Nessun
uomo è un'isola
completo
in se stesso;
ogni
uomo è un pezzo del continente,
una
parte del tutto.
Se
anche solo una nuvola
venisse
lavata via dal mare,
l'Europa
ne sarebbe diminuita,
come
se le mancasse un promontorio,
come
se venisse a mancare
una
dimora di amici tuoi,
o
la tua stessa casa.
La
morte di un qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché
io sono parte dell'umanità.
E
dunque non chiedere mai
per
chi suona la campana:
essa
suona per te.
(John
Donne, Meditazione XVII "Nessun uomo è un'isola")
Il verso "per chi suona la
campana" della bellissima poesia di John Donne (1572 -1631), che è lo
specchio - come nota Cristina Campo - di un'epoca della storia inglese, quando
l'essere cattolici venne interdetto durante il regno di Elisabetta I, fu scelto
da Ernst Hemingway come titolo e "chiusa" del suo capolavoro:
"Per chi suona la campana", appunto, un romanzo che si svolge durante
la Guerra Civile spagnola e ha per protagonista Robert Jordan (in molti hanno
visto in questo personaggio lo stesso autore che sposò, nella Guerra fratricida
che va dal 1936 al 1939, la parte "repubblicana e antifranchista"),
combattente al fianco dei miliziani, il suo amore per la giovane rivoluzionaria
Maria e la sua azione bellica, a fianco dei "ribelli" comandati da
"Pablo" e dalla zingara Pilar, sulle colline iberiche.
Quanto importante sia per la comunità
civile - e non solo per i cattolici - il suono delle campane ce lo dice la
Storia. Forse pochi sanno, ad esempio, che la Campana di Mezzogiorno, quella
che nel nostro Mugello chiamano ( o forse "chiamavano") "la
Campana della Pastasciutta", suona, in realtà, per ricordare la vittoria
della Flotta Cristiana -.comandata dal fratello bastardo di Filippo Il,
l'eroico don Giovanni d'Austria (1629 - 1679) - nelle acque di Lepanto (7
ottobre 1971): "ultimo capitolo dell'antico scontro tra Oriente e
Occidente (che) acquista oggi un significato particolare, in quanto la vittoria
della Lega Santa divenne la pietra miliare sulla quale si autolegittimerà
l'egemonia occidentale e di cui si nutrirà la volontà di riscatto del mondo
islamico nei secoli a venire" come scrive lo storico Niccolò Capponi, nel
più bel libro (immensa documentazione d'archivio vista anche dalla parte dei
"turchi") mai scritto su questa battaglia (cfr. Niccolò Capponi:
"Lepanto 1571: la Lega Santa contro l'Impero Ottomano" - Il
Saggiatore -)
E proprio Niccolò Capponi, a proposito
di "campane", mi poté dare, anni fa, queste simpatiche note a
proposito del suo avo Pier Capponi: quando, di fronte all'arroganza di Carlo
VIII che minacciò di invadere Firenze al grido di "Noi suoneremo le nostre
trombe", rispose impavidamente "E noi suoneremo le nostre
campane"...mettendo così le ali ai piedi al presuntuoso Re francese, per
cui, ironizzando sulla fiera risposta del Capponi, Machiavelli chiosò: "Lo
strepito dell'armi e de' cavalli / non poté far che non fosse sentita / la voce
d'un Capponi tra tanti galli / tanto che il Re superbo fé partita" e anche
Giuseppe Giusti volle dir la sua. "Fra gli altri dilettanti oltremontani /
per infilarmi un certo re di picche / ci si messe co' piedi e colle mani / ma
poi rimase lì come Berlicche / quando un Cappon, geloso del pollaio /gli
minacciò di fare il campanaio".
E il suono delle campane iniziò a
toccare il cuore di un mangiapreti toscano, un miscredente autore, niente meno,
che del famigerato "Inno a Satana", di quel Giosué Carducci - poi
divenuto un "innamorato della Madonna" negli ultimi anni di vita -
allorché fu colto da una gran nostalgia e da una profonda commozione quando
sentì il doppio di una campana della Romagna che suonava l'Ave Maria:
"Salve chiesetta del mio canto. A questa / madre vegliarda, o tu,
rinnovelata / itala gente dalle molte vite / rendi la voce / de la preghiera:
la campana squilli - ammonitrice: il campanil ritorto / canti di clivio in
clivio alla campagna / Ave Maria..."
