martedì 26 febbraio 2019

Maestro Domenico nella sua paradisiaca Toscana

Sabato 2 marzo 2019, a Borgo San Lorenzo, alle ore 17:00, presso la Saletta Comunale "Pio La Torre" - Via Giotto (davanti alla Misericordia) - verrà presentato il libro di Narciso Feliciano Pelosini (1823-1896) "Maestro Domenico" (Edizioni Solfanelli). Dopo i saluti di Jacopo Alberti, Consigliere Regionale e Portavoce dell'Opposizione alla Regione Toscana, Matteo Gozzi Consigliere Comunale di Borgo San Lorenzo e di Daniel Vata, studente interverranno il pubblicista Alessandro Scipioni, il Giurista Ascanio Ruschi, Condirettore di "Soldati del Re" e il giornalista e scrittore Pucci Cipriani.



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Per chi abbia avuto la fortuna di trascorrere parte della propria vita con i nonni (io sono stato fortunatissimo, infatti, fino ad oltre vent'anni ho conosciuto due nonne (una ha vissuto sempre nella mia famiglia) e un'amabilissima e saggia bisnonna ("Nonna Maria") non può non ricordare i tanti "Amarcord", i racconti di "quando s'era giovani", i "l'andava meglio allora con la fame che oggi con l'abbondanza", insomma oggi si perde tempo con l'anagrafe i nomi e cognomi e non ci si capisce più nulla, ma un tempo, diceva sempre la nonna, bastava un "soprannome" e avevi davanti agli occhi non solo il personaggio, ma tutta la sua " genia": Micione, Cavapelle, Culo, la Dina di Culo, Piolo, Piolino, Porventa, Sughero, i' Cinci, Meline, Chiappone, Rieccolo, i' Mela  ...e poi tante altre pillole di saggezza antica: ad esempio, a differenza delle "mammine" d'oggi , le nonne mi insegnavano a non aver paura della morte ("è solo un passaggio e, poi, il Cielo...") e ricordo che la nonna paterna mi portò una volta nella cappellina delle Monache, quella all'inizio dello "sdrucciolo", dove giaceva - vestita con l'abito bianco da sposa, una suora che, mi disse la nonna, "era una cara amica e, fin da piccola, era la più buona...stava sempre in preghiera e allegra, a un tempo...finché non "prese il velo" e si chiuse in convento facendo suo sposo, per amore, Gesù... al secolo si chiamava Teresa, Suor Angela dopo i voti..."


Borgo S. Lorenzo - Ingresso del paese - 1900

Ecco, io allora avevo cinque anni, e con quella visita, di fronte al volto cereo di Suor Angela, imparai tante cose : prima di tutto ad "esorcizzare la morte" accettandola come naturale conclusione della vita terrena e inizio di quella celeste, e che, nella vita, oltre al matrimonio , sia negli uomini che nelle donne, c'è anche un altro "stato", quello "clericale", ovvero la "vocazione" che altro non è che una "chiamata" e imparai anche - come mi disse la nonna - che se in una famiglia c'è una chiamata, una "vocazione", un sacerdote o una suora, vuol dire che il Signore ha mandato la più grande delle benedizioni...


Borgo S. Lorenzo - Via G. Della Casa - 1900

E poi le "veglie"... sì le veglie quando era la mamma che ci leggeva le "Novelle della Nonna" di Emma Perodi… mentre la "Nonna Assunta" ci raccontava — e nonostante quei racconti di "disgrazie" e di miserie — per noi (e anche per lei) quel mondo restava sempre mitico e allora ci citava una famosa canzone "Tutti mi dicon Maremma, Maremma/ ed a me pare una maremma amara..." e ci raccontava di quando, ai suoi tempi ( "quando ci si accontentava di un tozzo di pane")  i giovani erano costretti a migrare in Maremma e ci descriveva, colorandole con la sua fantasia, quelle terre - per lei comunque "mitiche" - rese famose dalle terzine del Purgatorio di Dante allorché narra le nozze infelici tra la senese Pia, della famiglia dei Tolomei, con Nello Pannocchieschi:

"Deh quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato della lunga via"
seguitò il terzo spirito al secondo,

"Ricordati di me che son la Pia,
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellato pria

sposandomi m'avea con la sua gemma"
(Pur. vv. 130 - 136)

Ma di una cosa potevi star tranquillo che a "quei tempi" il mondo andava meglio e malvolentieri tutte le nonne e in particolare le mie nonne - tutte e tre - accettavano le novità a cominciare dalle medicine: "Un si sa icché ci mettan dentro... quante diavolerie..." per finire al gelato: "Un tu vorrai mica paragonare le porcherie d'oggi con il gelato di Ciaccheri..."

Borgo S. Lorenzo - Pieve - 1900

Il borghigiano Mons. Carlo Celso Calzolai ha lasciato, nell'introduzione a uno dei suoi tanti capolavori  "Borgo San Lorenzo nel Mugello" (Ed. LEF 1974), un quadro mirabile, allorché ci fa, con quel suo bello stile, pulito e toscano, un la descrizione (siamo nel 1974) del suo e nostro paese che mi par di ascoltare la mia nonna ("Annunziata Berretti") che abitava proprio in "Via del Pero" nel centro palpitante del nostro paese:
"Anche se nuove costruzioni hanno dilatato il paese (...) l'aspetto è sempre quello: col Castelvecchio, col Pozzino, con S.Lucia e Malacoda.
In questo istante sembra di risentire la voce della Moggina  che annunzia le pere cotte e quelle del Ciaccheri e di Ciabarrino che fanno reclame ai loro gelati gustosi.
In pieve suonano ad agonia (anche se — dico io — ora, in nome dell'aggiornamento conciliare, non suonano più neanche a morto n.p.c.): tutto il paese si fa serio, le donne lasciano i loro lavori, gli uomini si strisciano le mani al grembiule e si affrettano alla chiesa: sta morendo un borghigiano, uno di casa.
Per la festa del Crocifisso  sono venuti anche dall'estero. Per un anno intero hanno sognato questo giorno, ansiosi di sedersi a tavola con tutti i parenti, per bere un buon bicchiere e inzuppare nel vinsanto il ciambellone, uscito fumante dal forno del Viliani."

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Quando lessi le prime righe del libro di Narciso Feliciano Pelosini "Maestro Domenico" mi baluginarono subito alla mente questi ricordi...e non solo mi piacque ma rivissi, o almeno mi parve di rivivere, in quelle pagine, anche la mia vita, insieme con i nonni...

