giovedì 18 novembre 2021

LA MESSA CLANDESTINA (di Pucci Cipriani)


 Reverendo, spero che questa mia raggiunga il remoto esilio montano (qui nella sua vecchia chiesa si è insediato il nuovo pretino). Balaustra, angeli, candelieri, ex voto, statue di Santi, Madonnine, quadri e quadretti, Tabernacolo e tutti gli altri arredi sacri sono stati venduti (…) Anche il suo famoso Cristo è stato venduto perché troppo ingombrante, incombente, spettacolare e profano. Però metta il cuore in pace; tutta la sua roba non è andata lontano. L’ha comprata il vecchio notaio Piletti che l’ha portata e sistemata nella cappella privata nella sua villa di Brusadone. Don Camillo Lei troverà tutte le Sue care cianfrusaglie perfettamente sistemate nella chiesetta del notaio e potrà celebrare una Messa Clandestina per pochi suoi amici privati. Una Messa in latino, si capisce, con tanti oremus e kireleison.
Una Messa all’antica, per consolare tutti i nostri Morti che, pur non conoscendo il latino, si sentivano, durante la Messa, vicini a Dio, e non si vergognavano se, udendo levarsi gli antichissimi canti , i loro occhi si riempivano di lacrime. Forse perché, allora, il Sentimento e la Poesia non erano peccato e nessuno pensava che il dolce, eternamente giovane volto della Sposa di Cristo potesse mai mostrare macchie o rughe (…) don Camillo tenga duro: quando i generali tradiscono, abbiamo più che mai bisogno della fedeltà dei soldati. La saluta affettuosamente il suo parrocchiano Guareschi.
(Giovannino Guareschi da “l’Italia in graticola” del 1973)

