in seguito, il “Gotha” del Cattocomunismo aveva definito lo scrittore della Bassa uno scarafaggio e che a stringergli la mano «non si poteva non avere un senso di nausea»... altra onorificenza che giunse, in contemporanea, con la gradita nomina di Re Umberto, dal suo esilio di Cascais, a Grand’Ufficiale della Corona d’Italia.
“L’Unità”, il giornale dei Trinariciuti rossi, scrisse all’indomani della sua morte: «Malinconica fine di uno scrittore che non era mai nato.» La Televisione di regime — che per trent’anni si rifiutò di presentare i suoi film che, poi, toccheranno vette di ascolto mai raggiunte da nessuna pellicola — dedicò pochi secondi all’annunzio della sua morte, lo stesso fece la grande stampa.
Baldassarre Molossi, Direttore de “La Gazzetta di Parma” scrisse: «Guareschi ha avuto la sfortuna di morire in Italia...» e fu uno dei pochi giornalisti che parteciparono alla “sepoltura” che avvenne, in una giornata buia e piovosa del mese di luglio... non c’erano vip, né grossi Papaveri, né intellettuali radical chic. Erano presenti nel piccolo cimitero di Brescello, insieme ai due figli (la moglie Ennia non si sentì di assistere alla tumulazione) oltre al Molossi, Enzo Biagi, Carlo Manzoni, Giovanni Mosca, Nino Nutrizio, Enzo Ferrari... c’era anche, con le lacrime agli occhi, il sindaco socialista di Fontanelle di Roccabianca, il paese natale di Giovannino. E gli amici “del bar”.
Ma ogni giorno, in attesa di rivederlo in Paradiso, noi Giovannino — e con lui i suoi personaggi — lo abbiamo incontrato, nei suoi racconti, nelle sue storie, in famiglia con i nostri nipoti, nelle scuole con i nostri alunni, nelle Università con gli studenti che ancor oggi si commuovono rivedendo quel “mondo pulito”, quel pugnello di case e quelle vite agitate che, sembrava, volessero tener stretto, nei loro pugni, un po’ di quel cielo della Bassa.
Per quella tua vita pulita e onesta, per quella tua battaglia generosa e senza sosta per la Tradizione, per quelle ore liete che ci hai fatto trascorrere con i nostri ragazzi sulle pagine dei tuoi libri e davanti allo schermo del cinema, non possiamo che ringraziarti, come un amico caro e fraterno. “Ad Deum”.

sabato 13 ottobre 2018

Controrivoluzione n. 128





Editoriale:
Omaggio a Giovannino Guareschi
di Pucci Cipriani

A quarant’anni dall’aborto in Italia (1978-2018)
Come passò (e come avrebbe potuto essere evitata) la legge omicida
di Roberto de Mattei

Le Dat (Disposizioni Anticipate di Trattamento)
e la licenza umanitaria di uccidere
di Patrizia Fermani

1978 Tre Papi in un anno:
dal dubbio, all’incoscienza passando per il sacrificio
di Cristina Siccardi

Un ricordo del “Padre di don Camillo e Peppone”
A cinquant’anni dalla scomparsa di Giovannino Guareschi
di Domenico Del Nero

Un passato che non passa
di Fulvio Izzo

Tre INSORGENZE DIMENTICATE
Småland, Cornovaglia e Maryland
di Andrea Sandri

Elogio dell’ineguaglianza
di Carlo Manetti

Recensioni

giovedì 11 ottobre 2018

DA FIRENZE PARTE LA BEATIFICAZIONE DEL PORCO ERESIARCA LUTERO (di Filippo Bianchi)

Pubblichiamo la lettera del nostro amico Filippo Bianchi che non ha bisogno di commento. Si commenta da sé (P. C.)