Già, il Pelosini (1823-1896) nacque a Fornacette, frazione di Calcinaia di Pisa, e morì a Pistoia nel 1896, a settantrè anni, è un brillante avvocato (fu anche avvocato di Puccini), Docente di Diritto Penale all'Università di Firenze, Accademico della Crusca; di idee "risorgimentalista" ma conservatore , fu deputato dal 1882 al 1890, poi Senatore del Regno d'Italia ma fortemente critico non dell'Unità di Italia, ma di come quest'unità era stata concepita e portata a termine; rimpianse dunque il buon tempo antico dell'età "leopoldina"  e utilizzò la letteratura popolare proprio per rappresentare in termini semplici le "disgrazie" arrivate con i "tempi nuovi".
"Maestro Domenico", che il Pelosini pubblicò a sue spese, è una fiaba, una bella fiaba, ma non per i ragazzi ma per gli "adulti". Il protagonista del libro ci viene così presentato nell'Incipit del libro  "Maestro Domenico era una gran pasta di campagnuolo senza grilli, né frasche: con poche idee ma precise: buon cristiano e galantuomo di stampa antica. Sapeva a mente la Gerusalemme Liberata del Tasso con aggiunte del Signor Cammillo Cammilli; narrava con garbo le Novelle morali del padre Francesco Soave, e non avrebbe mai immaginato  che fra i perditempo di questo mondo ci fosse quello della politica. Da giovane imparò un mestiere, e, quel che più conta, lo imparò bene : e quando si accorse che lo sapeva a dovere, ne studiò altri due; cosicché da uomo fatto si trovava alle mani nulla meno che tre mestieri, da quali cavava dei belli e buoni francesconi che metteva in serbo per la vecchiaia"
Un bel giorno Maestro Domenico si incammina per la montagna e, dopo aver mangiato pane e cacio, si addormenta ai piedi una grossa quercia  e dorme "magicamente" per almeno un decennio addormentatosi prima del 1859 si sveglia nel 1870...immaginiamoci si svegliasse ora, nell'era di Internet, un nostro avo...
Al suo risveglio Maestro Domenico: "(vede che) la sua paradisiaca Toscana — si legge nell'introduzione al libro pubblicato dall'Editore Solfanelli — è diventata una provincia del Grande Piemonte, che si fa chiamare Regno d'Italia e per lui, onesto falegname, nonché, dato che sa leggere e scrivere , insegnante privato e all'occorrenza scrivano, inizia l'inferno (...) Il nostro Autore, con pochi tratti, mette bene in evidenza il contrasto tra la semplicità dell'antico costume e il consumismo dell'era unitaria, riuscendo a far intendere ai propri lettori il senso della caduta da un magnifico passato fatto di pratiche religiose, sano lavoro e culto della famiglia ad un presente che consiste in un caos organizzato, frutto di una rivoluzione (...) così il racconto diventa messaggio e denunzia(..) Pelosini mette in guardia dai mali presenti (Allora? ma non li ritroviamo ancor oggi?) che identifica nell'oppressione del potere , nella stoltezza della burocrazia, nella superficialità della stampa (...) nella volgarità dei costumi, nella diffamazione della religione."
Già, cose d' ieri e cose di oggi... proprio come dicevano i nostri nonni.
Ma ora metto la parola FINIS a questo mio scritto, altrimenti sciuperei la sorpresa, a voi, potenziali lettori di questa bellissima "favola"  nostalgica e amara... e tante volte penso che bello sarebbe anche per me addormentarmi sotto una grande quercia per risvegliarmi dopo tanto tempo, ma, a differenza di quel che accadde a Maestro Domenico, in tempi migliori...

Pucci Cipriani

NEL CIELO DEI PADRI: L'EROICA DIFESA DELLA "FEDELISSIMA" CIVITELLA DEL TRONTO (Racconto di GIROLAMO TAGLIAPIETRA)


