Ci sono vicende della storia o,
addirittura periodi, sui quali — a causa dell'arroganza dei vincitori, dei
totalitarismi liberale e marxista, del conformismo e della la paura di molti —
è stato steso un velo, anzi una pesante coltre. La storia dovrebbe essere una
perenne "revisione", nel senso che si dovrebbero accogliere con
piacere gli studi seri e le nuove prove dei fatti per dare un quadro completo
ed obiettivo degli avvenimenti.
Ricordate il Comunismo? Oggi sembra di
essere in un'altra era: pubblicazioni di ogni genere sui crimini comunisti —
specie dopo che il KGB aprì gli archivi dell'Unione Sovietica — a cominciare
dal "Libro nero sul Comunismo Italiano" (Mondadori 2000 — ma fu
pubblicato per la prima volta in Francia nel 1997 da Laffont) in cui autori (
Stéphan Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel
Bartosek, Jean-Louis Margolin — tutti studiosi e militanti (ex) comunisti, di
quelli "duri e puri" aggiungerei io, alcuni allievi di François Furet
— con una montagna di documenti reperiti in archivi, come abbiamo detto, fino
allora inaccessibili e con una raccolta di tantissime testimonianze svelano
quello che noi, andavamo dicendo dagli anni Cinquanta, ovvero che il Comunismo
fu più efficiente nella produzione di Gulag e cadaveri che non in quella di
grano e beni di consumo. La documentazione di cento milioni di morti nelle
"purghe" comuniste (non solo staliniane), in Cina, in URSS, a Cuba, nell'America
Latina, in Africa, in Europa...
C'è di più: il curatore del "Libro
nero sul Comunismo", lo storico (ex) comunista Stéphan Courtois va oltre e
— in questo non seguito solo da due dei coautori del libro: Nicolas Werth e
Jean-Louis Margolin — paragona il Comunismo al Nazismo sostenendo addirittura
che il Nazismo sarebbe "meno grave" in quanto ha causato "Meno
vittime".
Quei crimini denunziati ora da tutti gli
storici (a cominciare da quelli di sinistra) — difficile che qualcuno di loro
difenda ancora il Comunismo — noi li denunziammo a cominciare dagli anni
Cinquanta e ci prendevamo l'etichetta di "fascisti", faziosi,
fanatici, fuori dalla storia: eppure c'era stato un cinquantennio di
"Samizdat", di "Dissidenza"... ma i "dissidenti"
allora, per il PCI, per il PSI... ma anche per la Democrazia Cristiana, erano
sen non "fascisti", almeno "persone piene di risentimenti",
"non credibili" e fanatiche che avrebbero ostacolato quel dialogo
che, seppur attraverso fiumi carsici, c'è sempre stato tra comunisti e
pseudocristiani ovvero militanti della setta degasperiana. Perfino il Vaticano
con Paolo VI — se poi leggiamo i recenti documenti bergogliani comprendiamo che
"al peggio non c'è mai fine" — sacrificò all'Ostplolitick del
Cardinal Casaroli i "Martiri e i Confessori della Chiesa del
Silenzio", primo fra tutti il Cardinale ungherese Joseph Minszenty che,
con il suo lungo calvario, fu il vero Confessore (= testimone) della Fede in
terra ungherese, che con le sue "Memorie" (pubblicate in Italia nel 1974
dall'editore Rusconi), fece rivelazioni sconvolgenti e scottanti sulle
sopraffazioni, menzogne, atrocità del Comunismo ma soprattutto sulle ambigue
connivenze dell'Occidente.
E non possiamo dimenticare che i libri
del più grande scrittore russo, un vero profeta, colui che trascorse nel Gulag
parte della sua vita, Alexander Solgeniztin, non potevano essere pubblicate in
Italia per il veto messo dal culturalume radical-marxista e cattocomunista... perché
Solgenitzin, il non dimenticato autore della trilogia "Arcipelago
Gulag", come il Cardinal Mindzenty, era non solo fu un testimone del
terrore rosso ma era anche un cristiano fedele alla Tradizione.
Oggi chi oserebbe parlare contro questo
eccezionale personaggio, il rappresentante vero della "Santa Russia".