* * *

Già Camerino, la bella : «… di qualche secolo anteriore alla fondazione di Roma ripetendola da quelli Umbri, che vinti i Pelasgi antichissimi popoli d’Italia, e costretti ad abbandonare l’abbattuta loro città di Camars (…) vennero a cercare fra gli appennini un più sicuro asilo, e quivi fabbricarono questa città, cui in memoria della abbandonata lor patria il nome diedero di Cameria o Camerta, onde camerti si disser poi i suoi abitanti…» come leggo nella ristampa anastatica del 2001 della “Storia della Città di Camerino narrata dal Marchese Patrizio Salvini con note e aggiunte del Can. Prof. Milziade Santoni - stampata nel 1895 nella Tipografia Savini di Camerino” un libro che mi fu donato proprio il 28 maggio 2002 da “Stefano e Manlio” con la dedica: “A Pucci, novello camerte “estote cives e pugnate camertes”. 
Una città affascinante quella di Camerino, a me particolarmente cara anche per riferimenti letterari poco noti ai più: è di Camerino Ugo Betti, un ottimo e moderno drammaturgo, gentile poeta e anche autore di una larga e affascinante produzione novellistica…novelle raccolte in un unico, introvabile, volume: “Novelle edite e rare” (Ed. Metauro 2001), anche questo regalatomi da Stefano e Manlio: “A Pucci, nella speranza che Ugo Betti possa comparire nella sua prossima Storia della letteratura italiana contemporanea. Ad maiora” (son passati vent’anni e le bozze di questa mia “inedita” Storia della letteratura sono ancora “in cantiere”, anche se la speranza di pubblicarla rimane. “Spes ultima dea”). 
Ma l’opera letteraria più bella che parla proprio della città di Camerino, ovvero, “Il mago deluso”, con i suoi “sulfurei” protagonisti – mi diceva la mamma di Stefano che gli “anziani” del luogo si ricordavano ancora di quei personaggi – è di uno scrittore che, penso, non sia sconosciuto ai miei lettori : Carlo Alianello, il non dimenticato, e molto amato, autore de “L’Alfiere”, “L’Eredità della priora”, “Soldati del Re”, “L’Inghippo”, “La Conquista del Sud”… libri che hanno reso omaggio al glorioso Regno Duosiciliano, agli ultimi sovrani Francesco II (Dio guardi!) e Maria Sofia che combatterono, insieme agli eroici soldati “napolitani”, sugli spalti di Gaeta, sotto i cannoneggiamenti dell’invasore tricolorato. 
Ecco come Alianello che fu, in realtà, a Camerino come Docente di quell’Università (riconoscibile nel protagonista: Massimo) descrive, con mano maestra, la bella città, tanto che mi par di percorrerla ancora in lungo e in largo:
“Le strade della cittadina vanno su e giù, anguste la più parte, che d’improvviso sboccano in piazzucce sghembe e ripiene di echi, con una chiesa barocca che gli da’ decoro, oppure t’ imbattevi in un muricciolo di sfondo, ché la strada terminava sui bastioni e di lì c’è un balzo , la campagna nevosa e il cielo (…) le montagne in cerchio che parevano a un trar di sasso, sì tersa per l’aria traspariva la limpidezza del gelo, invece eran così lontane…” 
La prima volta fui a Camerino fu nel 1986, per un convegno sulle Insorgenze antigiacobine su invito di un intelligente personaggio che pensava anche alla cultura, (“rara avis” in certi ambienti di Destra, dell’allora e, peggio, anche d’ora) il Presidente del FUAN (Fronte Universitario Azione Nazionale) Fabrizio Di Stefano, insieme agli amici fiorentini Domenico Del Nero, Franco Samorè e al Giudice dottor Giuliano Mignini di Perugia…poi la “Tavola rotonda” all’Università, nell’ormai famosa – per i miei ricordi – “Aula Franchi” alla presenza di un folto e attento pubblico. 
Mi entusiasmò la visione della città e anche l’accoglienza signorile e fraterna di Fabrizio Di Stefano, un ospite di eccezione,a casa del quale, poi, rimasi per alcuni giorni, fino alla Festa della Corsa della Spada (“Palio della Spada”), che si corre a maggio, la domenica successiva alla festa del Patrono San Venanzio, ed alla quale assistemmo, dal balcone di una assai graziosa fanciulla, in compagnia del suo gatto siamese che sembrava la controfigura del mio Balù.
Furono giorni assai belli, ma tutto svanisce…e anche Camerino rimaneva solo un ricordo, un piacevole ricordo, pieno di nostalgia… 
Fabrizio Di Stefano, intanto si era laureato, aveva abbandonato la sua vita universitaria “dannunziana”, aveva fatto carriera politica, diventando parlamentare della Destra…ma anche lui non dimenticò quei giorni; da allora – e son passati 25 anni – la nostra amicizia si è vieppiù rafforzata e l'”Onorevole” è sempre stato (ed è tuttavia) presente all’annuale Incontro della Tradizione cattolica della “Fedelissima” Civitella del Tronto …. 
Dopo qualche anno, era il 2000, una telefonata da Camerino… era Manlio, un giovane simpaticissimo, un “latin lover” montecatinese, studente di giurisprudenza, Presidente del FUAN – nel Senato Accademico dell’Università camerte il Fronte Universitario di Azione Nazionale (ovvero gli universitari di Destra), era il primo raggruppamento – che mi invitava a presentare – insieme ad altri, tra cui l’On. Fabrizio Di Stefano, Luciano Garibaldi, Pierangelo Maurizio e Leonardo Marino, autore del libro “Così uccidemmo il Commissario Calabresi” Ed Ares, convertitosi santamente al cattolicesimo, dopo che fu nel “commando” che uccise il povero Commissario, oggi Servo di Dio – il volume a cura di Nardiello e De Simone: “Appunti per un libro nero sul Comunismo italiano”, edito dalle Edizioni “Controcorrente” di Napoli, ed al quale anche Garibaldi ed io avevamo collaborato con due capitoli su “Gli Anni di Piombo”… 