La tiepida brezza del vespro entrava dalla quadra finestrella della cella, dolce, portando con sé lievi profumi della incipiente primavera del 1861.
Girolamo, lì rinchiuso, dimenticato da quasi tre mesi con l'imputazione di spionaggio aveva mutato il suo risentimento, in rabbia, per questa assurda storia, in una indifferenza verso il futuro come se avesse compreso d'essere una foglia impotente, fatta cadere dal vento proprio là, ma in procinto di ripartire per chissà quale altro volo che, purtroppo, non poteva dirigere.
Effettivamente solo 10 mesi prima non avrebbe potuto ipotizzare di trovarsi lì nella fortezza di Civitella. Solo, chiuso in cella, aveva avuto il tempo di pensare alla sua vita passata. Aveva quasi trent'anni, ma aveva avuto modo di venire in contatto con uno svariato numero di persone di ogni estrazione sociale, aveva attraversato nuovi territori e stati che non esistevano più, dissolti e ricostruiti in altre forme, in uno dei periodi storici più turbolenti derivati dalla Rivoluzione francese.
Giovanni, suo padre, ed il nonno e il bisnonno e per chi sa quanto tempo indietro, erano nati nell'isola di Burano, fiore dell'arcipelago Veneziano. Suo padre, sua madre ed i fratelli erano stati fuggiaschi a Ravenna (era ancora sicuro, pensava suo padre, lo Stato della Chiesa) per non morire, con tutta la famiglia, da anonimo suddito del giacobino di turno, prestanome di un demone rivoluzionario che danzava sulla testa di un popolo che ricordava con rimpianto di aver avuto ordine e benessere. Lì, a Ravenna, dopo qualche anno nacque lui, ultimo rampollo di quattro figli di un padre quarantacinquenne e contemporaneamente vedovo perché la madre perché la madre morì per le complicazioni del parto. I racconti del genitore, bevuti come un naufrago assetato, si erano stampati nel suo animo e, come un emigrante si sente legato alle proprie origini più di qualsiasi altra persona vissuta in un paese, così lui, seppur nato fuori dall'ormai inesistente Repubblica di Venezia, si sentiva figlio della sua terra e quasi di essa ambasciatore.
A quel tempo la Rivoluzione aveva già sparso copioso il suo seme che purtroppo attecchì anche nelle Legazioni Pontificie della Romagna. La sua famiglia malvista in quanto fuggiasca da un territorio "redento dai lumi della rivoluzione", lumi che evidentemente non gradiva e che aveva preferito il buio di una tranquillità nell'ordine, ritenne giustamente, prima di essere in lista di proscrizione, riprendere il mare seppure con il padre gravemente malato, per giungere nel regno del Re Borbone.
Il mare era la via più sicura in quei tempi di rivolgimento sociale, anche se tuttavia più lunga e più soggetta agli eventi atmosferici.
Sulle coste del Tronto una violenta tempesta danneggiò gravemente il battello dalmata che, insieme a varie merci, trasportava la sua famiglia e altre 12 persone verso il porto di Bari. Se il danno al battello è riparabile seppur con una perdita di circa una settimana, il fisico già minato del padre non resse oltre le fatiche del viaggio e si spense tra le braccia dei figli, guardando a Nord, verso Venezia, ringraziando Dio di averli vicino ed esortandoli ad avere sempre fiducia e speranza nel loro Creatore. I figli scossi, ma sereni avendo visto come era morto il loro padre, quasi fortificati da una forza d'animo e dall'amore per le sue radici, quasi fortificati dalla sua forza d'animo e dall'amore per le sue radici, decisero di dividersi momentaneamente e mentre i due maggiori avrebbero ripreso la via del dividersi momentaneamente e mentre i due maggiori avrebbero ripreso la via del mare su di un battello che di lì a qualche ora sarebbe partito per Chioggia per riportare la salma del genitore a Burano, i due più giovani avrebbero atteso lì il suo ritorno. Fu lì che suo fratello, dopo qualche giorno, si ammalò, probabilmente di vaiolo, e venne curato presso le suore della Misericordia che in un'ala del loro convento avevano un piccolo ospedale. le suore gli indicarono che, presso un frate del convento di Campli, era possibile avere un farmaco miracoloso per tale malattia. Girolamo, mosso da spirito d'avventura e dall'entusiasmo tipico dei giovani volle aggregarsi ad una carovana di mercanti che si sarebbe diretta verso l'interno e passava per Campli, dove, nel convento del Duomo, fra' Lodovico, noto erborista e taumaturgo, era dispensatore del farmaco miracoloso per quella malattia. Il momento storico era il peggiore mai visto da sempre. Coloro che cercavano e difendevano delle certezze consolidate da generazioni di buon governo erano perseguiti come "ribelli" alla nuova "luce" sparsa dai giacobini che illudevano gli animi con nuove e vuote parole. Parole affascinanti come solo può fare il più grande seduttore del genere umano, parole che riempivano la bocca, ma non il cuore. San Benedetto era in mano alla casta giacobina locale, serva dei piemontesi che rapacemente ghermivano ogni impeto di reazione dall'alto del loro falso zelo di fratellanza redentrice per quel povero popolo vessato da una Monarchia "non illuminata e tirannica". La tortuosa strada postale che risaliva con lieve pendio verso l'interno della valle del fiume Tronto diventava erta da S. Egidio alla Vibrata e, tra le guardinghe pattuglie piemontesi e gruppi di contadini in fuga, all'orizzonte apparve, come una sentinella stesa, sopra un picco roccioso, una formidabile fortezza. I piemontesi timorosi di affrontare dei gruppi organizzati senza prima spiare la loro esatta consistenza lasciarono libera la strada alla carovana, mantenendo comunque un controllo visivo del gruppo.
Girolamo non aveva mai visto una cosa simile, così affascinante, e staccatosi dalla carovana che era accampata a circa 5 Km. sulle rive del fiume Salinello si avventurò sin quasi sotto le mura della fortezza stessa. Era inconsapevolmente passato tra le fila dei piemontesi che non sapeva stessero tenendo d'assedio la città.
Venne visto e catturato dalle milizie borboniche sotto le mura di quella incredibile fortezza che voleva ammirare da vicino, forse troppo vicino, in quel periodo di guerra, al punto che le milizie borboniche in ricognizione ai piedi del colle lo scambiarono per una spia dei piemontesi e per ordine dell'ufficiale di giornata venne affidato al carcere. A nulla valsero le sue rimostranze, il suo accento era del Nord e lì nessuno lo conosceva e poteva garantire per lui. Ecco come era finito lì, chi poteva immaginare un simile epilogo? Ora i suoi giorni scorrevano lenti, tra il poco rancio e gli appelli delle guardie e, ogni tre giorni, le visite del cappellano padre Leonardo Zilli.
Aveva modo di vivere in prima persona e di vedere come si muoveva il "mondo" della città e della fortezza e della sensazione di apatia e di scoramento che si stava impadronendo di lui, come, per altro, di tutta la città. In quel mese aveva imparato ad apprezzare quelle piccole sensazioni, mai valutate prima, che derivavano da una vita in quella situazione e a comprendere quella gente che seppur fosse ai suoi occhi straniera sentiva spiritualmente affine.Anche loro, come lui, erano fedeli a una bandiera e a un onore che non poteva essere barattato con nessuno nuova effimera illusione. Si stava rendendo conto che lui era stato fatto arrivare lì perché Dio voleva renderlo partecipe di un momento storico da lui voluto per dargli la possibilità e l'onore di renderGli gloria.