Se mi è permesso un episodio personale
per capire il clima d'allora e l'impossibilità di affrontare qualsiasi tema con
le sinistre e i loro reggicoda (talvolta assai peggiori delle sinistre stesse):
ero consigliere comunale (eletto come "indipendente monarchico" nelle
liste DC) a Borgo San Lorenzo e, durante una seduta del Consiglio Comunale,
quando, allora, si condannava l'attacco americano in Vietnam, io lessi alcune
pagine di un racconto di Solgenitzin: "Una giornata di Ivan
Denissovic".
Eravamo nel 1970 e il libro di Sogenitzin
era infatti formato da tre tre racconti (oltre a "Una giornata di Ivan
Denissovic", "La Casa di Matriona" e "Alla Stazione")
ed era fresco di stampa: apriti cielo e spalancati terra: la canea urlante, gli
insulti, gli spintoni e... anche gli sputi: segno di estremo disprezzo.
Ma il "revisionismo" ovvero la
storia vista in tutte le sfaccettature si è fatto avanti: perfino sulla
"Guerra Civile", sulle stragi perpretrate dai partigiani
comunisti..anche dopo la fine della guerra, si è fatto, o meglio si è
cominciata a fare, seppur faticosissimamente, luce e anche qui grazie all'opera
— più che di storici — di due giornalisti e scrittori (insomma due
"cronisti della storia") Giorgiò Pisanò (di parte fascista) autore di
quei tre volumi usciti negli Anni Sessanta e più volte ristampati: "Storia
della Guerra Civile in Italia" e, dopo, molto dopo, Gian Paolo Pansa (di
parte comunista) con alcuni romanzi o saggi storici tra cui "Il Sangue dei
vinti"... Lo stesso dicasi per le "foibe" che, nei libri di
testo delle scuole, ieri come oggi, o non sono ricordate, o altrimenti si
arriva addirittura al grottesco quando vengono definite "Grande forre
nelle quali i tedeschi gettavano i corpi dei cittadini uccisi nelle
rappresaglie". Ricordo, negli anni Settanta, don Luigi Stefani — un
sacerdote dalmata, al quale ero legato da profonda e cara amicizia — che, nel
suo studio presso la Confraternita di Misericordia di Firenze, aveva posto una
suggestiva foto di un "tramonto zaratino" e una croce con la scritta
"Parce mihi Domine quia dalmata sunt", ricordando i suoi quattro
alunni al Seminario di Zara, gettati, ancora vivi, in una foiba nudi, evirati,
con i genitali in bocca, e una corona di spine in testa.
Dopo settant’anni la RAI, sia pur nei
giorni del Festival di Sanremo, ha presentato, in prima serata, un bel film
diretto, sceneggiato, e prodotto da Maximiliano Hernando Bruno, per ricordare,
come ha sottolineato Fausto Biloslavo su "Il Giornale", una martire
della bestialità dei partigiani comunisti, juguslavi e italiani: Norma Cossetto
(e con lei tutte le migliaia e migliaia di vittime infoibate, fucilate,
annegate in quel periodo), una studentessa di 23 anni la cui unica colpa era
quella di essere la figlia del Podestà in un paese nel cuore dell'Istria.
Norma Cossetto fu stuprata
ripetutamente, torturata e, quindi, gettata ancor viva in una foiba durante la
"pulizia etnica" al seguito del vuoto di potere dell'otto settembre.
Insomma si comincia a vedere — e
lasciamo stare se son passati settant'anni — anche l'altro lato della storia
per quanto riguarda i grandi totalitarismi del XX Secolo come Comunismo e
Nazismo e Fascismo e infatti sul Fascismo venne pubblicata, già negli anni Settanta,
la monumentale opera di Renzo De Felice. Ma silenzio sulla Guerra Civile in
Italia: era troppo presto per parlarne e, infatti, c'erano ancora, da ambo le
parti, ferite aperte sulle quali, forse, non andava sparso altro sale.
Ci voleva il genio di uno scrittore come
Giovannino Guareschi per poter parlare di quei fatti sanguinosi. E Giovannino —
a cui si deve riconoscenza anche per aver grandemente contribuito alla
sconfitta del Fronte Popolare, ovvero del Comunismo, nel 1948 ( forse per
questo De Gasperi lo spedì in galera ) — che nei suoi libri ( lasciamo, ahimè,
perdere i film "addomesticati" dal regime ) che io definirei
addirittura "poetici" affronta anche il problema dei
"morti", dell'una e dell'altra parte, ovvero delle "opposte
sponde", quelli morti col fazzoletto rosso al collo o quelli con la
camicia nera, non i "buoni" o i "cattivi", ma solo giovani
che combatterono su opposte barricate e le cui intenzioni solo Dio conobbe.