Entrammo in Università presidiata dal Battaglione mobile dei Carabinieri di Macerata, con la città “in stato d’assedio”.. 
E conobbi anche Stefano, blasonato studente camerte di lettere antiche presso l’Università di Macerata, inseparabile sodale di Manlio, (nel linguaggio dannunziano si sarebbero detti due “frati”), ambedue di Destra, ambedue brillanti studenti e allegri goliardi, ambedue generosi “combattenti” ma, soprattutto, ambedue cattolici fedeli alla Tradizione nonostante la giovanissima età… si completavano a vicenda: parevano i Dioscuri, Castore e Polluce, ma in realtà Stefano, “tomista”, aveva come suoi modelli San Domenico e San Piero Martire, Manlio “combattente”, aveva per modello Teodoro di Amasea, insomma un duo, che formava un ferreo sodalizio, contro cui non avrei augurato a nessuno di mettersi contro sul “piano delle idee”. 
Inoltre Stefano era Governatore della Locale Compagnia del Gesù “Velato” che il Venerdì Santo veniva portato in processione; già allora ottimo “latinista” e “grecista”, aveva rapporti abbastanza buoni, anche se talvolta conflittuali, con il clero locale e con il Vescovo S.E. Mons. Fagiani (1997-2007)…
Con Stefano e Manlio trascorremmo giorni indimenticabili a Camerino (altre conferenze seguirono) e non solo a Camerino, ma anche a Firenze, a Montecatini e a Pistoia, a Rimini… fummo insieme a Civitella del Tronto al Convegno della “Tradizione” e poi a Gaeta e… a Napoli a sventolare le bandiere borboniche e a “cacciare il Savoia redivivo”…
C’era qualcosa che ci univa in modo particolare: l’amore e la difesa della S. Messa tradizionale , la Messa nel rito romano antico, la Messa di sempre e di tutti, l’amore per il Regno dei Borbone e per gli autori anticonformisti (il Principe di Canosa, Monaldo Leopardi, De Bonald, De Maistre, Solaro della Margarita, Taparelli d’Azeglio…) e, specialmente, uno che “non cantava nel coro” ed era inviso sia al liberalismo, sia alla destra giacobina, sia alla sinistra : Giovannino Guareschi… profondamente cattolico e anticomunista di cui era noto il suo attaccamento alla Monarchia e alla Tradizione. “Un uomo fuori dal tempo e imprigionato nel XX Secolo” lo definì benevolmente qualcuno, un combattente che riuscì, durante la sua vita a mettersi contro l’arroganza del potere (e il Potere è cattivo e vendicativo): fu incarcerato dai fascisti (ma liberato, immediatamente, da Mussolini) ai tempi del giornale satirico “Il Bertoldo” e poi, durante il regime repubblicano, fu “perseguitato” dai comunisti e dai democristiani che, con la loro ideologia, come riconobbe onestamente l’Onorevole Ciriaco De Mita, trasformò milioni di buoni cattolici in “democratici”, ovvero in poveri fuchi rotti al compromesso e pronti a rinnegare ogni principio. Scrive Marcello Veneziani: “Per comporre la biografia di Guareschi bisogna riconoscere i suoi tre paradossi: dopo due anni nei campi di concentramento nazisti, passò per un fascista; dopo aver vinto la battaglia del ’48, appoggiando la DC di De Gasperi, finì in galera con la querela del medesimo De Gasperi; dopo aver umanizzato i comunisti, fondò il settimanale più efficace della lotta al Comunismo (ovvero il “Candido”, n.p.c.) e là scrisse il primo libro nero del Comunismo”.
Certo… erano altri tempi: quado ancora ci si toglieva il cappello per salutare, si rispettava il “sacro”, si dava del “lei” e non del “tu” e i “comunisti” erano sovversivi fuori, ma conservatori, al pari degli altri, in famiglia…esisteva ancora la famiglia.
Ecco, come si faceva a non rimanere affascinati da questo personaggio…credo di essere stato io ad iniettare nel sangue dei due cari amici il “virus guareschiano”… uno scrittore non vecchio ma “antico” un classico che andava fatto conoscere ai giovani e allora decidemmo di presentare Guareschi e la sua opera, a cominciare dai i due suoi personaggi immortali don Camillo e Peppone. Fu fissato il giorno (22 maggio 2002) e stilato il programma: il titolo del Convegno sarebbe stato “Il geniale Guareschi” e si sarebbe dovuto tenere presso l’Aula “Franchi” dell’Università di Camerino, presieduto da Manlio, Presidente del FUAN, con la partecipazione dei due figli dello scrittore scomparso: Carlotta (“la Pasionaria”) e Alberto (“Albertino”) Guareschi con i giornalisti Pucci Cipriani, Paolo Gulisano e Guido Biscontini, Docente di Diritto civile presso quell’Università.
Arrivai nel primo pomeriggio e, con Manlio, aspettammo a lungo Stefano – in genere puntualissimo – che arrivò con almeno due ore di ritardo (“Poi ti spiegherò” mi disse) per consegnarmi la “sorpresa promessa”, come mi aveva anticipato Manlio; i due mi accompagnarono appena fuori Camerino, in aperta campagna, presso la cappellina annessa alla villa della “Contessa”, la nonna paterna dello studente camerte.