L'assedio rendeva grandi tutte le più umili necessità della giornata perché ogni giorno di più si affievoliva la speranza. E' la speranza nel proprio io che rende non umano l'uomo, lo snatura, lo distacca dal filo che lo guida sin dalla sua idea di embrione. Ecco, lì, l'uomo si stava svuotando di speranza in se stesso e si stava riempiendo di serena consapevolezza del senso della vita che è il ben morire cioè il morire per una causa "giusta", per qualcosa che ancora avesse senso agli albori di un tempo che imponeva con la forza ciò che la gente non chiedeva e rigettava.
Nei primi giorni di marzo di quel 1861, il paese e la fortezza, segnata dall'assedio per altro ben sopportato, erano passati dal comando del colonnello Ascione, che aveva perso le motivazioni per perseverare nella resistenza, a quello, a quello dell'ex tenente, ed ora comandante, Angelo Messinelli, amato dalla truppa e dal maggior numero di popolo per il suo coraggio e la purezza del suo ideale amore per l'ordine monarchico, condiviso dal popolo stesso. Il colonnello Ascione meditava in cuor suo una resa per aver salva la vita e per continuare a fare il suo lavoro magari anche con i piemontesi poi....e questa resa, che comprendeva la capitolazione di Civitella, venne palesemente scoperta.
I soldati tentarono di ucciderlo e solo i sottufficiali lo salvarono, destituendolo e tenendolo prigioniero nella sua casa. Tutto ciò Girolamo sentì dalle guardie e apprezzò il senso dell'onore di quegli uomini.
Di persone come il colonnello Ascione ne aveva conosciute poche, grazie a Dio, ma in cuor suo sentiva come quella razza di traditori, che detestava, era in aumento ed era apprezzata dagli invasori piemontesi. Dio aveva permesso quei frangenti per mostrare nel mezzo delle piazze ciò che si celava nel segreto dei cuori. Chi si accontenta di qualcosa di materiale, di visibile, grado, potere, ricchezze, cerca con ogni mezzo di mantenere il bene, anche a costo di tradimenti e indifferenza verso chi, invece, ha qualcosa di più grande, di invisibile, ma in verità più nobile dei loro beni, limitati, deperibili e per ciò più invidiabili ma, per loro, irraggiungibili.
Era arrivato il tempo per rendere pubblico ciò che si era veramente agli occhi di Dio.
Nella città di Civitella pochi erano ricchi di beni materiali e moltissimi ricchi di beni invisibili, per questo erano arrivati fino a quel modello di resistenza.
Fuori dalla cortina delle mura, nelle contrade sparse i così detti "briganti",, onesti ed analfabeti contadini, ricchi di coraggio e altruismo, merce rara per i piemontesi, cercavano con i mezzi che avevano, bastoni, forche, qualche fucile, cercavano di tenere lontani dalle loro borgate e dalle strade secondarie i piemontesi che davano prova gratuita di ruberie e stupide violenze. Nulla è più stupido di voler imporre con la violenza il declamare slogan e idee non venute dal cuore, il voler far gridare alle masse "Viva Vittorio Emanuele", "Morte al re Borbone", "Morte al Papa Re",ma era quello che i Savoia erano e volevano essere, contrariamente a chi in quella terra aveva conosciuto un solo re in terra e un solo Re in cielo.
Nelle sue regolari visite fra' Leonardo aveva parlato con lui e aveva apprezzato il fatto che era subito aperto all'uomo di Dio, che rispettava, ma non ancora vedeva in lui uno strumento dello Spirito Santo. Andando con i suoi ricordi rammentava di aver sentito nominare da suo padre Fra' Giobbe da San Francesco alla Vigna, convento francescano di Venezia. Egli andava a predicare il Quaresimale a Burano e Torcello. Il frate viveva con i pescatori, qualche volta li accompagnava a pesca e al vespero nella chiesa del luogo, teneva il fervore e poi celebrava la S, Messa.
L'aveva descritto bene, suo padre, da uomo robusto era diventato una figura esile a seguito delle penitenze ma dava tutti una forza d'animo veramente sovrumana, Dio stesso, parlava con la sua voce alle loro anime e queste lo riconoscevano come il loro Pastore. Rincuorava, pregava, ammoniva e con mano misericordiosa perdonava le loro debolezze mostrandosi tuttavia più soggetto di loro a quelle stesse debolezze. Parecchi di quegli uomini non temevano la battaglia e non temevano di perdere la vita contro i turchi ma anelavano a guadagnarsi la visione di Dio.
Gli venne alla memoria che, dopo una battaglia navale con i Turchi, dopo la sua S. Messa nella chiesetta del porto di Perasto, il Capitano Generale da Mar, Comandante della flotta Veneziana, si era rivolto ai suoi marinai dicendo : "Chi di voi è pauroso o ha altre cose nel cuore vada, non è qui il suo posto, a chi resta non prometto salva la vita, ma salvo sarà il suo onore e grande la misericordia di Dio onnipotente sulle sue colpe" e nessuno dei centocinquanta uomini scelse di non imbarcarsi. Ricordando le parole e i racconti di suo padre la notte passò e venne l'alba del mattino. Quella mattina era la vigilia della festa di San Giuseppe, appena svegliatasi dal torpore Girolamo chiamò a se' l'Ufficiale di giornata che quel giorno comandava anche il corpo di guardia e chiese un colloquio con il comandante della Fortezza Messinelli.
Dopo un'ora era nella stanza del Comandante, le guardie attendevano fuori, il quadro del Re campeggiava sotto la bandiera appesa alla parete, il Comandante lo accolse con affabilità.
Il Comandante aveva avuto modo di parlare più volte di lui nei due mesi precedenti con fra' Leonardo e illuminato dalle parole del religioso si era convinto che non fosse una spia, ma non sapeva cosa fare di lui e non se la sentiva di mandarlo via. Il Messinelli, profondamente religioso. aveva chiesto all'uomo di Dio di pregare, affinché si manifestasse la volontà di Dio su quel prigioniero.
Perché Iddio glielo aveva mandato? La richiesta di colloquio del prigioniero era la prova che il comandante aspettava e Girolamo in cuor suo si sentì di chiedere di essere parte della guarnigione della Fortezza per combattere con le sue milizie contro la Rivoluzione e per la gloria di Dio. Era Girolamo stesso a chiedergli ciò. La guarnigione era purtroppo a corto di uomini e una persona in più era sempre gradita, il Comandante fece presente che la situazione era quasi disperata e che se fosse rimasto avrebbe avuto poche possibilità di uscirne vivo ma in cuor suo ormai sapeva che Girolamo non si sarebbe tirato indietro. Non si sbagliava. Girolamo riconobbe in quel mondo la continuità con il mondo dei suoi padri, il mondo che aveva lasciato là nel Golfo di Venezia, in quella splendida e gloriosa Repubblica di cui si sentiva l'ultimo ambasciatore in terra borbonica. Anche i suoi padri avevano dato testimonianza del loro onore e della loro fede contro i Turchi.
