Giovedì 29 giugno 2017, alle ore 17:00, a Firenze, presso la Sala delle Feste della Regione Toscana in Palazzo Bastogi - via Cavour, 18 - presentazione del libro di Pucci Cipriani: "Dal natìo Borgo selvaggio: quando ancora c'era la Fede e si pregava in latino" (Solfanelli) con prefazione di Massimo de Leonardis e postfazione di Cosimo Zecchi, con la copertina: "Borgo sotto la neve visto dai Bastioni" del pittore borghigiano Enrico Pazzagli.
Interverrano Giovanni Donzelli, Presidente del Gruppo di FdI alla Regione Toscana, Luca Ferruzzi, Consigliere Comunale di Borgo San Lorenzo, l'Avvocato Ascanio Ruschi, e, con l'autore, il pubblicista Lorenzo Gasperini, il Docente Universitario Giovanni Tortelli e il Redattore di "Controrivoluzione" Gabriele Bagni.
Pubblichiamo di seguito la bella recensione di Luca Ferruzzi al libro di Pucci Cipriani:
Due volte l'ho voluto rileggere questo bel libro, tanto mi ha aiutato, alla sera, a far pace con me stesso: a sopirmi l'animo, in attesa che il corpo lo seguisse, prima di prender sonno, ché nei “bei tempi andati”, quelli appunto ricordati da Pucci, di notte si dormiva bene, in armonia con se stessi, la famiglia, la società, la natura stessa.
Interverrano Giovanni Donzelli, Presidente del Gruppo di FdI alla Regione Toscana, Luca Ferruzzi, Consigliere Comunale di Borgo San Lorenzo, l'Avvocato Ascanio Ruschi, e, con l'autore, il pubblicista Lorenzo Gasperini, il Docente Universitario Giovanni Tortelli e il Redattore di "Controrivoluzione" Gabriele Bagni.
Pubblichiamo di seguito la bella recensione di Luca Ferruzzi al libro di Pucci Cipriani:
Due volte l'ho voluto rileggere questo bel libro, tanto mi ha aiutato, alla sera, a far pace con me stesso: a sopirmi l'animo, in attesa che il corpo lo seguisse, prima di prender sonno, ché nei “bei tempi andati”, quelli appunto ricordati da Pucci, di notte si dormiva bene, in armonia con se stessi, la famiglia, la società, la natura stessa.
Ecco, allora, che sono proprio
questi aspetti, che poi sono quelli che costituiscono l'interiorità, l'essenza
stessa dell'uomo che Pucci ci descrive, con dovizia di caratteristiche,
amore e nostalgia.
Dall'opera traspare forse una
particolarità di fondo, che la permea e ne costituisce il filo conduttore: la consapevolezza
attiva e militante di voler porsi come porzione elementare, parte
integrante, testimone e portabandiera di quella società tradizionale,
cristiana e contadina propria, precisamente, del Natio Borgo Selvaggio
che a questo punto, e a tutti gli effetti, diventa Domestico – una casa,
appunto, dove natura, uomo e società elevano all'unisono una armoniosissima
laude al Creatore.
E questa volontà di
testimonianza diventa, in Pucci, quasi un bisogno fisico, un dovere,
anzitutto nei confronti degli altri: dell'amata famiglia, degli amici,
dei parrocchiani, delle guide sicure che dovrebbe avere una società sana (in
questo caso le autorità civili e religiose del borgo), ma poi anche nei propri
confronti: per rafforzare le personali determinazioni, rinsaldare l'azione
sdipanata con costanza e coraggio nel corso di una vita (i modernisti
psicanalitici settari e i sessantottardi piliferi tanto cari a Pucci direbbero,
per svilire il processo interiore, per rinforzare il proprio Io), ma qui
si tratta di qualcosa di infinitamente più profondo ed incomprensibile ai
suddetti, qualcosa di parecchio più faticoso, essoterico ed eroico: estirpare
dal proprio sentiero le insidiose malerbe infestanti, in vista dell'esamino che
ci sta predisponendo il Supremo Giudice, e lasciare tale sentiero lindo, pulito
e ben tracciato come regalo per chi vorrà percorrerlo.
E infatti, come giustamente ci fa
notare Pucci in ogni frase, ad ogni pagina … non servono grosse e dotte
disquisizioni di filosofia, antroposofia, sociologia e morale per farci capire
chi siamo, cosa eravamo, dove eravamo e anche, purtroppo, dove
stiamo andando: basta tranquillamente portare alla coscienza, se ancora ce
l'abbiamo, il ricordo del sapore delle frittelle di San Giuseppe,
dell'abbacchio pre-vegano pasquale, del papero per la battitura,
dell'odore dell'incenso durante la processione del Corpus Domini, del
suono melodioso, profondissimo e salvifico delle campane, delle parole e dei
canti in latinorum (come direbbe, per l'appunto, l'On. Peppone di
Guareschi) di una volta, o, come dice Pucci, di sempre.
Ma perchè sia di sempre,
allora tale filosofia di vita deve necessariamente essere vissuta, professata,
trasmessa in tutte le sue più recondite manifestazioni, altrimenti essa muore
lasciando in sua vece, ci ammonisce Pucci, l'aridità del nulla cosmico.
Ecco allora l'impegno militante
dell'Autore in difesa della tradizione e di tutti i suoi aspetti: dal canto
alle usanze popolari, grondanti sacralità e significato, l'amore per gli
spettacoli circensi, la denuncia del modernismo dalla rivoluzione francese in
poi (ma io direi, caro Pucci, da prima ancora: dalla vittoria dei Guelfi sui
Ghibellini, dall'affermarsi della Chiesa Curiale su quella Monastica, fino alla
pressoché totale obnubilazione di quest'ultima), la propensione politica per
una monarchia imperiale, l'impegno nel teatro, nell'insegnamento.
E per non farsi mancar nulla,
ecco che Pucci rifugge, nel libro ma anche nella vita, da ogni forma ipocrita
del politically correct mettendo alla berlina, in modo vivace e sapido,
chi sparla di PACS invece che di
matrimonio sodomitico, o di integrazione culturale per coprire la realtà
dell'invasione mussulmana.
Grazie Pucci, e che Dio te ne
renda merito.
Luca Ferruzzi
Nessun commento:
Posta un commento