Era davvero una giornata bellissima per cui, leopardianamente, potevo ben scrivere: “Primavera d’intorno / Brilla nell’aria e per li campi esulta, / Sì ch’ha mirarla intenerisce il core./ Odi greggi belar, muggire armenti; / Gli altri augelli contenti, a gara insieme / Per lo libero ciel fan mille giri, / Pur festeggiando il lor tempo migliore…”
E in quella primavera passammo dall’androne della villa, dove si respirava, carduccianamente, “l’aspro odor dei tini”, ovvero l’odore dell’uva e del mosto, addolcito dal profumo della “madia”, ovverosia dal profumo del grano, della farina e del pane…per passare, poi, nella sagrestia che sapeva “d’incenso e cera fina”, ovverosia di api, di miele e di fiori…già i fiori da cui era ornata la piccola chiesetta, quei fiori odorosi che un tempo si coltivavano nei nostri giardini: i bianchi gigli, le candide spagnolette, le “rose canine” dal profumo inebriante…e anche le modeste “giorgine”; mentre dal grande giardino giungeva l’acuto profumo dell’ultima fioritura dei lillà e della prima fioritura del glicine…fiori sull’altare e un gran cesto di rose ai piedi della statua della Madonna, la cara Mamma celeste… mi sembrava di esser tornato fanciullo quando, nel mese di maggio, per mano alla nonna, mi recavo nella cappellina delle “Monachine”, all’inizio dello sdrucciolo, dove, il canto dolcissimo di quelle “sante vergini”, al di là delle grate, accompagnava la celebrazione del mese di maggio…
Al nostro ingresso capisco allora quale sia la sorpresa: dato il ritardo, ci viene incontro, la signora Contessa, elegantissima, con la veletta (e vedendo quel tessuto così sottile mi par di rileggere la poesia della “Fatina” del camerte Ugo Betti ; “la veletta? La ruba a un ragno…”) e la giannetta con il manico d’argento: è insieme a Carlotta e Alberto Guareschi e, dall’emozione (quanti racconti ho letto e ho fatto leggere ai miei alunni con loro due, “la Pasionaria” e “Albertino” come protagonisti!) mi tremano già le gambe…e intorno, fanno corona ai tre, alcune anziane popolane che si rallegrano di poter finalmente assistere nuovamente al mese di maggio e a quella che loro chiamano: “la Messa…quella vera, del vecchio priore…”
Mi sembra un sogno un bel sogno di quelli mattinieri che si ha paura che svaniscano… e si cerca di “riacchiapparli”.
E vedo e stringo tante mani: da Giovanni Cimino, siciliano, che subentrerà, poi, a Manlio, nella presidenza del FUAN, ad Angelo Marras, sardo …due anni prima parlava di “Solstitio d’Inverno”, di agnelli da sgozzare, insomma di insani rituali pagani, ora è inginocchiato davanti al giovane sacerdote, in stola viola e cotta, che si confessa , e poi il napoletano Ciro Santella che mi racconta di un progetto del condominio del suo palazzo per una statua di Padre Pio da porre nell’androne, a Napoli, a Toledo…tre belle ragazze che aspettavano Manlio, non so se collaboratrici o altro, Alessandro Pertosa, anzi “Muccioli”, come lo chiamavano, in quanto ogni tanto parlava di “Comunità” e, ormai, lo chiamavo anch’io: si era laureato in farmacia a Camerino perché il padre era proprietario di farmacia nei paraggi, ma di fare il farmacista non ci pensava proprio e infatti si laureò anche in filosofia (la sua vera materia)…e iniziò a studiare specializzandosi nella bioetica, mi dedicò il suo primo libro – contro l’eutanasia “Scelgo di morire?” Edizioni Studio Domenicano –, con toccanti parole: “Un pensiero particolare va ai miei Maestri, Pucci Cipriani, vero testimone della cristianità e indomito difensore della tradizione cattolica, al quale sarò sempre grato, e Francesco Agnoli, che mi onora della sua amicizia e collaborazione. A loro dedico questo saggio”.
Ed era lì, il caro Muccioli, una persona che, della sua coerenza aveva fatto una bandiera, inginocchiato, raccolto, quasi misticamente in preghiera…l’anno dopo Alessandro sparirà, mai più ha avuto contatti con noi, mai più visto né sentito, nessuna notizia... e per me fu una immensa sconfitta… perché quando si rompe un legame così saldo la colpa è anche nostra. Quante volte mi sono domandato e mi domando cosa sia successo e ogni volta mi viene l’amaro in bocca. Sono sconfitte di cui dovremo render conto a Dio!
E poi tante altre persone: docenti e discenti dell’Università camerte,
Ma il tempo dei convenevoli sembra finito; il giovane sacerdote, don Carlo Moncalero della FSSPX, dopo aver dato l’assoluzione all’ultimo penitente ci saluta, appena con un gesto, e si avvia, a passo svelto, verso la sagrestia.
Mentre prendiamo posto un personaggio che sembra venire dall’al di là, pallido senza età (potrebbe avere vent’anni come cento) si avvia lentamente verso un vecchio harmonium ed un suono, dolce e solenne a un tempo, accompagna, prima la voce del sacerdote e dei due chierichetti, inginocchiati ai “piè del Santo Altar” , poi, tutti i fedeli cantano a “una voce” , un inno a Maria, nel suo mese di maggio, mentre si sente venir da fuori il suono argentino delle “campanine” che annunciano l’inizio dei sacri riti:

