Controrivoluzione
Organo ufficiale dell'ANTI 89 diretto da Pucci Cipriani
mercoledì 20 febbraio 2019
NEL CIELO DEI PADRI: L'EROICA DIFESA DELLA "FEDELISSIMA" CIVITELLA DEL TRONTO (Racconto di GIROLAMO TAGLIAPIETRA)
La tiepida brezza del vespro entrava dalla quadra finestrella della cella, dolce, portando con sé lievi profumi della incipiente primavera del 1861.
Girolamo, lì rinchiuso, dimenticato da
quasi tre mesi con l'imputazione di spionaggio aveva mutato il suo risentimento,
in rabbia, per questa assurda storia, in una indifferenza verso il futuro come
se avesse compreso d'essere una foglia impotente, fatta cadere dal vento
proprio là, ma in procinto di ripartire per chissà quale altro volo che,
purtroppo, non poteva dirigere.
Effettivamente solo 10 mesi prima non
avrebbe potuto ipotizzare di trovarsi lì nella fortezza di Civitella. Solo,
chiuso in cella, aveva avuto il tempo di pensare alla sua vita passata. Aveva
quasi trent'anni, ma aveva avuto modo di venire in contatto con uno svariato
numero di persone di ogni estrazione sociale, aveva attraversato nuovi
territori e stati che non esistevano più, dissolti e ricostruiti in altre
forme, in uno dei periodi storici più turbolenti derivati dalla Rivoluzione
francese.
Giovanni, suo padre, ed il nonno e il
bisnonno e per chi sa quanto tempo indietro, erano nati nell'isola di Burano,
fiore dell'arcipelago Veneziano. Suo padre, sua madre ed i fratelli erano stati
fuggiaschi a Ravenna (era ancora sicuro, pensava suo padre, lo Stato della
Chiesa) per non morire, con tutta la famiglia, da anonimo suddito del giacobino
di turno, prestanome di un demone rivoluzionario che danzava sulla testa di un
popolo che ricordava con rimpianto di aver avuto ordine e benessere. Lì, a Ravenna,
dopo qualche anno nacque lui, ultimo rampollo di quattro figli di un padre
quarantacinquenne e contemporaneamente vedovo perché la madre perché la madre
morì per le complicazioni del parto. I racconti del genitore, bevuti come un
naufrago assetato, si erano stampati nel suo animo e, come un emigrante si
sente legato alle proprie origini più di qualsiasi altra persona vissuta in un
paese, così lui, seppur nato fuori dall'ormai inesistente Repubblica di
Venezia, si sentiva figlio della sua terra e quasi di essa ambasciatore.
A quel tempo la Rivoluzione aveva già
sparso copioso il suo seme che purtroppo attecchì anche nelle Legazioni
Pontificie della Romagna. La sua famiglia malvista in quanto fuggiasca da un
territorio "redento dai lumi della rivoluzione", lumi che
evidentemente non gradiva e che aveva preferito il buio di una tranquillità
nell'ordine, ritenne giustamente, prima di essere in lista di proscrizione,
riprendere il mare seppure con il padre gravemente malato, per giungere nel
regno del Re Borbone.
Il mare era la via più sicura in quei
tempi di rivolgimento sociale, anche se tuttavia più lunga e più soggetta agli
eventi atmosferici.
Sulle coste del Tronto una violenta
tempesta danneggiò gravemente il battello dalmata che, insieme a varie merci, trasportava
la sua famiglia e altre 12 persone verso il porto di Bari. Se il danno al
battello è riparabile seppur con una perdita di circa una settimana, il fisico
già minato del padre non resse oltre le fatiche del viaggio e si spense tra le
braccia dei figli, guardando a Nord, verso Venezia, ringraziando Dio di averli
vicino ed esortandoli ad avere sempre fiducia e speranza nel loro Creatore. I
figli scossi, ma sereni avendo visto come era morto il loro padre, quasi
fortificati da una forza d'animo e dall'amore per le sue radici, quasi
fortificati dalla sua forza d'animo e dall'amore per le sue radici, decisero di
dividersi momentaneamente e mentre i due maggiori avrebbero ripreso la via del
dividersi momentaneamente e mentre i due maggiori avrebbero ripreso la via del
mare su di un battello che di lì a qualche ora sarebbe partito per Chioggia per
riportare la salma del genitore a Burano, i due più giovani avrebbero atteso lì
il suo ritorno. Fu lì che suo fratello, dopo qualche giorno, si ammalò,
probabilmente di vaiolo, e venne curato presso le suore della Misericordia che
in un'ala del loro convento avevano un piccolo ospedale. le suore gli
indicarono che, presso un frate del convento di Campli, era possibile avere un
farmaco miracoloso per tale malattia. Girolamo, mosso da spirito d'avventura e
dall'entusiasmo tipico dei giovani volle aggregarsi ad una carovana di mercanti
che si sarebbe diretta verso l'interno e passava per Campli, dove, nel convento
del Duomo, fra' Lodovico, noto erborista e taumaturgo, era dispensatore del
farmaco miracoloso per quella malattia. Il momento storico era il peggiore mai
visto da sempre. Coloro che cercavano e difendevano delle certezze consolidate
da generazioni di buon governo erano perseguiti come "ribelli" alla
nuova "luce" sparsa dai giacobini che illudevano gli animi con nuove
e vuote parole. Parole affascinanti come solo può fare il più grande seduttore
del genere umano, parole che riempivano la bocca, ma non il cuore. San
Benedetto era in mano alla casta giacobina locale, serva dei piemontesi che
rapacemente ghermivano ogni impeto di reazione dall'alto del loro falso zelo di
fratellanza redentrice per quel povero popolo vessato da una Monarchia
"non illuminata e tirannica". La tortuosa strada postale che risaliva
con lieve pendio verso l'interno della valle del fiume Tronto diventava erta da
S. Egidio alla Vibrata e, tra le guardinghe pattuglie piemontesi e gruppi di
contadini in fuga, all'orizzonte apparve, come una sentinella stesa, sopra un
picco roccioso, una formidabile fortezza. I piemontesi timorosi di affrontare
dei gruppi organizzati senza prima spiare la loro esatta consistenza lasciarono
libera la strada alla carovana, mantenendo comunque un controllo visivo del
gruppo.