Cari amici,

segnalo di aver purtroppo ricevuto questa newsletter, che di seguito inoltro, in merito alla giornata su Lutero in programma il 27 ottobre 2018 presso la Certosa di Firenze.
Ormai preti, uffici diocesani e vescovi ne stanno studiando di tutti i colori per confondere le anime e gradualmente propagare eresie sottraendo contestualmente tempo e risorse all'evangelizzazione.
Nella newsletter di propaganda si parla di divisione, dialogo ed ecumenismo, ma è bene precisare che la divisione dei cristiani e dell'Europa è stata causata dall'eretico Lutero e strumentalizzata per motivazioni politiche. Inoltre il dialogo e l'ecumenismo continui hanno palesemente l'unico effetto, oltre che la cripto-finalità, di svuotare il cattolicesimo per uniformarlo alla falsa religione della rivoluzione protestante.
Lutero era un frate agostiniano che ha rinnegato i propri voti per fare di una suora la sua concubina, inoltre era un ubriacone e un violento. Questo impostore ha causato danni gravissimi alle anime di coloro che lo hanno seguito e adesso si appresta a farne anche di maggiori, è possibile che si possa continuare in silenzio ad assistere alla graduale beatificazione di un eretico?
Ricordiamo cosa ebbe a dire Lutero in merito al papa: "Bisognerebbe arrestare il papa, i cardinali e tutta la plebaglia che lo idolatra e santifica, arrestarli come bestemmiatori e inchiodarli tutti in fila alla forca".
E' ormai evidente che è venuta meno anche pubblicamente l'integrità della fede cattolica non solo di molti presbiteri ma anche di vescovi, cardinali e istituzioni "cattoliche" nel perverso e pervertitore tentativo di compiacere il mondo e celebrare sé stessi.
Bisogna evangelizzare altro che dialogare! Perché in queste occasioni non viene spiegato a questi signori che il matrimonio è un sacramento? Che durante la Santa Messa assistiamo alla transubstanziazione? Perché non parlano ai protestanti dei Santi, della Gran Madre di Dio Maria Santissima e della Confessione!? Altro che dialogo!
L'eretico che viene celebrato nelle diocesi "cattoliche" e nei monasteri "cattolici" sosteneva quanto segue: "Pertanto, come già scrissi più volte, dico di nuovo: verso i contadini testardi, caparbi, e accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po’ di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati...” (Martin Lutero, Scritti politici, Utet, Torino 1978).
Di seguito riporto un link dove si può anche leggere la testimonianza della Beata Suor Serafina Micheli sul Porcus Saxoniae: http://www.miliziadisanmichelearcangelo.org/content/view/2468/90/lang,it/
Siamo chiamati a non lasciarci minimamente infinocchiare da questi continui e "autorevoli" tentativi di cambiare la dottrina attraverso l'esaltazione di ciò che unirebbe e la censura del Magistero immutabile della Chiesa! Dobbiamo conservare il tesoro della Fede ed avere la coerenza e il coraggio di non tradire la Verità ma affermarla pubblicamente! 
Tutti quanti noi nel nostro piccolo siamo chiamati ad essere controcorrente, se non fossimo controcorrente rispetto alle logiche del mondo allora non saremmo cattolici!
Fa veramente soffrire il fatto che la nostra amata Certosa, dopo essere stata svuotata in altre epoche delle opere d'arte sacra e degli strumenti di culto, adesso sia addirittura svuotata della propria funzione per celebrare la figura di un eretico e confondere le anime.
Auspico che qualcuno voglia inviare delle comunicazioni di protesta alla diocesi tramite posta, mail o pec (firenze@pec.diocesifirenze.it) o assistere criticamente a questo evento se ne ha la possibilità, che Dio ve ne renda merito!