Mira il tuo popolo, o bella Signora,
che pien di giubilo oggi t’onora.
Anch’io festevole corro ai tuoi pié.
O Santa Vergine prega per me (due volte questo verso)
In questa misera valle infelice
tutti t’invocano soccorritrice.
Questo bel titolo conviene a te:
o Santa Vergine prega per me.
Il pietosissimo tuo dolce cuore,
esso è rifugio al peccatore.
Tesori e grazie racchiude in sé.
O Santa Vergine prega per me.

Finito il canto – e noto che i più, me compreso, hanno i lucciconi agli occhi – il sacerdote inizia la recita del S. Rosario di questa pia e santa pratica anche se, oggi, scrive Tito Casini:
“L’usanza è morta o langue, oggi, in molte famiglie: la corona su cui passarono e ripassarono le dita, che si trapassarono in eredità, da cui morendo implorarono soccorso per le loro anime dal purgatorio, generazioni e generazioni di antenati, – scrive ancora Casini – non pende più in molte case, dalla parete, sotto l’immagine della Vergine. (…) La corona non lega, non regge, non presidia più, oggi, la famiglia, e la famiglia è, oggi, quello che è.
E la Chiesa? La Chiesa, la grande famiglia dei credenti, è anch’essa, oggi, quello che è…”
(Cfr: Tito Casini, Il Rosario, Pucci Cipriani Editore, Firenze, maggio 1973)