"Fratelli — è Guareschi che parla
attraverso il suo "Don Camillo" — si parla tanto di dialogo fra chi
sta sulle opposte sponde. Queste anime che noi ricordiamo stanno sulla sponda
della morte e parlano a noi che stiamo sulla sponda della vita. Ascoltiamo ciò
che ci domandano e il nostro cuore troverà la giusta risposta. La terra
purifica tutto, come la morte. La terra fine di ogni cosa e fonte eterna di
vita" (Cfr: "Don Camillo e don Chichì" Ricordo di un novembre
lontano)
E, nella sua breve vita (morì a Cervia
il 22 agosto del 1968 ed era nato, sessant’anni prima, a Fontanelle di
Roccabianca PR); alla vigilia del Sessantotto e alla vigilia della sua morte,
aveva già capito tutto di quella Rivoluzione sessantottarda stupida e tremenda
a un tempo; aveva capito che c'era chi "tirava i fili" di quel
movimento per cui poteva allora ammonire i giovani (e questo ammonimento sembra
scritto anche per i giovani d'oggi), e sentite con quanta profetica
lungimiranza e lucidità:
"Protesto perché nessuno dice a
questi giovani: "Diffidate di chi vi sorride e vi da' importanza
eccezionale. Vuole rifilarvi un giornale, un libro, un disco, una rivista
pornografica, un intruglio gassato, una chitarra, un allucinogeno, una pillola
(... ) un cartello, un manganello, un mitra." Protesto perché sono stato
giovane e buggerato come saranno buggerati i giovani d'oggi... " (Cfr.
"Chi sogna nuovi gerani?" "... ai giovani")
Quale ammonimento e quale condanna ai
vecchi "Cattivi maestri"... che nel Sessantotto montarono in cattedra
e da quella cattedra non sono più scesi e pretendono di farci la morale... anche
a Destra... e chi ha orecchi da intendere intenda.
E ancora Guareschi alle ragazze,
comprendendo le conseguenze della "rivoluzione sessuale": "... come
tanti giovani è dominata dalla paura di essere considerata una ragazza onesta. E'
la nuova ipocrisia: un tempo i disonesti tentavano disperatamente di essere
considerati onesti: Oggi gli onesti tentano disperatamente di essere
considerati disonesti." (La Voce del Cristo in "Don Camillo e don
Chichì" "E' di moda il ruggito della pecora")
Dunque, a poco a poco, dopo diecine e
diecine di anni, si sta alzando la pesante coltre che ricopriva alcune vicende
storiche e si possono — solo ora si badi bene — criticare ideologie come il
Comunismo, addirittura, fare la comparazione con il Nazismo.
Si ricorda, ogni anno, — ed è giusto che
sia così — il "genocidio" del popolo ebraico" quella che gli
ebrei chiamano la "Shoah" — e anche qui c'è un bel libro: "Il
Diario di Anna Frank" che ben, nel racconto adolescenziale di due giovani
braccati dalla Gestapo, si riassume la tragedia di questo popolo, i campi di
concentramento, le deportazioni, la morte.
Provate però a domandare se, nella
storia, vi sia stato qualche altro genocidio tipo la Vandea: sicuramente vi
risponderanno (parlo di molti docenti di scuola di ogni ordine e grado... ma
anche di storici) che sì, in Vandea, ci fu "qualche morto" in quanto
si cercò di reprimere una rivolta di un popolo riottoso (quello vandeano)... .ma
non pragonabile allo sterminio del popolo ebraico... come numeri... ma scherziamo?
Così ha risposto una professoressa di lettere alla domanda di un suo alunno
liceale che domandava "lumi" sulla Vandea.
I libri di testo delle scuole fanno
ancora prima: o ignorano il "genocidio vandeano" e i crimini della
Rivoluzione o se la cavano con una mezza dozzina di righe: "Ci furono
tumulti e ribellioni nella Regione della Vandea e in altre zone della Francia
ma, presto, furono domati".