Girolamo non aveva mai visto una cosa simile,
così affascinante, e staccatosi dalla carovana che era accampata a circa 5 Km.
sulle rive del fiume Salinello si avventurò sin quasi sotto le mura della
fortezza stessa. Era inconsapevolmente passato tra le fila dei piemontesi che
non sapeva stessero tenendo d'assedio la città.
Venne visto e catturato dalle milizie
borboniche sotto le mura di quella incredibile fortezza che voleva ammirare da
vicino, forse troppo vicino, in quel periodo di guerra, al punto che le milizie
borboniche in ricognizione ai piedi del colle lo scambiarono per una spia dei
piemontesi e per ordine dell'ufficiale di giornata venne affidato al carcere. A
nulla valsero le sue rimostranze, il suo accento era del Nord e lì nessuno lo
conosceva e poteva garantire per lui. Ecco come era finito lì, chi poteva
immaginare un simile epilogo? Ora i suoi giorni scorrevano lenti, tra il poco
rancio e gli appelli delle guardie e, ogni tre giorni, le visite del cappellano
padre Leonardo Zilli.
Aveva modo di vivere in prima persona e
di vedere come si muoveva il "mondo" della città e della fortezza e
della sensazione di apatia e di scoramento che si stava impadronendo di lui,
come, per altro, di tutta la città. In quel mese aveva imparato ad apprezzare
quelle piccole sensazioni, mai valutate prima, che derivavano da una vita in
quella situazione e a comprendere quella gente che seppur fosse ai suoi occhi
straniera sentiva spiritualmente affine.Anche loro, come lui, erano fedeli a
una bandiera e a un onore che non poteva essere barattato con nessuno nuova
effimera illusione. Si stava rendendo conto che lui era stato fatto arrivare lì
perché Dio voleva renderlo partecipe di un momento storico da lui voluto per
dargli la possibilità e l'onore di renderGli gloria.
L'assedio rendeva grandi tutte le più umili
necessità della giornata perché ogni giorno di più si affievoliva la speranza.
E' la speranza nel proprio io che rende non umano l'uomo, lo snatura, lo
distacca dal filo che lo guida sin dalla sua idea di embrione. Ecco, lì, l'uomo
si stava svuotando di speranza in se stesso e si stava riempiendo di serena
consapevolezza del senso della vita che è il ben morire cioè il morire per una
causa "giusta", per qualcosa che ancora avesse senso agli albori di
un tempo che imponeva con la forza ciò che la gente non chiedeva e rigettava.
Nei primi giorni di marzo di quel 1861,
il paese e la fortezza, segnata dall'assedio per altro ben sopportato, erano
passati dal comando del colonnello Ascione, che aveva perso le motivazioni per
perseverare nella resistenza, a quello, a quello dell'ex tenente, ed ora
comandante, Angelo Messinelli, amato dalla truppa e dal maggior numero di
popolo per il suo coraggio e la purezza del suo ideale amore per l'ordine
monarchico, condiviso dal popolo stesso. Il colonnello Ascione meditava in cuor
suo una resa per aver salva la vita e per continuare a fare il suo lavoro
magari anche con i piemontesi poi....e questa resa, che comprendeva la
capitolazione di Civitella, venne palesemente scoperta.
I soldati tentarono di ucciderlo e solo
i sottufficiali lo salvarono, destituendolo e tenendolo prigioniero nella sua
casa. Tutto ciò Girolamo sentì dalle guardie e apprezzò il senso dell'onore di
quegli uomini.
Di persone come il colonnello Ascione ne
aveva conosciute poche, grazie a Dio, ma in cuor suo sentiva come quella razza
di traditori, che detestava, era in aumento ed era apprezzata dagli invasori
piemontesi. Dio aveva permesso quei frangenti per mostrare nel mezzo delle
piazze ciò che si celava nel segreto dei cuori. Chi si accontenta di qualcosa
di materiale, di visibile, grado, potere, ricchezze, cerca con ogni mezzo di
mantenere il bene, anche a costo di tradimenti e indifferenza verso chi,
invece, ha qualcosa di più grande, di invisibile, ma in verità più nobile dei
loro beni, limitati, deperibili e per ciò più invidiabili ma, per loro,
irraggiungibili.
Era arrivato il tempo per rendere
pubblico ciò che si era veramente agli occhi di Dio.
Nella città di Civitella pochi erano
ricchi di beni materiali e moltissimi ricchi di beni invisibili, per questo
erano arrivati fino a quel modello di resistenza.
Fuori dalla cortina delle mura, nelle
contrade sparse i così detti "briganti",, onesti ed analfabeti
contadini, ricchi di coraggio e altruismo, merce rara per i piemontesi,
cercavano con i mezzi che avevano, bastoni, forche, qualche fucile, cercavano
di tenere lontani dalle loro borgate e dalle strade secondarie i piemontesi che
davano prova gratuita di ruberie e stupide violenze. Nulla è più stupido di
voler imporre con la violenza il declamare slogan e idee non venute dal cuore,
il voler far gridare alle masse "Viva Vittorio Emanuele", "Morte
al re Borbone", "Morte al Papa Re",ma era quello che i Savoia
erano e volevano essere, contrariamente a chi in quella terra aveva conosciuto
un solo re in terra e un solo Re in cielo.
Nelle sue regolari visite fra' Leonardo
aveva parlato con lui e aveva apprezzato il fatto che era subito aperto
all'uomo di Dio, che rispettava, ma non ancora vedeva in lui uno strumento
dello Spirito Santo. Andando con i suoi ricordi rammentava di aver sentito
nominare da suo padre Fra' Giobbe da San Francesco alla Vigna, convento
francescano di Venezia. Egli andava a predicare il Quaresimale a Burano e
Torcello. Il frate viveva con i pescatori, qualche volta li accompagnava a
pesca e al vespero nella chiesa del luogo, teneva il fervore e poi celebrava la
S, Messa.
L'aveva descritto bene, suo padre, da
uomo robusto era diventato una figura esile a seguito delle penitenze ma dava
tutti una forza d'animo veramente sovrumana, Dio stesso, parlava con la sua
voce alle loro anime e queste lo riconoscevano come il loro Pastore.
Rincuorava, pregava, ammoniva e con mano misericordiosa perdonava le loro
debolezze mostrandosi tuttavia più soggetto di loro a quelle stesse debolezze.
Parecchi di quegli uomini non temevano la battaglia e non temevano di perdere
la vita contro i turchi ma anelavano a guadagnarsi la visione di Dio.