E il sacerdote intona ora le litanie lauretane, cantate, e accompagnate da quell’armonio, un po’ rauco…ed ecco gli appellativi con cui la Chiesa invoca Maria: Virgo potens… Auxilium christianorum… tutto sembra ricordarci che, a Lepanto, la più celebre delle vittorie della Cristianità, che evitò che la mezzaluna dell’Islam sostituisse la Croce di Cristo, fu ottenuta grazie al S. Rosario come il Senato della Repubblica Veneta fece scrivere sotto a un affresco destinato a ricordare la gloria di quella battaglia:
“Non vires, non arma, non ducem sed Maria Rosarii fecit nos esse victores”.
Tra nuvole d’incenso canto stupendo del “Magnificat”, l’esposizione Eucaristica e la benedizione con l’Ostensorio e ancora una “strizza” al cuore quando il sacerdote intona la laude finale, la stessa che cantavo, cantavamo, alla scuola dei salesiani e in cui, noi poveri peccatori, ci mettevamo, umilmente, tra le braccia della Madonna, con il desiderio di andare un dì a vederla in cielo:
Andrò a vederla un dì in cielo patria mia, andrò a veder Maria, mia gioia e mio amor.
Al ciel! Al ciel! Al ciel! Andrò a vederla un dì. Al ciel! Al ciel! Al ciel! Andrò a vederla un dì.

E intanto il sacerdote lascia l’altare e, poco dopo, ritorna per la celebrazione della Santa Messa con una meravigliosa pianeta del Settecento, di proprietà della famiglia della Contessa… insieme ad alcune reliquie di Santi (tra cui la “Sacra pantofola” del Beato Pio IX)… reliquie che non sono state vendute ai robivecchi, dopo l’iconoclastia conciliare, dai preti progressisti insieme a reliquiari, vasi sacri, turiboli, navette, acquasantiere…
Prima dell’inizio della Messa, Manlio distribuisce il messalino dove è spiegato, perfettamente, in poche righe l’importanza del Santo Sacrificio:
“Nella Messa celebrata nel rito romano antico si fa quella stessa azione che si fece sul Calvario; se non che allora si sparse il sangue di Gesù Cristo realmente, sull’altare invece misticamente; ma nella stessa Messa ci si applicano in particolare i meriti della Passione di Gesù:
Per sentire, dunque, con gran frutto la Santa Messa, bisogna attendere ai fini per cui fu istituita, cioè: 1) Per onorare Dio 2) Per ringraziarlo 3) per soddisfare i nostri peccati 4) Per ottenere le grazie.”
Il sacerdote inizia la celebrazione, in latino, come deve essere

Introibo ad altare Dei
Ad Deum qui laetificat juventutem meam
Judica me, Deus, et descerne causam meam de gente non sancta, ab homine iniquo et doloso eure me.
……………….


E continua la celebrazione della Messa, di questa Messa, con una bellezza che, solitamente, non viene evidenziata e cioè in essa vengono abolite le categorie del tempo e dello spazio. A un tratto ci troviamo ai piedi della Croce, insieme alla Madonna, a San Giovanni e alle pie donne…altro che “memoriale della cena”… altro che “mensa”….
Eccoci alla Consacrazione e al “Memento”:
“Memento etiam, Domine, famulorum, famularumque tuarum quae nos praecesserunt cum signo fidei,et dormiunt in somno pacis.
Ipsis, Domine, et omnibus in Christo, quiescentibus, locum refrigerii, lucis et pacis, ut indulges deprecamur. .”