La Rivoluzione francese che fu
essenzialmente anticristiana (divenne antimonarchica solo dopo il rifiuto di
Luigi XVI di procedere nelle misure antireligiose. Come non ricordare le stragi
sistematiche attraverso la ghigliottina e l'annegamento di diverse migliaia di
cristiani, di preti, di monache. E come non ricordare i massacri di settembre
commessi — e lo testimoniano addirittura i testi rivoluzionari dell'epoca — in
nome di ideali pseudo spartani di eliminazione degli emarginati e dei più
deboli (= analogamente aveva fatto il Nazismo quando si levò alta e stentore la
voce del Cardinale Clemens August Von Galen, il "Leone di Munster",
che il Reich voleva impiccare per dare un esempio). E bisogna ricordare anche i
massacri commessi ovunque, specialmente nel Lionese e nel Mezzogiorno, la
deportazione delle popolazioni di diversi villaggi Baschi e e soprattutto l'immenso
genocidio della Vandea e delle province dell'Ovest. Un genocidio che fu
freddamente e razionalmente deciso dalla Convenzione e che la sua esecuzione fu
eseguita giorno per giorno, donne e bambini, da 300.000 a 400.000, e che fu
accompagnato da terribili novità come la creazione di fonderie di grasso umano
e della concia della pelle della stessa origine.
In questo genocidio premeditato come
dimenticare altri orrori come le diecine di villaggi bruciati dalle truppe
infernali del Generale Tureau, i fedeli bruciati vivi nelle chiese che venivano
incendiate perché "rifugio dei ribelli" e gli annegamenti sui barconi
a Nantes perpetrati nei vari mesi dal diabolico Carrier.
Del resto questa Rivoluzione
sanguinaria, questo genocidio orrendo, sono stati esaltati da tutti
più grandi dittatori totalitari e
massacratori della storia: Lenin, Trotski, Hitler, Stalin, Mao, senza
dimenticare il cambogiano Pol Pot che rivelò alla Sorbona la sua ammirazione
per Robespierre, di cui fun un grande e coerente ammiratore.
La Storia ha taciuto e tace tuttavia su
questo immondo genocidio. Oggi la Rivoluzione con i suoi principi non può
essere messa in discussione da nessuno: perfino una certa destra dice o diceva:
"Siamo anche noi figli della Rivoluzione francese" Ebbi, proprio per
questa affermazione, uno "scontro" per questo con il pur bravissimo
Piero Buscaroli (si firmava Piero Santerno su "Il Giornale" di
Montanelli).
Il poco che sappiamo sui crimini della
Rivoluzione francese e sul terrore lo dobbiamo a qualche raro scrittore e ad
una letteratura popolare, con in prima fila, Honoré de Balzac (1799-1850) il
quale in alcuni suoi romanzi della Commedia Umana", su un veritiero sfondo
storico, vi innesta una storia di fantasia come negli "Gli Sciuani",
ovvero gli "uccelli della notte", i combattenti della Vandea e della
Bretagna fedeli alla Monarchia e alla Religione ( XII Volume della Commedia
umana) in cui racconta una storia d'amore tra due personaggi: l'aristocratica
Maria de Vermeil e lo chouan monarchico Alphonse de Montauran, E poi "Un
tenebroso affare", episodi e racconti, certo romanzati, ma che ricordano
fatti realmente accaduti, romanzi in cui si rileva l'ammirazione dell'autore
per il "genio" Napoleone ma anche l'obiettività della narrazione.
Da non dimenticare, poi, J:Barbey
d'Aurevilly con "La Stregata", e "Il Cavaliere des
Touches".
Perfino Hugo, uno degli scrittori
simbolo della Rivoluzione e del "laicismo", in un suo romanzo,
"Novantatré", descrive i crimini giacobini del "Genocidio
vandeano".
Da non dimenticare "L'Ultima al
Patibolo" della tedesca Gertrud Von Le Fort - ripresa poi dallo scrittore
francese George Bernanos per una "riduzione teatrale" — nella quale
l'autrice, pur mettendoci alcuni elementi fantastici, racconta la storia
autentica del Martirio delle sedici carmelitane di Compiègne, ghigliottinate il
17 luglio 1794 a Parigi.