Gli venne alla memoria che, dopo una
battaglia navale con i Turchi, dopo la sua S. Messa nella chiesetta del porto
di Perasto, il Capitano Generale da Mar, Comandante della flotta Veneziana, si
era rivolto ai suoi marinai dicendo : "Chi di voi è pauroso o ha altre
cose nel cuore vada, non è qui il suo posto, a chi resta non prometto salva la
vita, ma salvo sarà il suo onore e grande la misericordia di Dio onnipotente
sulle sue colpe" e nessuno dei centocinquanta uomini scelse di non
imbarcarsi. Ricordando le parole e i racconti di suo padre la notte passò e
venne l'alba del mattino. Quella mattina era la vigilia della festa di San
Giuseppe, appena svegliatasi dal torpore Girolamo chiamò a se' l'Ufficiale di
giornata che quel giorno comandava anche il corpo di guardia e chiese un
colloquio con il comandante della Fortezza Messinelli.
Dopo un'ora era nella stanza del Comandante,
le guardie attendevano fuori, il quadro del Re campeggiava sotto la bandiera
appesa alla parete, il Comandante lo accolse con affabilità.
Il Comandante aveva avuto modo di
parlare più volte di lui nei due mesi precedenti con fra' Leonardo e illuminato
dalle parole del religioso si era convinto che non fosse una spia, ma non
sapeva cosa fare di lui e non se la sentiva di mandarlo via. Il Messinelli,
profondamente religioso. aveva chiesto all'uomo di Dio di pregare, affinché si
manifestasse la volontà di Dio su quel prigioniero.
Perché Iddio glielo aveva mandato? La
richiesta di colloquio del prigioniero era la prova che il comandante aspettava
e Girolamo in cuor suo si sentì di chiedere di essere parte della guarnigione
della Fortezza per combattere con le sue milizie contro la Rivoluzione e per la
gloria di Dio. Era Girolamo stesso a chiedergli ciò. La guarnigione era
purtroppo a corto di uomini e una persona in più era sempre gradita, il
Comandante fece presente che la situazione era quasi disperata e che se fosse
rimasto avrebbe avuto poche possibilità di uscirne vivo ma in cuor suo ormai
sapeva che Girolamo non si sarebbe tirato indietro. Non si sbagliava. Girolamo
riconobbe in quel mondo la continuità con il mondo dei suoi padri, il mondo che
aveva lasciato là nel Golfo di Venezia, in quella splendida e gloriosa
Repubblica di cui si sentiva l'ultimo ambasciatore in terra borbonica. Anche i
suoi padri avevano dato testimonianza del loro onore e della loro fede contro i
Turchi.
Rivide in fra' Leonardo lo spirito e
l'esempio di fra' Giobbe, il Comandante Messinelli era come il Capitano General
da Mar, Bortoli Priuli, i soldati borbonici come le milizie venete di terra, i
popolani e i contadini che passavano nelle strade sottostanti non avevano un
senso dell'onore ed una fede diversa dai pescatori e degli abitanti della
Repubblica Veneta. Quando il Comandante lo affidò alle dipendenze del sergente
Cascione, Girolamo si sentì quasi sollevato da un fardello interiore chein quel
tempo di cella aveva accumulato.
Egli si sentiva quasi riconosciuto come
rappresentante, l'ultimo rappresentante di un mondo che già a Nord era
scomparso e che di lì a poco sarebbe scomparso con Civitella stessa,
indipendentemente dall'esito di quell'assedio e di quell'ultima battaglia. La
sua prima mattina nell'azzurrina divisa borbonica passò sugli spalti della
fortezza che dovevano essere mantenuti integri e atti a resistere al
connoneggiamento piemontese, scatenato come rabbiosa rappresaglia per la
mancata resa della città nonostante degli infiltrati piemontesi spargessero a
piene mani le notizie di scioglimento della stato maggiore borbonico.
Il giorno di San Giuseppe le focose
parole che fra' Leonardo pronunziò nell'omelia della S. Messa e poi nella
visita alla fortezza rincuorarono gli animi e tennero alto il morale a soldati
e popolo. Anche Girolamo si rincuorò e si affidò completamente a Dio, volle
diventare indifferente alla sua sorte, che vivesse o che morisse voleva essere
testimone in terra della Fede che univa l'Orbe cattolico, che univa i diversi
popoli che erano sparsi nella penisola italica nei mari solcati dalle galee
venete e lì avrebbe avuto modo di essere messo alla prova.
Purtroppo quella giornata non fu solo
importante per lui, ma per un altro e fatale accordo e, a differenza del suo,
un patto scellerato come lo sono tutti i tradimenti, si stava compiendo.
I pochi infiltrati della setta giacobina
avevano sparso a piene mani le assicurazioni che i piemontesi avrebbero usato
magnanimità con la popolazione e i soldati se si fossero arresi e tali
argomenti ronzavano nella testa di persone fisicamente provate da tanto tempo e
questo sporco lavoro dava i suoi frutti. Quei pochi infiltrati e un manipolo di
disonorati aveva nottetempo minato i portoni di Porta Napoli e si era portato
alla dimora dell'ex Comandante, il Colonnello Ascione, per liberarlo e
costituire una frangia interna filopiemontese che con la scusante di liberare
la popolazione da quell'ormai inutile resistenza consegnasse la città ai Savoia
e alla libertà rivoluzionaria.
Al segnale convenuto diedero seguito
alle loro nefande intenzioni e, divelti i portoni, permisero ad un'avanguardia
di piemontesi, precedentemente contattati, di prendere possesso della porta e
di penetrare nelle case attigue costituendo così una testa di ponte che divenne
l'appoggio per il prosieguo della battaglia.
L'alba del 20 marzo 1861 sarebbe stata
l'ultima per Civitella borbonica e l'inizio della Civitella
"liberata".
Il Comandante Messinelli fece dislocare
delle truppe nelle strade attorno a Porta Napoli e parecchi padri di famiglia
si unirono a loro per difendere i propri parenti sparando dalle finestre delle
loro case. I piemontesi richiamati in forze attraverso gli spazi conquistati
attorno a Porta Napoli penetrarono casa per casa, con l'aiuto di infami
traditori riuscirono ad impossessarsi di armi nascoste nelle case i cui abitanti
vennero uccisi a sangue freddo. Girolamo venne destinato con la truppa al
comando del sergente Cascione a difesa della porta carraia della fortezza
mentre nelle case a ridosso della strada che conduceva alla porta stessa due
donne che avevano visto morire i loro mariti qualche minuto prima presero le
armi per sostituirsi a loro e difendere i figli.
