"La nostra
Patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che
i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra Patria è la nostra Fede, la
nostra terra. Ma la loro patria, cos'è? Lo capite voi? Vogliono distruggere i
costumi, l'ordine, la Tradizione. Allora che cos'è questa patria che sfida il
passato, senza fedeltà, senza, senz'amore? Questa patria di disonore e
irrilegione? Per loro la patria sembra non sia che un'idea; per noi è una
terra. Loro ce l'hanno nel cervello: noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è
più solida. E' vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e
vogliono fondare sull'assenza di Dio. Si dice che noi siamo i fautori delle
vecchie superstizioni...Fanno ridere! Ma di fronte a questi deoni che rinascono
di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori! Siamo la gioventù di Dio.
La gioventù della fedeltà"
François
Athanase Charette de la Contrie
Comandante
vandeano
La Resistenza della
"Fedelissima" Civitella del Tronto è la più bella e commovente pagina dell'Antirisorgimento perché scritta
col sangue da un pugno di uomini, soldati e sudditi fedeli a Re Francesco (Dio
guardi!), che si opposero, sacrificando la loro vita, all'invasione massonico rivoluzionaria e alla
ferocia belluina di un esercito invasore di fronte al quale impallidisce la
ferocia nazista...
E anche quest'anno 2020, domenica 15
marzo, saliremo alla Rocca per far garrire di nuovo, ai piedi del Gran Sasso coperto
di neve, il vessillo biancogigliato che ancora sventolava quel mattino del 20
marzo 1861 sull'ultima cinta muraria, quando aperta "Porta Napoli" da
mani traditrici — quante volte quelli che si fanno scudo del "Non mi
arrendo", ma non nel cuore, sono i primi a tradire con fellonia!) — quelle
stesse mani che, in precedenza, avevano combattuto a Civitella, forse covando
già nei loro cuori il tradimento...
Non so se ricordate la lettera di
Guareschi a don Camillo, apparsa su "Italia in graticola", dove il
prete viene esortato a "non mollare!" e a resistere di fronte alle
innovazioni liturgiche del Concilio e
alla nuova Messa di Lutero; forza!, dice Giovannino a don Camillo, raccogli
tutto la il tuo "armamentario" e, nella Cappellina del Filotti,
continua a celebrare la nostra Messa, la stessa Messa che celebrò Gesù
nell'ultima cena, la Messa di sempre e di tutti: "Coraggio don Camillo
quando i generali tradiscono c'è bisogno dei semplici soldati..."
E quando il Comandante Giovine,
dimenticando il suo passato eroismo, tentò di arrendersi al nemico, furono i
soldati semplici e i "cafoni" —
i quali si erano recati a Civitella per difendere le loro famiglie, le
loro case, i loro averi, la propria identità e loro Patria come la intendeva
Monsieur Charette, come la intendono gli uomini della tradizione — che si
ammutinarono e che rinchiusero il loro capo in prigione. Lo stesso fecero con
il vile Ascione che, fuggito nottetempo, aprì, ai lanzichenecchi tricolorati
invasori, Porta Napoli. Fu il Sergente Messinelli, l'eroe di Civitella, a
prendere il Comando della Piazza.
Loro volevano combattere, spes contra
spem, e così non si arresero neanche ai messaggeri di Re Francesco (Dio guardi!)
che comunicavano la resa di Gaeta e, poco dopo, quella di Messina, ma fecero
garrire al vento, mentre si levava "nel sole" una triste canzone di
guerra, quel vessillo gigliato e
ricamato in oro, mandato dalla Regina Sofia la quale, come loro, aveva combattuto
sugli spalti della Cittadella di Gaeta, sfidando le pallottole nemiche e il
"feral morbo", il colera.
La sorte degli ultimi difensori di
Civitella del Tronto, era ormai segnata, dopo le stragi di Casalduni e
Pontelandolfo, dopo le fucilazioni di massa, dopo i rastrellamenti e le
uccisioni, con processo sommario, dei così detti "briganti" e dei
loro "manutengoli"... che talvolta erano poveri pastorelli che
avevano un pane intero nella saccoccia... troppo per un bambino e dunque
sospetto di aiutare i "briganti" e fucilato, perché
"manutengolo"...