Ma, forse, ciascuno di noi, si ricorderà
di quand'era ragazzo e si appassionava alle storie della "Primula
Rossa"... era un personaggio immaginario frutto della fantasia di una fertile
scrittrice ungherese: la Baronessa ORCZY (1865-1947) che esordi nel 1905 e
pubblicò una serie di romanzi, appunto, ispirati alla "Primula
Rossa", un imprevedibile personaggio, che, nei giorni del Terrore, insieme
ad un gruppo di coraggiosi, si prodiga per far fuggire Oltre Manica gli
aristocratici, altrimenti destinati alla ghigliottina.
I suoi libri ebbero immensa fortuna e
furono pubblicati in Italia da Salani: "La Primula Rossa", "La
Banda delle Primula Rossa", Il voto di sangue", "Il figlio della
Rivoluzione" etc. e de "La Primula rossa" si ebbe anche la
versione cinematografica.
Per quanto riguarda la Storia vorrei
ricordare quello che non esito a definire il dramma di Reynald Secher: negli
anni Ottanta, giovane ricercatore all'Università della Sorbona — discepolo del
Professor Pierre Chaunu, protestante, Membro dell'Institute de France — dopo
una ricerca sulla Vandea pubblica un libro, con una documentazione incalzante:
"Il genocidio vandeano" con la prefazione di Jean Meyer e la
presentazione dello stesso Pierre Chaunu.
Al giovane e promettente ricercatore —
dopo quella pubblicazione — fu preclusa ogni via accademica... solo un piccolo
editore in Francia ne tirò alcune copie... anche in Italia fu pubblicato dalle
edizioni Effedieffe. L'Autore attualmente fa l'editore pubblicando, a sue
spese, libri come il suo... . ovvero una sorta di "controstoria"...
Per quanto riguarda la Rivoluzione
italiana ovvero il così detto Risorgimento, parlarne male significa finire nel
"ghetto degli intoccabili"... e noi ci siam finiti con estremo
piacere. Da noi, fin dalle scuole elementari, abbiamo sentito una continua
esaltazione dell'invasione armata del Regno delle Due Sicilie, e abbiamo letto
libri pseudo storici e un sottobosco di produzione letteraria (mi riferisco ad
esempio agli scritti sconclusionati e grotteschi del nizzardo Giuseppe
Garibaldi, improvvisatosi "letterato" o a quelli demenziali di
Giovanni La Cecilia) portando sugli altari e celebrando le gesta dell'esercito
piemontese: villaggi incendiati dalle orde "garibaldesche" e dai
"prodi bersaglieri" del generale Alfonso Lamarmora, fucilazioni di
massa per "briganti" o sospettati tali (chi non ricorda la Legge
Peruzzi - Pica).
Denunziò tutto questo lo storico
"controrivoluzionario" Giacinto De Sivo, di Maddaloni, che parlò
anche dei tradimenti dei generali borbonici "compri dall'oro inglese e
massonico", nel suo celeberrimo "Viaggio da Boccadifalco a
Gaeta", un libro finalmente ristampato negli anni Ottanta, e a cui —
sfidando il conformismo radicalcomunista — pose la prefazione Leonardo
Sciascia, un grande scrittore non certo "reazionario". Ma il vero
cantore del regno Duosiciliano è Carlo Alianello (1901-1981) con i suoi
capolavori "Soldati del Re", "L'Alfiere", "La
Conquista del Sud", "L'Eredità della Priora" e
"L'Inghippo"... Alianello che Fausto Gianfranceschi definisce uno
scrittore "cattolico" — e definirsi cattolico oggi appare difficile
quando i cattolici fedeli alla tradizione sono perseguitati, oltre che dalla
così detta società civile, persino dai vertici "peronisti" vaticani —
per il quale "il principio di selezione etica trascende il calcolo del
successo storico: gli uomini debbono svolgere il ruolo assegnato ad essi dal
destino anche se è contro la StorIa, perché giudice è Dio non la Storia".
Alianello dunque Scrive e scrive dalla parte dei vinti e sarà un personaggio
del suo romanzo, forse il più bello, "L'Alfiere", un ufficiale, il
Tenente Franco, morente sugli spalti di Gaeta a lasciare quel testamento di
fedeltà e onore del popolo "napolitano".
"Altri combattono e muoiono per una
conquista, una terra, un'idea di gloria, per un convincimento magari o un
ideale: ma noi moriamo per una cosa di cuore: la bellezza. Qui non c'è vanità,
non c'è successo non c'è ambizione. Noi moriamo per essere uomini ancora.