Si sentirono urla e spari, si sparse
nell'aria un acre odore di fumo, il pianto dei bambini.
I piemontesi puntarono dei cannoni verso
la porta carraia e fecero fuoco, dopo alcune scariche di fucileria caricarono.
Intorno a Girolamo ci furono dei vuoti,
dei soldati caddero colpiti a morte ed egli sentì chiaramente il lamento del
sergente Cascione affievolirsi sempre più fino a scomparire avvolto dalla morte,
ma non aveva tempo di vedere dove era caduto perché, richiamato dalla voce del
Messinelli dovette risalire gli spalti immediatamente sopra la porta ormai
divelta. Il gruppo di militi di cui faceva parte fu accerchiato ed altri
piemontesi passarono oltre sin sulla sommità della fortezza dove si trovava il
comando. Senza più munizioni, il sergente, Girolamo e gli altri otto militi
superstiti si arresero.Dopo poco vennero portati sugli spalti della rocca dove
trovarono degli altri sopravvissuti che si erano arresi assieme al comandante
Messinelli.
Tra loro risaltava la figura di Fra'
Leonardo. Si improvvisò un tribunale presieduto dal Comandante piemontese, che
con malcelata rabbia e falso dispiacere li accusò di aver cagionato perdite
all'esercito piemontese "liberatore" con una resistenza pertinace ed
inutile unitamente all'aggravante di aver rifiutato ed addirittura aver
combattuto con le armi i valori di libertà, fratellanza e progresso che loro
stessi portavano e di difendere l'ignoranza e la superstizione religiosa.
Tali reati che fomentavano anche la
resistenza di un popolo da troppo tempo tenuto nelle tenebre e nelle catene
della Monarchia meritavano la morte; e così venne di lì a pochi minuti
sentenziato dall'improvvisato tribunale con pena immediatamente eseguibile.
Girolamo e gli altri espressero la volontà di confessarsi prima ma il
comandante piemontese negò questa dilazione a quella esemplare esecuzione e
divise i condannati in due gruppi, uno in alto e uno in basso.
Fra' Leonardo dando le spalle al plotone
di esecuzione chiese al Comandante Messinelli ed ai soldati di recitare tutti
insieme il Confiteor con il Crocifisso tenuto a due mani e a loro rivolto
recitò, benedicendo, la formula dell'assoluzione: "Indulgentiam,
absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis omnipotens et
misericors Dominum". Pochi di quei 32 uomini riuscirono a terminare la
risposta "Amen!".
Una scarica di fucileria li falciò.
Girolamo non morì subito ma nel minuto che ancora Dio gli lasciò, con il comandante
Messinelli alla sinistra e Fra' Leonardo a pochi metri, sentì una grande,
serena pace con una gioia interiore che gli faceva pregustare l'essere di lì a
poco alla vista beatifica di Dio, d'essere suo coerede, assieme al mondo da cui
veniva e che nessun "Progresso" poteva portargli via, che avrebbe
goduto per sempre, un mondo fatto di Fedeltà ed onore, assieme ai suoi avi, a
fra' Leonardo, a fra' Giobbe, al Comandante Angelo Messinelli, a Bartolo
Priuli, assieme ai suoi compagni d'armi borbonici, a tutti i soldati veneti
morti nella storia, assieme agli abitanti di Civitella e ai pescatori veneti
della sua laguna.
Con lui tutto il suo passato e il
presente veniva assunto nella Gloria di Dio. Con il suo esempio personale e
quello delle persone che Iddio gli aveva messo intorno in quel preciso momento
della Storia aveva unito in un unico sacrificio l'ordine del mondo cattolico,
l'aveva offerto a Dio stesso e alla Storia:
La tiepida brezza vespertina del 20
marzo 1861 scorreva quasi accarezzando quei corpi insepolti e riportava
gioiosamente con sé trentadue anime, al cospetto dell'Eterno, nel cielo dei
padri.
Girolamo
Tagliapietra
Racconto inedito di Girolamo Tagliapietra vincitore di una Borsa di Studio al Concorso Letterario "Terra d'Abruzzo 2004" con la Giuria composta dall'On. Fabrizio Di Stefano (Presidente), Massimo de Leonardis (Ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore), Roberto de Mattei (Docente Universitario - Presidente della Fondazione "Lepanto"), Pucci Cipriani (giornalista e scrittore), Enrico Nistri (storico, giornalista).
domenica 17 febbraio 2019
PRESENTAZIONE A BORGO SAN LORENZO DI "MAESTRO DOMENICO"
Visto l'indottrinamento - un vero e proprio lavaggio del cervello - fatto in Toscana agli studenti nelle scuole superiori (ma anche in quelle medie ed elementari) dai soliti mestatori nostalgici della Rivoluzione Sessantottarda, abituati a comandare tirannicamente grazie all'acquiescenza democristiana e liberalmassonica e allo strapotere rosso, la "Comunione Tradizionale", in accordo con il Consigliere Regionale della Lega e Portavoce dell'Opposizione Jacopo Alberti, ha deciso di fare una serie di conferenze e incontri sulla cultura toscana autentica scevra da ideologismi e "parole d'ordine" pappagallesche come "Dio non si vede" ... "l'aborto non è un delitto ma un fatto religioso che non riguarda la nostra coscienza laica" ... "tutte le religioni sono l'oppio dei popoli" ... "liberatevi dalle pastoie della Chiesa" ... e altri slogan che danno la misura dei loro cervellini...
Annunziamo questa prima importantissima manifestazione che si terrà a Borgo San Lorenzo sabato 2 marzo 2019, alle ore 17:00, presso la Saletta Comunale Pio La Torre — Via Giotto di Borgo San Lorenzo (FI) - con ingresso libero - dove verrà presentato il libro di NARCISO FELICIANO PELOSINI: "MAESTRO DOMENICO" (Edizioni Solfanelli).
Dopo i saluti di JACOPO ALBERTI, Consigliere Regionale della Lega, Portavoce dell'Opposizione in regione Toscana; MATTEO GOZZI, Consigliere Comunale di Borgo San Lorenzo; DANIEL VATA, Studente
INTERVERRANNO
ALESSANDRO SCIPIONI - Pubblicista
ASCANIO RUSCHI - Giurista- Condirettore di www.soldatidelre.it
PUCCI CIPRIANI,- Giornalista- Direttore di "Controrivoluzione" (www.controrivoluzione.it)
LA CITTADINANZA E' INVITATA
Narciso Feliciano Pelosini scrittore toscano tra ascia libri e chiesa
Il 9 giugno 1833 nacque a Fornacette di Pisa, Narciso Feliciano Pelosini.