Rivide in fra' Leonardo lo spirito e l'esempio di fra' Giobbe, il Comandante Messinelli era come il Capitano General da Mar, Bortoli Priuli, i soldati borbonici come le milizie venete di terra, i popolani e i contadini che passavano nelle strade sottostanti non avevano un senso dell'onore ed una fede diversa dai pescatori e degli abitanti della Repubblica Veneta. Quando il Comandante lo affidò alle dipendenze del sergente Cascione, Girolamo si sentì quasi sollevato da un fardello interiore chein quel tempo di cella aveva accumulato.
Egli si sentiva quasi riconosciuto come rappresentante, l'ultimo rappresentante di un mondo che già a Nord era scomparso e che di lì a poco sarebbe scomparso con Civitella stessa, indipendentemente dall'esito di quell'assedio e di quell'ultima battaglia. La sua prima mattina nell'azzurrina divisa borbonica passò sugli spalti della fortezza che dovevano essere mantenuti integri e atti a resistere al connoneggiamento piemontese, scatenato come rabbiosa rappresaglia per la mancata resa della città nonostante degli infiltrati piemontesi spargessero a piene mani le notizie di scioglimento della stato maggiore borbonico.
Il giorno di San Giuseppe le focose parole che fra' Leonardo pronunziò nell'omelia della S. Messa e poi nella visita alla fortezza rincuorarono gli animi e tennero alto il morale a soldati e popolo. Anche Girolamo si rincuorò e si affidò completamente a Dio, volle diventare indifferente alla sua sorte, che vivesse o che morisse voleva essere testimone in terra della Fede che univa l'Orbe cattolico, che univa i diversi popoli che erano sparsi nella penisola italica nei mari solcati dalle galee venete e lì avrebbe avuto modo di essere messo alla prova.
Purtroppo quella giornata non fu solo importante per lui, ma per un altro e fatale accordo e, a differenza del suo, un patto scellerato come lo sono tutti i tradimenti, si stava compiendo.
I pochi infiltrati della setta giacobina avevano sparso a piene mani le assicurazioni che i piemontesi avrebbero usato magnanimità con la popolazione e i soldati se si fossero arresi e tali argomenti ronzavano nella testa di persone fisicamente provate da tanto tempo e questo sporco lavoro dava i suoi frutti. Quei pochi infiltrati e un manipolo di disonorati aveva nottetempo minato i portoni di Porta Napoli e si era portato alla dimora dell'ex Comandante, il Colonnello Ascione, per liberarlo e costituire una frangia interna filopiemontese che con la scusante di liberare la popolazione da quell'ormai inutile resistenza consegnasse la città ai Savoia e alla libertà rivoluzionaria.
Al segnale convenuto diedero seguito alle loro nefande intenzioni e, divelti i portoni, permisero ad un'avanguardia di piemontesi, precedentemente contattati, di prendere possesso della porta e di penetrare nelle case attigue costituendo così una testa di ponte che divenne l'appoggio per il prosieguo della battaglia.
L'alba del 20 marzo 1861 sarebbe stata l'ultima per Civitella borbonica e l'inizio della Civitella "liberata".
Il Comandante Messinelli fece dislocare delle truppe nelle strade attorno a Porta Napoli e parecchi padri di famiglia si unirono a loro per difendere i propri parenti sparando dalle finestre delle loro case. I piemontesi richiamati in forze attraverso gli spazi conquistati attorno a Porta Napoli penetrarono casa per casa, con l'aiuto di infami traditori riuscirono ad impossessarsi di armi nascoste nelle case i cui abitanti vennero uccisi a sangue freddo. Girolamo venne destinato con la truppa al comando del sergente Cascione a difesa della porta carraia della fortezza mentre nelle case a ridosso della strada che conduceva alla porta stessa due donne che avevano visto morire i loro mariti qualche minuto prima presero le armi per sostituirsi a loro e difendere i figli.
Si sentirono urla e spari, si sparse nell'aria un acre odore di fumo, il pianto dei bambini.
I piemontesi puntarono dei cannoni verso la porta carraia e fecero fuoco, dopo alcune scariche di fucileria caricarono.
Intorno a Girolamo ci furono dei vuoti, dei soldati caddero colpiti a morte ed egli sentì chiaramente il lamento del sergente Cascione affievolirsi sempre più fino a scomparire avvolto dalla morte, ma non aveva tempo di vedere dove era caduto perché, richiamato dalla voce del Messinelli dovette risalire gli spalti immediatamente sopra la porta ormai divelta. Il gruppo di militi di cui faceva parte fu accerchiato ed altri piemontesi passarono oltre sin sulla sommità della fortezza dove si trovava il comando. Senza più munizioni, il sergente, Girolamo e gli altri otto militi superstiti si arresero.Dopo poco vennero portati sugli spalti della rocca dove trovarono degli altri sopravvissuti che si erano arresi assieme al comandante Messinelli.
Tra loro risaltava la figura di Fra' Leonardo. Si improvvisò un tribunale presieduto dal Comandante piemontese, che con malcelata rabbia e falso dispiacere li accusò di aver cagionato perdite all'esercito piemontese "liberatore" con una resistenza pertinace ed inutile unitamente all'aggravante di aver rifiutato ed addirittura aver combattuto con le armi i valori di libertà, fratellanza e progresso che loro stessi portavano e di difendere l'ignoranza e la superstizione religiosa.
Tali reati che fomentavano anche la resistenza di un popolo da troppo tempo tenuto nelle tenebre e nelle catene della Monarchia meritavano la morte; e così venne di lì a pochi minuti sentenziato dall'improvvisato tribunale con pena immediatamente eseguibile. Girolamo e gli altri espressero la volontà di confessarsi prima ma il comandante piemontese negò questa dilazione a quella esemplare esecuzione e divise i condannati in due gruppi, uno in alto e uno in basso.
Fra' Leonardo dando le spalle al plotone di esecuzione chiese al Comandante Messinelli ed ai soldati di recitare tutti insieme il Confiteor con il Crocifisso tenuto a due mani e a loro rivolto recitò, benedicendo, la formula dell'assoluzione: "Indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis omnipotens et misericors Dominum". Pochi di quei 32 uomini riuscirono a terminare la risposta "Amen!".
Una scarica di fucileria li falciò. Girolamo non morì subito ma nel minuto che ancora Dio gli lasciò, con il comandante Messinelli alla sinistra e Fra' Leonardo a pochi metri, sentì una grande, serena pace con una gioia interiore che gli faceva pregustare l'essere di lì a poco alla vista beatifica di Dio, d'essere suo coerede, assieme al mondo da cui veniva e che nessun "Progresso" poteva portargli via, che avrebbe goduto per sempre, un mondo fatto di Fedeltà ed onore, assieme ai suoi avi, a fra' Leonardo, a fra' Giobbe, al Comandante Angelo Messinelli, a Bartolo Priuli, assieme ai suoi compagni d'armi borbonici, a tutti i soldati veneti morti nella storia, assieme agli abitanti di Civitella e ai pescatori veneti della sua laguna.
Con lui tutto il suo passato e il presente veniva assunto nella Gloria di Dio. Con il suo esempio personale e quello delle persone che Iddio gli aveva messo intorno in quel preciso momento della Storia aveva unito in un unico sacrificio l'ordine del mondo cattolico, l'aveva offerto a Dio stesso e alla Storia:
La tiepida brezza vespertina del 20 marzo 1861 scorreva quasi accarezzando quei corpi insepolti e riportava gioiosamente con sé trentadue anime, al cospetto dell'Eterno, nel cielo dei padri.