Uomini che la violenza e l'illusione non li piega e che servono la fedeltà,
l'onore, la bandiera e la Monarchia perché son padroni di se' e servitori di
Dio. Ieri forse poteva sembrare più nobile, più alta la parte di là, ma oggi
con noi c'è la sventura, e questa è la parte più bella. Perché sopra di noi ci
possiamo scrivere senza speranza... " (Cfr. Carlo Alianello:
"L'Alfiere" )
C'è un giornalista però a Napoli che
racconta le vicende della sua città... seguitissimo, ed è Ferdinando Russo
criticato da Benedetto Croce ma "amato" dal Carducci che lo volle
incontrare, sempre in polemica con Salvatore di Giacomo che, però, in morte,
scrisse su di lui versi bellissimi. Fu poeta il Russo e non cantò una Napoli
oleografica, da cartolina, ma una "Napoli lunare", una Napoli dove le
ore della notte sono scandite dalle gesta della povera gente. Fu anche il poeta
dei vinti... per cui dopo aver diretto per vent'anni una rubrica letteraria sul
"Mattino" fu licenziato: poeta reazionario, borbonico, sanfedista... aveva
scocciato abbastanza.
Di lui vanno ricordati due
"poemetti": 'O Luciano d' 'o Ree e 'O Surdate 'Gaeta 'O Surdate 'Gaeta
ove un ex combattente, racconta gli episodi di eroismo nella difesa della
Roccaforte di Gaeta, ricorda anche l'eroismo di re Francesco e piange sulla sua
sorte, infatti, dopo aver combattuto per la sua Patria e per il suo Re, il
nuovo regime gli ha tolto, con le tasse e i balzelli, ogni suo avere e, per
lui, finita la vita lieta del Regno, non resta che il rimpianto e il dolore
all'Ospizio dei Poveri.
Analogamente 'O Luciano d' 'o Ree che ha
combattuto sulle navi della flotta borbonica in difesa della Patria Napolitana:
ora trova la sua bella Napoli cambiata e distrutta ed è sottomesso a un tiranno
che non conosce e che, sembra, lo abbia preso di mira con le sue leggi
liberticide, quando invece:
'O Re me canusceva e me sapeva!
Cchiù de na vota, (coppola e denocchie!)
m'ha fatto capì chello che vuleva!
E me saglieno 'e llacreme
ant'all'uocchie!
'A mano ncopp' 'a spalla me metteva:
"Tu nun si' pennarulo e nun
t'arruocchie!
Va ccà! Va llà! Fa chesto! Arape 'a
mano!"
E parlava accusì: napulitano!
Alla fine termina amaramente 'O Luciano,
il povero marinaio di Santa Lucia, su un letto all'Ospizio dei poveri:
Ca stammo tuttequante int' 'o spitale!
Tenimmo tutte ' a stessa malatia!
Simmo rummase tutte mmiezo 'e scale,
fora 'a lucanna d' 'a Pezzenteria!
Che me vuò dì? Ca simme libberale?
E addò l'appuoie, sta sbafanteria?
Quanno figlieto chiagne e vo' magnà,
ceca int' 'a sacca... e dalle a libertà!
Nostalgie... soltanto nostalgie... la
Nuova Italia, liberale, liberista, laica, laicista, quella della "Libera
chiesa in libero Stato", aveva già ormai consolidato il suo potere, e così
come, poi, i fascisti formeranno i "Balilla" con il libro di stato e
i comunisti formeranno "I Pionieri"; la Nuova Italia affiderà
l'educazione della gioventù a uno scrittore, tra l'altro autore di una serie di
piacevoli "Bozzetti di Vita Militare", che le persone della mia età
conosceranno certo a menadito: Edmondo de Amicis con il suo libro
"Cuore".
Dietro i buoni sentimenti, voi vedrete
una classe torinese, dell'Italia unita, decritta nel Diario annuale di un
alunno (Enrico Bottini); vedrete i bambini, i maestri, i genitori che non
rammenteranno mai il nome di Dio, festeggeranno le imprese militari o gli
eventi civili, ma non festeggeranno il Natale o la Pasqua ; non vedrete un
simbolo religioso in classe o un famiglia.
perfino la carità è ridotta a
filantropismo... è l'uomo nuovo" che va formato nell scuola pubblica — la
scuola del plagio di adesso e quella dei "Todos caballeros" del
Sessantotto e di don Milani è figlia di "Cuore" — Insomma il titolo
cuore non è messo solo per indicare i buoni sentimenti il sentimentalismo
sdolcinato ottocentesco ma è messo scientemente il "Cuore" laico, in
contrapposizione al Dogma del Cuore
Carneo, alla devozione delle famiglie italiane che ancora resiste.