Di lui ho letto solo le 88 pagine del suo “Maestro Domenico” ma sono state sufficienti per farmelo entrare nel cuore oltre che nella mente.
Di professione fece l’avvocato (anche di Giacomo Puccini) e il docente nella Scuola di Scienze sociali di Firenze. Per passione fu anche un politico, senatore della Destra nel 1896.
Ma la cosa per la quale va ricordato di più – almeno per me – è questa bellissima favola toscana del “Maestro Domenico, una buona pasta di campagnuolo senza grilli, né frasche; con poche idee ma precise: buon cristiano e galantuomo di stampa antica. Sapeva a mente la “Gerusalemme Liberata” del Tasso con le aggiunte del signor Cammillo Cammilli; narrava con garbo le “Novelle morali” del padre Francesco Soave, e non avrebbe mai immaginato che fra i perditempo di questo mondo ci fosse quello della politica. Da giovane imparò un mestiere, e, quel che più conta, lo imparò bene: e quando si accorse che lo sapeva a dovere, ne studiò altri due; cosicché da uom fatto si trovava alle mani nullameno che tre mestieri, dai quali cavava dei belli e buoni francesconi che metteva in serbo per la vecchiaia”.
Questo l’incipit del libro, un capolavoro della Reazione, almeno in letteratura.
Alla trama accenno appena per non togliere il gusto di leggere il libro: Maestro Domenico passava i suoi giorni nella tranquillità e nella sicurezza della bella Toscana granducale d’antan, “fra l’ascia, i libri, la chiesa e i centi delle lire”.
Il fedele suddito di Sua Altezza Imperiale il Granduca di Toscana se ne stava in Arcadia beato ma …. un giorno, dopo una camminata nell’ordinato paesaggio toscano e dopo una bevuta di vino e “una buona pipata di tabacco, le palpebre gli cascarono del bello sugli occhi, e placidamente si addormentò” sotto un albero.
Fu un sonno lungo, lunghissimo, sotto un pino. Tanto lungo che Maestro Domenico si svegliò….. 19 anni dopo, nel 1864 nel Regno unitario italiano, esatto opposto della sua incantata e ordinata Toscana granducale. Sconvolgente!
Il resto della novella… scopritelo da soli. Il libro lo pubblicò a sue spese Narciso Feliciano Pelosini nel 1871. Lo ristampò nel 1982 la Sellerio, che Dio e il nostro Granduca toscano gliene rendano perennemente merito.
Fonte: BARBADILLO - Amerino Griffini
Annunziamo questa prima importantissima manifestazione che si terrà a Borgo San Lorenzo sabato 2 marzo 2019, alle ore 17:00, presso la Saletta Comunale Pio La Torre — Via Giotto di Borgo San Lorenzo (FI) - con ingresso libero - dove verrà presentato il libro di NARCISO FELICIANO PELOSINI: "MAESTRO DOMENICO" (Edizioni Solfanelli).
Dopo i saluti di JACOPO ALBERTI, Consigliere Regionale della Lega, Portavoce dell'Opposizione in regione Toscana; MATTEO GOZZI, Consigliere Comunale di Borgo San Lorenzo; DANIEL VATA, Studente
INTERVERRANNO
ALESSANDRO SCIPIONI - Pubblicista
ASCANIO RUSCHI - Giurista- Condirettore di www.soldatidelre.it
PUCCI CIPRIANI,- Giornalista- Direttore di "Controrivoluzione" (www.controrivoluzione.it)
LA CITTADINANZA E' INVITATA
Narciso Feliciano Pelosini scrittore toscano tra ascia libri e chiesa
Il 9 giugno 1833 nacque a Fornacette di Pisa, Narciso Feliciano Pelosini.
Di lui ho letto solo le 88 pagine del suo “Maestro Domenico” ma sono state sufficienti per farmelo entrare nel cuore oltre che nella mente.
Di professione fece l’avvocato (anche di Giacomo Puccini) e il docente nella Scuola di Scienze sociali di Firenze. Per passione fu anche un politico, senatore della Destra nel 1896.
Ma la cosa per la quale va ricordato di più – almeno per me – è questa bellissima favola toscana del “Maestro Domenico, una buona pasta di campagnuolo senza grilli, né frasche; con poche idee ma precise: buon cristiano e galantuomo di stampa antica. Sapeva a mente la “Gerusalemme Liberata” del Tasso con le aggiunte del signor Cammillo Cammilli; narrava con garbo le “Novelle morali” del padre Francesco Soave, e non avrebbe mai immaginato che fra i perditempo di questo mondo ci fosse quello della politica. Da giovane imparò un mestiere, e, quel che più conta, lo imparò bene: e quando si accorse che lo sapeva a dovere, ne studiò altri due; cosicché da uom fatto si trovava alle mani nullameno che tre mestieri, dai quali cavava dei belli e buoni francesconi che metteva in serbo per la vecchiaia”.
Questo l’incipit del libro, un capolavoro della Reazione, almeno in letteratura.
Alla trama accenno appena per non togliere il gusto di leggere il libro: Maestro Domenico passava i suoi giorni nella tranquillità e nella sicurezza della bella Toscana granducale d’antan, “fra l’ascia, i libri, la chiesa e i centi delle lire”.
Il fedele suddito di Sua Altezza Imperiale il Granduca di Toscana se ne stava in Arcadia beato ma …. un giorno, dopo una camminata nell’ordinato paesaggio toscano e dopo una bevuta di vino e “una buona pipata di tabacco, le palpebre gli cascarono del bello sugli occhi, e placidamente si addormentò” sotto un albero.
Fu un sonno lungo, lunghissimo, sotto un pino. Tanto lungo che Maestro Domenico si svegliò….. 19 anni dopo, nel 1864 nel Regno unitario italiano, esatto opposto della sua incantata e ordinata Toscana granducale. Sconvolgente!
Il resto della novella… scopritelo da soli. Il libro lo pubblicò a sue spese Narciso Feliciano Pelosini nel 1871. Lo ristampò nel 1982 la Sellerio, che Dio e il nostro Granduca toscano gliene rendano perennemente merito.