Del resto chi è che non ricorda quando,
bambini, ascoltavamo le note di " San Martino campanaro / dormi tu? Dormi
tu? / suona le campane, suona le campane/ din ! don ! dan! din! don! dan!"
o quando - e quanti, quanti anni son passati - ragazzini aspettavamo il sabato
sera, il giorno in cui ci era concesso di assistere al Musichiere, lo
spettacolo musicale condotto da Mario Riva, che si concludeva con la sigla di
quella bella e famosa canzone che ci faceva vivere la gioia della vigilia
festiva e assaporare il mattino della festa: " Domenica è sempre domenica
/ si sveglia la città con le campane/ al primo din don sul Gianicolo /
Sant'Angelo risponde din don dan!"
Il nostro Giorgio Batini fece il verso
al romanzo "Per chi suona la campana" e pubblicò, il suo "Per
chi suona la Toscana" in cui scriveva: "I bronzi dei campanili hanno
suonato, nei secoli, per la nascita, i prodigi, la salita al cielo di un grande
popolo di Santi (...) hanno suonato nei secoli, per chiamare a raccolta i
cittadini a difendere i liberi comuni, le libere Repubbliche, le istituzioni
democratiche. Quello delle campane era un suono che dominava su tutti gli altri
suoni cittadini, dato il gran numero di bronzi che ornavano i campanili e le
torri civiche vantato da ogni città (...) i bronzi della Toscana hanno suonato
per i riti della fede, per le ore del lavoro, per la legge e la giustizia, per
la salvaguardia dei beni, per la difesa della libertà..." (Cfr. Giorgio Batini
in "Per chi suona la Toscana" Edizioni Polistampa, Firenze 2007)
E le campane nel nostro Mugello? Ce ne
parla il professor Rino Gori, di Rignano, già Preside nelle Scuole della
Toscana, in una sua lettera del 2005 dove commentava il libro di Pucci Cipriani:
"L'altra Toscana: Diario di un Conservatore" e che l'autore ha
pubblicata in un altro suo tomo del 2013:
Caro Cipriani, il Suo libro
"L'Altra Toscana: Diario di un Conservatore" è molto bello e si legge
con molto piacere per i ricordi che suscita, per le speranze che abbiamo
cullate (....) io sono con Lei fin dalle prime pagine. Quando Lei vide la luce
a Borgo San Lorenzo, io avevo diciassette anni. Allora dimoravo nei pressi di
Monte Senario, frequentavo molto spesso il convento dalla cui cisterna si gode
una bella vista sul Mugello, con in primo piano il panorama di
"Borgo".
A quell'epoca i paesi di campagna si
somigliavano tutti sotto certi aspetti: chi può dimenticare, infatti, i
rintocchi delle campane che ci richiamavano alla preghiera a quasi tutte le
ore? Ci invitavano a recitare l'Angelus Domini tre volte al giorno: All'Ave
Maria dell'Alba, a Mezzogiorno, alle "ventiquattro" (al tramonto).
Alle ventuno del venerdì venivano a ricordare l'Ora della Redenzione (Morte di
Croce). Alle ventitré ci esortavano a recitare il Credo. All'"un'ora"
(prima della notte) ci ammonivano di pregare per i poveri morti. Alla vigilia
delle feste solenni le campane suonavano a distesa a distanza di ogni ora,
rallegrando i nostri pomeriggi e i nostri animi....e poi ogni tanto quel suono
"a morto" che annunziava che uno di noi se n'era andato e che
bisognava pregare per lui e per i suoi familiari, quindi ancora la campana con
i mesti rintocchi dava l'ultimo addio ("ad Deum" ovvero un "ci
rivedremo" al cospetto di Dio); e quel suono era triste e consolatorio a
un tempo (...)