Nell'Ottocento non c'era famiglia che non avesse in casa il simbolo del Sacro
Cuore.
Ma veniamo al nostro "Maestro
Domenico", veniamo al Granducato di Toscana, al nostro Granducato.
L'Italia era fatta e guai a parlare degli Stati preunitari, dei sovrani, dei Re
legittimi e, soprattutto "Del si stava meglio quando si stava peggio"
Figuriamoci con la "cacciata del
Granduca e l'avvento dei piemontesi il Giusti ( sia chiaro, non è Dante) che
pur bolla in una sua poesia Leopoldo II, il sovrano buono e paterno, come un re
"Travicello"... ovvero, inetto, "minchione"... i
"Girella" che pur il Giusti condanna in una sua poesia salteranno
subito sul carro del vincitore.
Ma c'è un "poeta", un poeta di
strada a Firenze, Mario Palazzi un pover'uomo ma con le idee chiare che, di
fronte, ai tanti Girella, di fronte a questo nuovo regime totalitario che sta
distruggendo tutta la storia antica e la tradizione della Toscana verga i suoi
versi — per campare li vende ai passanti — che di fronte al nuove può ben dire,
anzi scrivere in versi:
A noi par d'essere civilizzati / ma
peggio d'ora / non siam mai stati...
E poi, in un dialogo tra padre e figlio:
Figlio: Dimmi papà, / ov'è il Granduca /
sta rinserrato / dentro una buca? Padre Pur troppo è morto / Roma l'accoglie / esule
andò / da queste soglie / quando qui stava / Ernesto mio / c'era in Palazzo / l'angiol
di Dio / coi cari figli / la sua consorte / di Santi e Angeli formò la corte / Nè
pel colera / né per la piena / ai cari sudditi voltò la schiena / e mai si
videro / entro il suo regno /
farsi pei poveri / case di legno / trattare
i popoli / con le prigioni / se in cuor racchiudono / altre opinioni / dare ai
ragazzi / tante licenze / di fare ad altri / le impertinenze / Figlio Che
Italia è bella / forte Nazione / Lo dicon sempre / molte persone. Padre Per chi
ha rubato / le altrui sostanze / son tempi rosei per le finanze / se tenta il
popolo dir sue ragioni / vi è Bersaglieri /
Linea e Cannoni / così ragione han
sempre loro / Ecco la bella età dell'oro.
Se cercassi l'applauso dovrei — come
avevo programmato — terminare citando la "chiusa" di un bell'articolo
dell'amico Enrico Nistri che pubblicai su "Controrivoluzione" nel
1994 (e mi sembra ieri): "Quando scoppiarono i moti rivoluzionari che
avrebbero trasformato Firenze da capitale di uno Stato a semplice prefettura
del regno d'Italia, Leopoldo II avrebbe avuto facilmente ragione dei
dimostranti se solo avesse voluto fare ricorso alla forza delle armi e in
particolare ai cannoni ben piazzati a Forte Belvedere. Ma il suo amore per la
pace, il suo affetto per i sudditi, la sua convinzione che il buon senso
avrebbe finito comunque per prevalere lo indussero ad abbandonare senza
spargimento di sangue la città e il granducato su cui aveva regnato da sovrano
onesto, scrupoloso e paterno. I fatti com' è noto smentirono le sue speranze.
Ma Leopoldo continua ugualmente ad essere ricordato con simpatia, affetto e una
punta di rimpianto da tutti i fiorentini e i toscani di retto sentire."
E questa sarebbe stata una bella "chiusa"
ma viene da domandarsi: Se quei cannoni ben piazzati a Forte Belvedere avessero
sparato sulla canaglia, la Dinastia dei Lorena regnerebbe ancora e, forse, a
noi ci sarebbero stati risparmiati gli odierni di governanti, senza onore e
senza cervello, che ci hanno portato a questa Europa che ricalca,
peggiorandolo, lo stampo della vecchia Unione Sovietica.
Pucci
Cipriani
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