Fonte: BARBADILLO - Amerino Griffini
martedì 12 febbraio 2019
L'APOSTASIA NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ. XXXII Convegno della Tradizione Cattolica
Anche
quest'anno, si svolgerà l'Incontro (il XXXII) della Tradizione Cattolica presso
la "Fedelissima" Civitella del Tronto nella seconda settimana di
marzo (venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 marzo 2019) e che avrà per titolo
"L'APOSTASIA NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ".
APPUNTAMENTI
Venerdì 8 marzo
(Hotel Fortezza)
Ore
18:30 – S. Messa in rito romano antico “ad memoriam” del Conte Neri Capponi
Ore
21:30 – “Via Crucis” con fiaccole per le vie di Civitella del Tronto
Ore
22:30 – Benedizione nella piazza di Civitella.
Sabato 9 marzo
(Hotel Fortezza)
Ore
9:00 – S .Messa in rito romano antico
Ore
10:00 – inizio dei lavori con il canto del “Salve Regina”
Ore
13:00 – fine dei lavori Ore 13,30 pranzo
Ore
15:30 - inizio dei lavori
Ore
20:00 - termine dei lavori con il canto del “Credo”
Domenica 10
marzo (Hotel Fortezza – Rocca della “Fedelissima”)
Ore
10:00 – S. Messa solenne in rito romano antico “ad memoriam” dei Martiri della
Tradizione
Ore
11:00 - Partenza della processione verso la Rocca con recita del S. Rosario.
Nella Piazzaforte della “Fedelissima” Civitella del Tronto Alzabandiera con il
canto del “Christus vincit” – Ricordo dei Caduti della Tradizione (Massimo de
Leonardis) – Saluto alla voce ( Pucci
Cipriani) – Presso la chiesa di S. Jacopo alla Rocca Benedizione del Sacello
contenente le spoglie dei caduti nella difesa di Civitella.
Ore
12:00 – Visita alla Rocca e al Museo di Civitella del Tronto.
Ore
13:00 – Riunione conviviale presso Hotel “Fortezza” e Arrivederci al 2020!
PROGRAMMA DI
SABATO 9 MARZO
MATTINO ore 10:00
– 13:00
(INIZIO CON IL
CANTO DEL SALVE REGINA)
Pucci
Cipriani, Direttore di "Controrivoluzione": Apertura del Convegno de XXXII Convegno - Commemorazione del Conte Neri
Capponi
On.
Fabrizio Di Stefano: Saluto ai
partecipanti al XXXII Convegno della Tradizione cattolica
M.R.
Don Mauro Tranquillo FSSPX: Prolusione
al Convegno
Massimo
de Leonardis, Ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali - Università Cattolica
di Milano: "Il Pontificato di
Francesco: continuità o svolta nel processo di Rivoluzione nella Chiesa?"
Ascanio
Ruschi, Giurista, Condirettore di "Soldati del Re": Presentazione della IX Edizione della
Marcia per la Vita che si terrà a Roma sabato 18 maggio 2019.
Marco
Solfanelli, Editore: Le novità
editoriali del 2018-2019
Roberto
de Mattei, Docente Universitario, Presidente della Fondazione Lepanto: "Augusto Del Noce e la Controrivoluzione nel
trentennale della scomparsa"
Cristina
Siccardi, Scrittrice: "Il
Neopaganesimo e la profanazione delle Chiese : il precipizio delle liturgie e
delle arti moderniste"
POMERIGGIO 15:30
– 20:00
(AL TERMINE
CANTO DEL CREDO)
Guido
Vignelli, Giornalista, Storico: "La
Rivoluzione pastorale del post Concilio"
Cristiano
Lugli, Pubblicista: “L'apostasia nel
fine vita”
Massimo
Viglione, Docente, Storico: "1919
-2019: la tragedia italiana"
Andrea
Sandri, Docente Universitario: "L'Apostasia
nel pensiero medievale da Adsone a san Tommaso"
Patrizia
Fermani, Docente emerito Diritto Penale dell'Università di Padova: "La sostituzione del popolo serve al
genocidio culturale"
Alessandro
Elia, saggista: "La
secolarizzazione secondo Gustave Thibon"
Carlo
Manetti, Docente Università private: "L'irrazionalismo
modernista: l'apostasia come ricerca della ragione"
Lorenzo
Gasperini, Pubblicista, Redattore di "Controrivoluzione": "Diritti moderni veleno della società e
della politica"
Al
momento non è pervenuta la relazione del prof. Regazzoni
AVREMO
L'ONORE DI AVERE TRA NOI PER I TRE GIORNI IL MAESTRO GIOVANNI GASPARRO CHE
ESPORRÀ TRE SUE OPERE
martedì 5 febbraio 2019
NEL NOME DELLA TRADIZIONE E DELLA "CONTRORIVOLUZIONE"
Venerdì 8, Sabato 9 e Domenica
10 Marzo 2019
si terrà l'annuale incontro della Tradizione Cattolica
della "Fedelissima" Civitella del Tronto sul tema
"L'apostasia
nella Chiesa e nella Società"
"Militi dell'Armata di Gaeta... Il tradimento interno, l'attacco
delle bande rivoluzionarie di stranieri, l'aggressione di una Potenza, che si
diceva amica, niente ha potuto domare la vostra bravura, stancare la vostra
costanza. In mezzo alle sofferenze di ogni genere, traversando i campi di
battaglia, affrontando il tradimento, più terribile che il ferro ed il piombo,
siete venuti a Capua e a Gaeta, seguendo il vostro eroismo sulle rive del
Volturno, sulle sponde del Garigliano, sfidando per tre mesi in mezzo a queste
mura gli sforzi d'un nemico che possedeva di tutte le risorse d'Italia.
Grazie a voi è salvo l'onore dell'Armata delle Due Sicilie; grazie a
voi può alzar la testa con orgoglio il vostro Sovrano... che aspetterà la
giustizia del Cielo, (e) la memoria dell'eroica lealtà dei suoi Soldati, sarà
la più dolce consolazione delle sue sventure".
È il 14 febbraio del 1861
quando i soldati ascoltarono l'Ordine del giorno di Sua Maestà il Re Francesco
II (Dio guardi!) alla guarnigione di Gaeta dove i combattenti
"napolitani" hanno scritto le pagine più belle di un'epopea gloriosa;
le pagine più belle perché scritte con il sangue, in mezzo alle bombarde, ai
cannoneggiamenti, al colera e, soprattutto, ai tradimenti dei generali compri
dall'oro massonico, mentre i Sovrani di Napoli, Re Francesco e la Regina Sofia,
con i Principi del Sangue, difendevano sugli spalti di Gaeta la Cittadella e il
loro Regno.