In quell’attimo inteso siamo trasportati, abolite le categorie del tempo e dello spazio, insieme ai nostri cari defunti che aspettano dal Signore il “luogo del refrigerio, della luce e della pace…”
Mi sembra, seppur per un attimo, di poterli riabbracciare i miei cari defunti ….
Poi la S. Comunione, inginocchiati alla balaustra…Gesù che viene dentro di noi: “Corpus Domini nostri Jesu Christi custodiat animam tuam in vitam aetrnam. Amen.”
Dopo la benedizione finale e la lettura del Vangelo di San Giovanni, la preghiera a San Michele Arcangelo perché ci liberi dalle insidie del Diavolo, quindi le “Acclamazioni carolinge”.

Christus vincit,
Christus regnat,
Christus imperat. …………
Ecclesiae Sanctae Dei gentium magistrae pax, vita et salus perpetua.
Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat.

E dopo aver ricevuto da Manlio e Stefano questa sorpresa, il regalo più bello che si possa ricevere, “lieto e superbo” come la Bettina di manzoniana memoria, dal cielo ritorno in terra e domando all’amico camerte il perché di quel suo lungo ritardo. E lui mi narra l’episodio che lo ha tenuto impegnato per oltre due ore, così sintetizzando:
“Ero in piazza e stavo venendo da voi quando il segretario dell’arcivescovo mi ferma e mi dice: “Stefano dovresti andare subito in Episcopio…il vescovo ha urgente bisogno di parlarti.
Salgo la scalinata e mi presunto al Vescovo che mi accoglie amabilmente nel suo studio privato, dopo tanti convenevoli e dopo avermi chiesto notizie di quasi tutti i miei familiari…finalmente è venuto al “dunque”.

Vescovo: – Stefano…mi hanno detto che oggi, celebrate la S. Messa presso la Cappella di famiglia…prima della conferenza all’Università.
Stefano: – Certo Eccellenza le hanno riferito bene celebriamo la Santa Messa prima del Convegno su Giovannino Guareschi all’Università.
Vescovo: – Non sono d’accordo, qui in diocesi le messe si dovrebbero celebrare non privatamente ma pubblicamente, aperte a tutti i fedeli.
Stefano : – Certamente Eccellenza, con molto piacere…spalancheremo le porte a tutti, suoneremo le “campanine”… se crede siamo disposti anche a far celebrare la Messa in duomo…se lei preferisce… Vescovo :- Mi hanno detto però che celebrerete in latino e tu, Stefano, lo sai, molti non conoscono il latino…
Stefano : – Non dubiti eccellenza abbiamo approntato dei messalini bilingue, per dare a tutti la possibilità di seguire…
Vescovo: – Beh… in latino…ma quale Messa fareste celebrare?
Stefano: – Eccellenza, ma non le hanno riferito? Quella in rito romano antico…come annunciato. Vescovo: – Allora vi concedo di celebrare in latino ma la Messa riformata, quella di Paolo VI…non posso autorizzare…

E tu, azzardo io, che cosa gli hai risposto?
“Ho fatto come mi insegnasti tu – mi dice – mi sono inginocchiato gli ho chiesto la benedizione e gli ho detto che celebreremo la Messa di San Pio V”
E lui?
Bon gré, mal gré…mi ha benedetto.”

 ***

Borgo San Lorenzo – Oggi 13 novembre 2021 alle ore 18,30 esco, con la gioia nel cuore, dalla Cappellina privata dello zio. Anche oggi, in tempi di bieca persecuzione, mi è stato regalato un “assaggio di Paradiso”: la Santa Messa solenne in rito romano antico, in suffragio dei nostri defunti, celebrata da un ancor giovane sacerdote di Camerino il M.R Prof. Don Stefano Carusi e, con me, insieme a tanti nuovi e vecchi amici, un ancor giovane giurista montecatinese L’avv. Manlio Tonfoni…
Ricordate i due Dioscuri …di vent’anni fa?
“Tradere quod et accepi”… vi tramandiamo ciò che abbiamo ricevuto.

PUCCI CIPRIANI

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