Girolamo Tagliapietra


Racconto inedito di Girolamo Tagliapietra vincitore di una Borsa di Studio al Concorso Letterario "Terra d'Abruzzo 2004" con la Giuria composta dall'On. Fabrizio Di Stefano (Presidente), Massimo de Leonardis (Ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore), Roberto de Mattei (Docente Universitario - Presidente della Fondazione "Lepanto"), Pucci Cipriani (giornalista e scrittore), Enrico Nistri (storico, giornalista).

domenica 17 febbraio 2019

PRESENTAZIONE A BORGO SAN LORENZO DI "MAESTRO DOMENICO"

Visto l'indottrinamento - un vero e proprio lavaggio del cervello - fatto in Toscana agli studenti nelle scuole superiori (ma anche in quelle medie ed elementari) dai soliti mestatori nostalgici della Rivoluzione Sessantottarda, abituati a comandare tirannicamente grazie all'acquiescenza democristiana e liberalmassonica e allo strapotere rosso, la "Comunione Tradizionale", in accordo con il Consigliere Regionale della Lega e Portavoce dell'Opposizione Jacopo Alberti, ha deciso di fare una serie di conferenze e incontri sulla cultura toscana autentica scevra da ideologismi e "parole d'ordine" pappagallesche come "Dio non si vede" ... "l'aborto non è un delitto ma un fatto religioso che non riguarda la nostra coscienza laica" ... "tutte le religioni sono l'oppio dei popoli" ... "liberatevi dalle pastoie della Chiesa" ...  e altri slogan che danno la misura dei loro cervellini...

Annunziamo questa prima importantissima manifestazione che si terrà a Borgo San Lorenzo sabato 2 marzo 2019, alle ore 17:00, presso la Saletta Comunale Pio La Torre — Via Giotto di Borgo San Lorenzo (FI) - con ingresso libero - dove verrà presentato il libro di NARCISO FELICIANO PELOSINI: "MAESTRO DOMENICO" (Edizioni Solfanelli). 



Dopo i saluti di JACOPO ALBERTI, Consigliere Regionale della Lega, Portavoce dell'Opposizione in regione Toscana; MATTEO GOZZI, Consigliere Comunale di Borgo San Lorenzo; DANIEL VATA, Studente

INTERVERRANNO
ALESSANDRO SCIPIONI - Pubblicista
ASCANIO RUSCHI - Giurista- Condirettore di www.soldatidelre.it
PUCCI CIPRIANI,- Giornalista- Direttore di "Controrivoluzione" (www.controrivoluzione.it)

LA CITTADINANZA E' INVITATA



Narciso Feliciano Pelosini scrittore toscano tra ascia libri e chiesa

Il 9 giugno 1833 nacque a Fornacette di Pisa, Narciso Feliciano Pelosini.
Di lui ho letto solo le 88 pagine del suo “Maestro Domenico” ma sono state sufficienti per farmelo entrare nel cuore oltre che nella mente.
Di professione fece l’avvocato (anche di Giacomo Puccini) e il docente nella Scuola di Scienze sociali di Firenze. Per passione fu anche un politico, senatore della Destra nel 1896.
Ma la cosa per la quale va ricordato di più – almeno per me – è questa bellissima favola toscana del “Maestro Domenico, una buona pasta di campagnuolo senza grilli, né frasche; con poche idee ma precise: buon cristiano e galantuomo di stampa antica. Sapeva a mente la “Gerusalemme Liberata” del Tasso con le aggiunte del signor Cammillo Cammilli; narrava con garbo le “Novelle morali” del padre Francesco Soave, e non avrebbe mai immaginato che fra i perditempo di questo mondo ci fosse quello della politica. Da giovane imparò un mestiere, e, quel che più conta, lo imparò bene: e quando si accorse che lo sapeva a dovere, ne studiò altri due; cosicché da uom fatto si trovava alle mani nullameno che tre mestieri, dai quali cavava dei belli e buoni francesconi che metteva in serbo per la vecchiaia”.
Questo l’incipit del libro, un capolavoro della Reazione, almeno in letteratura.
Alla trama accenno appena per non togliere il gusto di leggere il libro: Maestro Domenico passava i suoi giorni nella tranquillità e nella sicurezza della bella Toscana granducale d’antan, “fra l’ascia, i libri, la chiesa e i centi delle lire”.
Il fedele suddito di Sua Altezza Imperiale il Granduca di Toscana se ne stava in Arcadia beato ma …. un giorno, dopo una camminata nell’ordinato paesaggio toscano e dopo una bevuta di vino e “una buona pipata di tabacco, le palpebre gli cascarono del bello sugli occhi, e placidamente si addormentò” sotto un albero.
Fu un sonno lungo, lunghissimo, sotto un pino. Tanto lungo che Maestro Domenico si svegliò….. 19 anni dopo, nel 1864 nel Regno unitario italiano, esatto opposto della sua incantata e ordinata Toscana granducale. Sconvolgente!
Il resto della novella… scopritelo da soli. Il libro lo pubblicò a sue spese Narciso Feliciano Pelosini nel 1871. Lo ristampò nel 1982 la Sellerio, che Dio e il nostro Granduca toscano gliene rendano perennemente merito.


Fonte: BARBADILLO - Amerino Griffini

martedì 12 febbraio 2019

L'APOSTASIA NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ. XXXII Convegno della Tradizione Cattolica


Anche quest'anno, si svolgerà l'Incontro (il XXXII) della Tradizione Cattolica presso la "Fedelissima" Civitella del Tronto nella seconda settimana di marzo (venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 marzo 2019) e che avrà per titolo "L'APOSTASIA NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ".

APPUNTAMENTI

Venerdì 8 marzo (Hotel Fortezza)

Ore 18:30 – S. Messa in rito romano antico “ad memoriam” del Conte Neri Capponi

Ore 21:30 – “Via Crucis” con fiaccole per le vie di Civitella del Tronto

Ore 22:30 – Benedizione nella piazza di Civitella.