Tante sono state le battaglie
combattute, contro un esercito invasore e orde di anarchici e avventurieri
rivoluzionari prezzolati, per difendere l'ultimo baluardo della Monarchia
cattolica; ma dopo l'epica Resistenza di quella Piazzaforte il Sovrano
Napolitano sottoscrive la capitolazione, per evitare ulteriori spargimenti di
sangue tra la sua gente: vengono mandati ambasciatori anche a Civitella del
Tronto perché i difensori della "Fedelissima" Fortezza si arrendano,
dopo che la gloriosa bandiera gigliata è stata ammainata a Gaeta.
Ma i soldati e il popolo
civitellese si rifiutano di arrendersi all'esercito dell'invasore piemontese;
un pugno di militari, rinchiusi nella roccaforte abruzzese, "spes contra
spem", vogliono combattere "per essere uomini ancora, uomini che la
violenza e l'illusione non li piega e che servono la fedeltà, l'onore la
bandiera e la Monarchia, perché son padroni di sé e servitori di Dio".
La guarnigione della
"Fedelissima" resisterà fino alle ore 11 del 20 marzo; solo il
tradimento — i Giuda, ieri come oggi, sono sempre esistiti — permise
all'esercito della Rivoluzione di occupare la Piazzaforte: i comandanti,
insieme all'intrepido cappellano, il francescano padre Leonardo Zilli da
Campotosto, verranno fucilati, senza processo sulla piazza di Civitella... i
soldati saranno fatti partire per essere rinchiusi nei "Lager dei
Savoia".
E allora Civitella del Tronto negli
anni bui della contestazione sessantottarda e della Rivoluzione conciliare
("Il Concilio Vaticano II è stato il nostro Sessantotto" affermò il
rosso Card. Suenens) assurse a simbolo della Controrivoluzione, che non è una
Rivoluzione di segno contrario ma il contrario della Rivoluzione (de Maistre) e
un gruppo di giovani, con a capo Paolo Caucci, si ritrovava lì, ogni anno, per
ricordare quell'eroica Resistenza e, nello stesso momento, per giurare di
fronte al sacello di quei prodi che la nostra sarebbe stata una testimonianza
di Fede "usque ad effusionem sanguinis".
Io ricordo cinquant'anni di
viaggi a Civitella del Tronto, il luogo dove non si cercava un'idea di gloria,
ma si prendeva forza per il "buon combattimento", onorando la
Bandiera gigliata, sotto alla quale combatterono i prodi difensori del Regno e,
difendendola, poterono gridare, in faccia al feroce invasore, il "Non mi
arrendo!"...
E Civitella del Tronto fu ancor
più simbolo della Resistenza durante gli "Anni di Piombo", i
sanguinosi "Anni di Piombo", quando anche la "nostra parte"
poté scrivere il suo "Martirologio". Demmo la nostra testimonianza
tenace, da poveri peccatori, con tutte le nostre pecche, le nostre mancanze, ma
avemmo, e abbiamo ancora, la forza, di resistere e di far garrire le nostre
Bandiere e di gettare al vento le nostre canzoni.
Io vi ricordo tutti, amici
miei, vi porto tutti nel cuore; ho presente negli occhi i vostri volti, ricordo
le vostre voci che recitavano le preghiere nella Chiesa di San Jacopo alla
Rocca... e, a sera, le mie preghiere, le nostre preghiere, vanno a coloro —
come meravigliosamente ha ricordato il nostro caro amico Fabrizio Di Stefano —
che ora sono in Cielo, nel Cielo degli eroi; vi porto nel cuore, cari amici, "vecchi
e i giovani", e vi ringrazio per questa testimonianza ; viviamo insieme insieme
il ricordo di quei soldati che morirono sotto il piombo giacobino al grido di
"Viva 'O Re", di quei combattenti e di quella popolazione vandeana
sterminata dal terrore rivoluzionario; restano nei nostri cuori, a eterno
monito, i 200 milioni di morti, vittime del Comunismo assassino, i nostri
martiri delle Insorgenze antigiacobine, i carlisti caduti sul Campo dell'Onore
per riportare Dio alla Spagna, i combattenti della "Cristiada" messicana
contro il Governo massonico di Calles che s’immolarono trafitti dalle baionette
gridando "Viva Cristo Rej"...
Onore ai testimoni della
Tradizione. Infamia ai traditori... come a quello ultimo che, come Giuda, dopo
avermi dato il "bacio dell'amicizia", mi propose la resa
incondizionata, il rinnegamento di cinquant'anni di battaglie, molte delle
quali perse, ma sempre con onore! Che Iddio lo perdoni ma non ce lo faccia più
incontrare!
E ricordiamo il nostro eroico
Cappellano, don Giorgio Maffei, che sulla scia del francescano p. Leonardo
Zilli da Campotosto, fucilato dai piemontesi invasori, animò la Resistenza di
Civitella. Don Giorgio scelse la Tradizione ed è stato con noi per trent'anni
donandoci la Messa nel rito romano antico, la Messa cattolica, la Messa di
sempre e di tutti, confessando e comunicando, centinaia di persone che, a
Civitella del Tronto, allora come oggi, si riconciliano con il Signore.
Onore a don Giorgio Maffei che,
prima di andarsene santamente, ha lasciato il testimone nelle amni di don Mauro
Tranquillo che ci assicura i Sacramenti della Chiesa di sempre.
Anche quest'anno sfilerà per le
strade di Civitella la Via Crucis del venerdì; anche quest'anno da tutta
Italia, i più bei nomi della Tradizione terranno le loro conferenze, anche
quest'anno saliremo alla Rocca dove il giovane civitellese Daniele D'Emidio,
innalzerà, al canto del "Christus vincit", sul pennone della "Fedelissima",
il vessillo Borbonico.
Ancor oggi, in questa tragica
apostasia generale della Chiesa e della società, noi siamo chiamati a dare la
nostra testimonianza... chi sa se il Signora mi darà (ci darà) ancora tempo per
la "buona battaglia"... ma noi continuiamo il "bonum
certamen" .
"... noi restiamo sulla
spianata..."Cui bono" — mi vien da dire parafrasando il nostro caro
Tito Casini — con quale speranza, ci chiediamo, dal momento che
l'"ordine"... è di cedere e i capi ne danno, "tutti",
l'esempio?"