Del resto il Generale Pinelli, quello
che aveva fatto fucilare una coppia di giovani sposi — intimando loro, durante l'esecuzione di
cantare "Fratelli d'Italia" — che lo avevano ospitato in casa, in
quanto, nottetempo, aveva trovato nella cantina, dove, ebbro di vino, si era
recato a far scorta di bottiglie, una vecchia oleografia dei Reali
Napolitani... poi il 3 febbraio il Pinelli, come se ce ne fosse stato bisogno,
dopo alcune "sortite" dei valligiani che appoggiano la Resistenza
lealista di un pugno di uomini coraggiosi, getta davvero la maschera ed emana
il famigerato bando che suscitò l'orrore e l'indignazione di tutte le
Cancellerie Europee che guardavano con ammirazione l'eroismo dei soldati
borbonici e dei civitellesi: "Ufficiali e soldati! Un branco di questa
progenie di ladroni ancora si annida fra i monti, correte a snidarli e siate inesorabili come
il destino. Noi li annienteremo, e schiacceremo il sacerdotal vampiro che con
le sozze labbra succhia da secoli il sangue dell'Italia nostra, purificheremo
col sangue e col fuoco le regioni infettate dall'immonda sua bava..."
Perfino il Cavour fu costretto ad
allontanarlo — seppur per poco — dal comando e sostituirlo con un altro, un
cialtrone disertore dell'esercito napoletano passato, "compro con
oro", al nemico: il Generale Luigi Mezzacapo che su Civitella scatena
l'inferno. Da quel giorno ben ottomila bombarde colpirono la Cittadella e
quando fu aperta Porta Napoli, finalmente entrarono il 20 maggio alle 11 del
mattino del 1861 i bersaglieri con tutto lo Stato Maggiore e la fanfara — sulla
Piazzaforte sventola ancora il vessillo biancogigliato dell'onore e della
fedeltà — e il Mezzacapo provvede immediatamente a far arrestare e a fucilare a
Porta Napoli il Comandante la Guarnigione il Sergente Angelo Messinelli e il
Capo della Resistenza Sopito di Bonaventura, rei di non essersi arresi e di
aver continuato a combattere per il loro Re. Niente processo ma solo questa
frase in un telegramma inviato a Cavour: "Ho creduto di dover dare un
pronto esempio facendoli fucilare!"
Poi fu la volta del Cappellano militare
padre Leonardo Zilli da Campotosto, francescano... Animo grande e cuore
generoso, il padre Leonardo ogni giorno celebrava davanti alla truppa la S. Messa
e dava la Sacra Particola ai soldati che andavano così, sereni, a pugnare per
la propria Patria. Non si risparmiò mai il buon padre Zilli e, mentre portava
conforto ai malati e ai moribondi, andava da una parte all'altra per
incoraggiare combattenti e popolani, per persuadere, con parole di fuoco, a non
cedere di fronte agli assalti del nemico, né alle loro minacce, né alle loro
promesse, né a tutti gli inganni che tendevano per convincere alla resa:
"La setta massonica — ripeteva il francescano — è colpevole delle sventure
italiane, nemica della Religione e del Papa, apportatrice, con le nuove idee
materialiste, di inganni, di corruzione, di catastrofi future per l'Italia e
per il mondo intero".
Fra' Leonardo Zilli fu fucilato alla
schiena e gli fu negata — ultima infamia dei "Fratelli d'Italia" —
l'Eucarestia.
Poi i volgari assassini continuarono a
fucilare senza pietà anche nei giorni successivi.
I soldati superstiti furono portati ad
Ascoli Piceno e, da lì, nelle prigioni piemontesi e nel Lager (anche in questo
caso i nazisti arrivarono dopo i Savoia) di Fenestrelle dove perirono
miseramente.
Pucci Cipriani
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