Sabato 9 marzo (Hotel Fortezza)

Ore 9:00 – S .Messa in rito romano antico

Ore 10:00 – inizio dei lavori con il canto del “Salve Regina”

Ore 13:00 – fine dei lavori Ore 13,30 pranzo

Ore 15:30 - inizio dei lavori

Ore 20:00 - termine dei lavori con il canto del “Credo”


Domenica 10 marzo (Hotel Fortezza – Rocca della “Fedelissima”)

Ore 10:00 – S. Messa solenne in rito romano antico “ad memoriam” dei Martiri della Tradizione

Ore 11:00 - Partenza della processione verso la Rocca con recita del S. Rosario. Nella Piazzaforte della “Fedelissima” Civitella del Tronto Alzabandiera con il canto del “Christus vincit” – Ricordo dei Caduti della Tradizione (Massimo de Leonardis) –  Saluto alla voce ( Pucci Cipriani) – Presso la chiesa di S. Jacopo alla Rocca Benedizione del Sacello contenente le spoglie dei caduti nella difesa di Civitella.

Ore 12:00 – Visita alla Rocca e al Museo di Civitella del Tronto.

Ore 13:00 – Riunione conviviale presso Hotel “Fortezza” e Arrivederci al 2020!


PROGRAMMA DI SABATO 9 MARZO

MATTINO ore 10:00 – 13:00
(INIZIO CON IL CANTO DEL SALVE REGINA)

Pucci Cipriani, Direttore di "Controrivoluzione": Apertura del Convegno de XXXII Convegno - Commemorazione del Conte Neri Capponi

On. Fabrizio Di Stefano: Saluto ai partecipanti al XXXII Convegno della Tradizione cattolica

M.R. Don Mauro Tranquillo FSSPX: Prolusione al Convegno

Massimo de Leonardis, Ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali - Università Cattolica di Milano: "Il Pontificato di Francesco: continuità o svolta nel processo di Rivoluzione nella Chiesa?"

Ascanio Ruschi, Giurista, Condirettore di "Soldati del Re": Presentazione della IX Edizione della Marcia per la Vita che si terrà a Roma sabato 18 maggio 2019.

Marco Solfanelli, Editore: Le novità editoriali del 2018-2019

Roberto de Mattei, Docente Universitario, Presidente della Fondazione Lepanto: "Augusto Del Noce e la Controrivoluzione nel trentennale della scomparsa"

Cristina Siccardi, Scrittrice: "Il Neopaganesimo e la profanazione delle Chiese : il precipizio delle liturgie e delle arti moderniste"


POMERIGGIO 15:30 – 20:00
(AL TERMINE CANTO DEL CREDO)

Guido Vignelli, Giornalista, Storico: "La Rivoluzione pastorale del post Concilio"

Cristiano Lugli, Pubblicista: “L'apostasia nel fine vita

Massimo Viglione, Docente, Storico: "1919 -2019: la tragedia italiana"

Andrea Sandri, Docente Universitario: "L'Apostasia nel pensiero medievale da Adsone a san Tommaso"

Patrizia Fermani, Docente emerito Diritto Penale dell'Università di Padova: "La sostituzione del popolo serve al genocidio culturale"

Alessandro Elia, saggista: "La secolarizzazione secondo Gustave Thibon"

Carlo Manetti, Docente Università private: "L'irrazionalismo modernista: l'apostasia come ricerca della ragione"

Lorenzo Gasperini, Pubblicista, Redattore di "Controrivoluzione": "Diritti moderni veleno della società e della politica"

Al momento non è pervenuta la relazione del prof. Regazzoni



AVREMO L'ONORE DI AVERE TRA NOI PER I TRE GIORNI IL MAESTRO GIOVANNI GASPARRO CHE ESPORRÀ TRE SUE OPERE

martedì 5 febbraio 2019

NEL NOME DELLA TRADIZIONE E DELLA "CONTRORIVOLUZIONE"


Venerdì 8, Sabato 9 e Domenica 10 Marzo 2019
si terrà l'annuale incontro della Tradizione Cattolica
della "Fedelissima" Civitella del Tronto sul tema
"L'apostasia nella Chiesa e nella Società"