Con nessuna speranza se
confideremo nell'uomo, con la certezza della vittoria finale se confideremo nel
Signore e nella Vergine Santissima, la Madre della
"Controrivoluzione".
Vi aspetto dunque tutti a
Civitella del Tronto per poter afferrare nel nostro pugno chiuso, come diceva
Paul Claudel, un po' di cielo... dove lasciando agli altri il tempo noi potremo
guardare all'eternità.
Pucci Cipriani
Fabio Coppola, Ivan Cerlino, Pucci Cipriani, Giovanni Gasparro,
Lorenzo Gasperini e Alessandro Rabellino
Intorno all'opera del Maestro Giovanni Gasparro
lunedì 4 febbraio 2019
Le cartoline del convegno di Civitella 2019, dalle opera del M. Giovanni Gasparro
Giovanni Gasparro: San Pio X Pontefice Massimo
Olio su tela, 90x70 cm, 2015. Bassano del Grappa (VI)
Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini
Giovanni Gasparro: Beato Pio IX Pontefice Massimo
Olio su tela, 90x70 cm, 2015. Bassano del Grappa (VI). Collezione privata
Image copyright © Archivio dell'Arte e Luciano Pedicini
Giovanni Gasparro: San Pio V Pontefice Massimo
Olio su tela, 90x70 cm, 2015. Bari, Collezione privata
Image copyright © Archivio dell'Arte e Luciano Pedicini
martedì 15 gennaio 2019
XXXII Incontro della Tradizione Cattolica (Civitella del Tronto, 8-9-10 marzo 2019)
Carissimi
amici,
siamo
lieti di annunziarvi che, anche quest'anno, si svolgerà il XXXII Incontro della
Tradizione Cattolica presso la "Fedelissima" Civitella del Tronto
nella seconda settimana di marzo (venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 marzo 2019)
e che avrà per titolo
L'APOSTASIA
NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ
Per
ulteriori informazioni:
pucciovannetti@gmail.com
cell. 333 9348056
avv.ruschi@libero.it
cell. 349
4657869
PROGRAMMA
Venerdì 8 marzo
2019
(Hotel Fortezza)
Ore
18,30 – S. Messa in rito romano antico “ad memoriam” del Conte Neri Capponi
Ore
21,30 – “Via Crucis” con fiaccole per le vie di Civitella del Tronto
Ore
22,30 – Benedizione nella piazza di Civitella del Tronto.
Sabato 9 marzo
2019
(Hotel Fortezza)
Ore
9,00 – S. Messa in rito romano antico
Ore
10,00 – inizio dei lavori con il canto del “Salve Regina”
Ore
13,00 – fine dei lavori Ore 13,30 pranzo
Ore
15,30 – inizio dei lavori
Ore
20,00 – termine dei lavori con il canto del “Credo”
Domenica 10 marzo
2019
(Hotel Fortezza – Rocca della “Fedelissima”)
Ore
10,00 – S. Messa solenne in rito romano antico “ad memoriam” dei Martiri della
Tradizione
Ore
11,00 – Partenza della processione verso la Rocca con recita del S. Rosario.
Nella Piazzaforte della “Fedelissima” Civitella del Tronto Alzabandiera con il
canto del “Christus vincit” – Ricordo dei Caduti della Tradizione (Massimo de
Leonardis). Saluto a voce (Pucci Cipriani) – Presso la chiesa di S. Jacopo alla
Rocca Benedizione del Sacello contenente le spoglie dei caduti nella difesa di
Civitella.
Ore
12,00 – Visita alla Rocca e al Museo di Civitella del Tronto.
Ore
13,00 – Riunione conviviale presso Hotel “Fortezza” e Arrivederci al 2020!
ACCOGLIENZA
Potete già prenotare presso:
Hotel Fortezza
Tel.
0861/91321 – fax 0861/918221
PREZZI
CAMERE:
Camera
Singola € 40,00 a notte (prima colazione inclusa).
Camera
Matrimoniale € 50,00 a notte (prima colazione inclusa).
Camera
Tripla € 60,00 a notte (prima colazione inclusa).
Camera
Quadrupla € 70,00 a notte (prima colazione inclusa).
I
pranzi verranno consumati all’Hotel Fortezza e una settimana prima verrà
inviato anche il menù (prezzo indicativo di ogni pranzo o cena 20,00 euro ca).
Cena
di Venerdì 8 Marzo – Pranzo di Sabato 9 Marzo – Cena di Sabato 9 Marzo – Pranzo
di Domenica 10 Marzo
Hotel Zunica
****
Piazza
Filippi Pepe 14 – Civitella del Tronto.
Tel.:
0861 91319.
Camera
doppia uso singola € 58/notte
Camera
doppia o matrimoniale € 85/notte
Camera
matrimoniale + letto aggiunto € 100/notte
Colazioni
incluse
Hotel Miami ***
Viale
Librata 1, Villa Lempa di Civitella del Tronto.
Tel.:
0861 919183
Camera
singola € 45/notte
Camera
doppia o matrimoniale € 65/notte
Camera
tripla € 90/notte
Camera
quadrupla € 100/notte
Colazioni
incluse
Hotel Ermocolle
****
Via
Provinciale, Fraz. Ponzano, Civitella del Tronto.
Tel.:
0861 91120
Camera
singola € 46/notte
Camera
doppia € 65/notte
Colazioni
incluse
Note importanti:
I giovani che non abbiano superato il
25° anno di età e gli studenti universitari, potranno usufruire di un
trattamento di favore: per i tre giorni – pernottamento e consumazione pasti
all’Hotel Fortezza, tutto compreso (cena e pernottamento del venerdì – prima
colazione, pranzo, cena e pernottamento del sabato – prima colazione e pranzo
della domenica) a soli Euro 75,00€ In tal caso la prenotazione non va fatta
all’albergo ma direttamente al Direttore di “Controrivoluzione” 3339348056 –
pucciovannetti@gmail.com o all’avv. Ascanio Ruschi avv.ruschi@libero.it.
Tutti
coloro che non rientrino nella categoria dovranno prenotarsi direttamente agli
alberghi, tenendo presente che i lavori del Convegno si svolgeranno all’Hotel
Fortezza.
I libri possono essere messi in vendita
soltanto dall’Editore Marco Solfanelli, dalla “Fondazione Lepanto” e dalla
Fraternità San Pio X.
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