Filippo Bianchi



COMUNITA' DI SAN LEOLINO - CERTOSA DI FIRENZE

Per vivere l’ecumenismo / 1

Ripensare la Riforma
nel tempo della secolarizzazione

Un punto della situazione a conclusione del 500° Anniversario delle 95 Tesi di Lutero

In memoria di Mario Specchio (1946-2012)

Palazzo Acciaiuoli nella Certosa del Galluzzo

Sabato 27 ottobre 2018


Ore 10 – Saluti
Giuseppe Card. Betori, Arcivescovo di Firenze
Carmelo Mezzasalma, Superiore della Comunità di San Leolino
Timothy Verdon, Direttore del Centro per l’Ecumenismo dell’arcidiocesi di Firenze


Ore 10.30-13 – Prima sessione

I quattro Soli della teologia luterana, Friedemann Glaser-Franziska Müller, pastori luterani di Firenze

Lutero e la libertà, Luigi Alfieri, Università di Urbino

Lutero e la cultura tedesca, Luca Renzi, Università di Urbino


Inno e Corale, forme popolari del canto liturgico nella Chiesa cattolica e nelle Chiese della Riforma

Giuseppe Liberto, Maestro direttore emerito della Cappella Musicale Pontificia “Sistina”



Al termine della mattinata, presentazione del volume Lutero e i 500 anni della Riforma (cur. A. Aguti, L. Alfieri, G. Dall’Olio, L. Renzi, Edizioni Ets, Pisa 2018)



Ore 15.30-18 – Seconda sessione

Nietzsche critico di Lutero e della Riforma, Giuliano Campioni, Università di Pisa

Riforma e secolarizzazione: il caso di Friedrich Gogarten, Andrea Aguti, Università di Urbino

Protestanti ed ebrei a 500 anni dalla Riforma, Daniele Garrone, Facoltà Valdese di Teologia di Roma

Dietrich Bonhoeffer lettore di Lutero: il futuro del cristianesimo, Alessandro Andreini, Comunità di San Leolino



Ore 18 – Conclusione


Perché questa giornata
La celebrazione del 500° anniversario della Riforma protestante (1517-2017) è stata, in tutto il mondo, l’occasione per una preziosa e feconda rilettura di uno degli eventi capitali della storia, della cultura e dello stesso cristianesimo occidentale. E se ad alcuni può essere apparso strano l’aver dato tanta enfasi a un fatto, la pubblicazione delle “tesi” sulle indulgenze, da cui ha preso il via il processo che ha portato a un’ulteriore separazione fra i cristiani, dopo quella con l’Oriente, in realtà è ormai pienamente evidente che quell’evento e quel processo appartengono alla storia di tutti i cristiani. Una storia che, pur segnata da fatti anche tragici che non possono essere né cambiati né dimenticati, chiede di essere ripensata e ricordata alla luce di una comprensione sempre più profonda del vangelo di Gesù Cristo.
Da parte sua, nella commovente preghiera ecumenica comune nella cattedrale di Lund, in Svezia (31 ottobre 2016), papa Francesco ha tenuto a sottolineare che «l’esperienza spirituale di Martin Lutero ci interpella e ci ricorda che non possiamo fare nulla senza Dio»: un forte appello che non ha perduto nulla della sua provocatorietà proprio nel contesto di una modernità sempre più secolarizzata. «Con il concetto di “solo per grazia divina” – precisava il papa – ci viene ricordato che Dio ha sempre l’iniziativa e che precede qualsiasi risposta umana, nel momento stesso in cui cerca di suscitare tale risposta. La dottrina della giustificazione, quindi, esprime l’essenza dell’esistenza umana di fronte a Dio».
Ecco, allora, il senso di questa giornata di studi, in cui, anche a partire da un precedente convegno di studi tenutosi a Urbino nel 2017 e del quale verranno presentati gli atti, si cercherà di continuare ad approfondire l’evento della Riforma e alcune delle sue ricadute a livello spirituale, filosofico e, più ampiamente, culturale. Un dialogo ideale tra alcune delle coordinate di fondo della riforma luterana e una serie di sue riletture in tempo moderni, da Gogarten a Nietzsche a Bonhoeffer. Nell’ottica, come indica il titolo del percorso che la giornata intende inaugurare, di vivere un autentico spirito ecumenico in cui si va in cerca non di ciò che potrebbe dividere, ma di ciò che unisce e ci sostiene nel nostro faticoso cammino di fede.