"Militi dell'Armata di Gaeta... Il tradimento interno, l'attacco delle bande rivoluzionarie di stranieri, l'aggressione di una Potenza, che si diceva amica, niente ha potuto domare la vostra bravura, stancare la vostra costanza. In mezzo alle sofferenze di ogni genere, traversando i campi di battaglia, affrontando il tradimento, più terribile che il ferro ed il piombo, siete venuti a Capua e a Gaeta, seguendo il vostro eroismo sulle rive del Volturno, sulle sponde del Garigliano, sfidando per tre mesi in mezzo a queste mura gli sforzi d'un nemico che possedeva di tutte le risorse d'Italia.
Grazie a voi è salvo l'onore dell'Armata delle Due Sicilie; grazie a voi può alzar la testa con orgoglio il vostro Sovrano... che aspetterà la giustizia del Cielo, (e) la memoria dell'eroica lealtà dei suoi Soldati, sarà la più dolce consolazione delle sue sventure".
È il 14 febbraio del 1861 quando i soldati ascoltarono l'Ordine del giorno di Sua Maestà il Re Francesco II (Dio guardi!) alla guarnigione di Gaeta dove i combattenti "napolitani" hanno scritto le pagine più belle di un'epopea gloriosa; le pagine più belle perché scritte con il sangue, in mezzo alle bombarde, ai cannoneggiamenti, al colera e, soprattutto, ai tradimenti dei generali compri dall'oro massonico, mentre i Sovrani di Napoli, Re Francesco e la Regina Sofia, con i Principi del Sangue, difendevano sugli spalti di Gaeta la Cittadella e il loro Regno.
Tante sono state le battaglie combattute, contro un esercito invasore e orde di anarchici e avventurieri rivoluzionari prezzolati, per difendere l'ultimo baluardo della Monarchia cattolica; ma dopo l'epica Resistenza di quella Piazzaforte il Sovrano Napolitano sottoscrive la capitolazione, per evitare ulteriori spargimenti di sangue tra la sua gente: vengono mandati ambasciatori anche a Civitella del Tronto perché i difensori della "Fedelissima" Fortezza si arrendano, dopo che la gloriosa bandiera gigliata è stata ammainata a Gaeta.
Ma i soldati e il popolo civitellese si rifiutano di arrendersi all'esercito dell'invasore piemontese; un pugno di militari, rinchiusi nella roccaforte abruzzese, "spes contra spem", vogliono combattere "per essere uomini ancora, uomini che la violenza e l'illusione non li piega e che servono la fedeltà, l'onore la bandiera e la Monarchia, perché son padroni di sé e servitori di Dio".
La guarnigione della "Fedelissima" resisterà fino alle ore 11 del 20 marzo; solo il tradimento — i Giuda, ieri come oggi, sono sempre esistiti — permise all'esercito della Rivoluzione di occupare la Piazzaforte: i comandanti, insieme all'intrepido cappellano, il francescano padre Leonardo Zilli da Campotosto, verranno fucilati, senza processo sulla piazza di Civitella... i soldati saranno fatti partire per essere rinchiusi nei "Lager dei Savoia".
E allora Civitella del Tronto negli anni bui della contestazione sessantottarda e della Rivoluzione conciliare ("Il Concilio Vaticano II è stato il nostro Sessantotto" affermò il rosso Card. Suenens) assurse a simbolo della Controrivoluzione, che non è una Rivoluzione di segno contrario ma il contrario della Rivoluzione (de Maistre) e un gruppo di giovani, con a capo Paolo Caucci, si ritrovava lì, ogni anno, per ricordare quell'eroica Resistenza e, nello stesso momento, per giurare di fronte al sacello di quei prodi che la nostra sarebbe stata una testimonianza di Fede "usque ad effusionem sanguinis".
Io ricordo cinquant'anni di viaggi a Civitella del Tronto, il luogo dove non si cercava un'idea di gloria, ma si prendeva forza per il "buon combattimento", onorando la Bandiera gigliata, sotto alla quale combatterono i prodi difensori del Regno e, difendendola, poterono gridare, in faccia al feroce invasore, il "Non mi arrendo!"...
E Civitella del Tronto fu ancor più simbolo della Resistenza durante gli "Anni di Piombo", i sanguinosi "Anni di Piombo", quando anche la "nostra parte" poté scrivere il suo "Martirologio". Demmo la nostra testimonianza tenace, da poveri peccatori, con tutte le nostre pecche, le nostre mancanze, ma avemmo, e abbiamo ancora, la forza, di resistere e di far garrire le nostre Bandiere e di gettare al vento le nostre canzoni.
Io vi ricordo tutti, amici miei, vi porto tutti nel cuore; ho presente negli occhi i vostri volti, ricordo le vostre voci che recitavano le preghiere nella Chiesa di San Jacopo alla Rocca... e, a sera, le mie preghiere, le nostre preghiere, vanno a coloro — come meravigliosamente ha ricordato il nostro caro amico Fabrizio Di Stefano — che ora sono in Cielo, nel Cielo degli eroi; vi porto nel cuore, cari amici, "vecchi e i giovani", e vi ringrazio per questa testimonianza ; viviamo insieme insieme il ricordo di quei soldati che morirono sotto il piombo giacobino al grido di "Viva 'O Re", di quei combattenti e di quella popolazione vandeana sterminata dal terrore rivoluzionario; restano nei nostri cuori, a eterno monito, i 200 milioni di morti, vittime del Comunismo assassino, i nostri martiri delle Insorgenze antigiacobine, i carlisti caduti sul Campo dell'Onore per riportare Dio alla Spagna, i combattenti della "Cristiada" messicana contro il Governo massonico di Calles che s’immolarono trafitti dalle baionette gridando "Viva Cristo Rej"...
Onore ai testimoni della Tradizione. Infamia ai traditori... come a quello ultimo che, come Giuda, dopo avermi dato il "bacio dell'amicizia", mi propose la resa incondizionata, il rinnegamento di cinquant'anni di battaglie, molte delle quali perse, ma sempre con onore! Che Iddio lo perdoni ma non ce lo faccia più incontrare!
E ricordiamo il nostro eroico Cappellano, don Giorgio Maffei, che sulla scia del francescano p. Leonardo Zilli da Campotosto, fucilato dai piemontesi invasori, animò la Resistenza di Civitella. Don Giorgio scelse la Tradizione ed è stato con noi per trent'anni donandoci la Messa nel rito romano antico, la Messa cattolica, la Messa di sempre e di tutti, confessando e comunicando, centinaia di persone che, a Civitella del Tronto, allora come oggi, si riconciliano con il Signore.
Onore a don Giorgio Maffei che, prima di andarsene santamente, ha lasciato il testimone nelle amni di don Mauro Tranquillo che ci assicura i Sacramenti della Chiesa di sempre.
Anche quest'anno sfilerà per le strade di Civitella la Via Crucis del venerdì; anche quest'anno da tutta Italia, i più bei nomi della Tradizione terranno le loro conferenze, anche quest'anno saliremo alla Rocca dove il giovane civitellese Daniele D'Emidio, innalzerà, al canto del "Christus vincit", sul pennone della "Fedelissima", il vessillo Borbonico.
Ancor oggi, in questa tragica apostasia generale della Chiesa e della società, noi siamo chiamati a dare la nostra testimonianza... chi sa se il Signora mi darà (ci darà) ancora tempo per la "buona battaglia"... ma noi continuiamo il "bonum certamen" .
"... noi restiamo sulla spianata..."Cui bono" — mi vien da dire parafrasando il nostro caro Tito Casini — con quale speranza, ci chiediamo, dal momento che l'"ordine"... è di cedere e i capi ne danno, "tutti", l'esempio?"
Con nessuna speranza se confideremo nell'uomo, con la certezza della vittoria finale se confideremo nel Signore e nella Vergine Santissima, la Madre della "Controrivoluzione".
Vi aspetto dunque tutti a Civitella del Tronto per poter afferrare nel nostro pugno chiuso, come diceva Paul Claudel, un po' di cielo... dove lasciando agli altri il tempo noi potremo guardare all'eternità.

Pucci Cipriani




Fabio Coppola, Ivan Cerlino, Pucci Cipriani, Giovanni Gasparro,
Lorenzo Gasperini e Alessandro Rabellino
Intorno all'opera del Maestro Giovanni Gasparro

lunedì 4 febbraio 2019

Le cartoline del convegno di Civitella 2019, dalle opera del M. Giovanni Gasparro



Giovanni Gasparro: San Pio X Pontefice Massimo
Olio su tela, 90x70 cm, 2015. Bassano del Grappa (VI)
Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini



Giovanni Gasparro: Beato Pio IX Pontefice Massimo
Olio su tela, 90x70 cm, 2015. Bassano del Grappa (VI). Collezione privata
Image copyright © Archivio dell'Arte e Luciano Pedicini



Giovanni Gasparro: San Pio V Pontefice Massimo
Olio su tela, 90x70 cm, 2015. Bari, Collezione privata
Image copyright © Archivio dell'Arte e Luciano Pedicini