Il suono delle campane evocava tanti
sentimenti e tanti ricordi. Neri Tanfucio (alias Renato Fucini), al rintoccar
di non so quali campane, pensava ai suoi morti, al Ceppo, alla Befana ed agli
anni suoi che erano passati "a volo": si metteva il capo tra le mani
e avrebbe baciato la fune delle campane ma poi concludeva con un'inaspettata e
dissacrante battuta:
Però non so capì, Dio mi perdoni
come diavolo mai faccino i preti
a trovare 'r coglion che gliele suoni
(Cfr.
Pucci Cipriani in "La Memoria negata: appunti per una storia della
Tradizione in Italia", Solfanelli, Chieti 2013)
Già, ma ora non c'è più bisogno del
campanaro ( e quanto rimpianto per quelle figure caratteristiche ormai
scomparse!) e certo, davvero, non si sarebbe trovato - neanche con la
manovalanza "a basso prezzo" e " a termine" come oggi - chi
potesse suonar "la squilla della sera / che dolcemente invita alla
preghiera", come recita una bella laude mariana, come non si troverebbe
chi potesse suonare "a morto", con il rintocco triste, o "a
distesa"...ora basta girare una chiavetta, e le campane "vengono
programmate" per suonare quando si vuole e ciò che si vuole e, del resto,
grazie alla tecnica, il suono delle campane non è scomparso (anche se il suono
non è melodioso e squillante come un tempo!) e stupisce come, ad esempio a
Borgo San Lorenzo i morti non ricevano più dalle campane, ovvero dal campanile
sotto il quale hanno vissuto, quell'ultimo saluto. Lo ricevono invece nella
chiesa del SS. Crocifisso che, pur non avendo il campanile, ha un sacrista
"con i fiocchi" nella figura di Graziano Melara che rimedia
mandandoci il suono, molto suggestivo, registrato. Questo voler togliere i
simboli della morte, il rifiutare di "addomesticarla" come si faceva
un tempo, ma cercare di "nasconderla" come si nasconde la polvere
sotto i tappeti, non è che un ritorno al paganesimo; oggi la morte è
"scandalosa", si preferisce non parlarne, cambiare discorso,
"ghettizzare" i parenti del defunto, che creano imbarazzo, cercare di
nasconderla, abolendo l'uso dei paramenti neri o del suono delle campane.
Philippe Ariès, forse il più importante
storico francese, in un suo importante studio, afferma che facendo così si fa
una grande confessione di impotenza: "Non ammettere l'esistenza di uno
scandalo (...) fare come se non esistesse, e quindi costringere senza pietà le
persone accoste ai morti a tacere. Un pesante silenzio si è venuto così a
distendere sulla morte... (e) questo atteggiamento non ha annientato né la
morte né la paura della morte: Al contrario ha lasciato che tornassero
subdolamente vecchi elementi selvaggi sotto la maschera della tecnica della
medicina. La morte all'ospedale, irta di tubi, sta diventando oggi più terrificante
del cadavere in decomposizione o dello scheletro delle retoriche macabre"
(Cfr. Philippe Ariès: "L'uomo e la morte dal Medioevo a oggi" - Oscar
Mondadori, Milano 1980, pp. 730 -731)
Quanto più bello e umano dunque non
"nascondere" la morte, ma anzi, annunziarla con il suono delle
campane!
Ricordo, a questo proposito, il giovane
fiorentino Paolo Bartalesi - studente ginnasiale nel Liceo classico Galileo -
deceduto a sedici anni, in odore di Santità, che, proprio dal Monte Senario,
ove si trovava per gli esercizi spirituali, avvinto dalla misticità del luogo e
dalla bellezza del paesaggio, sentiva i rintocchi mesti della campana che
suonava "a morto" nella "verde vallata del Mugello" e
componeva così, pochi mesi prima della sua morte per un incidente della strada,
questi suoi versi, che furono anche gli ultimi:
Non
so perché quando campana suona,
leggo
alcunché di bello e vedo il cielo,
a
gran mestizia il cor mi s'abbandona;
..............................
.............................. .....
"Domine"
dice, "Exaudi vocem meam!"
chi
nel bisogno trovasi; chi teme:
"Domine"
dice, "exaudi vocem meam!"
Abbi
pietà, Signor, del nostro seme
..............................
.............................. ...........
"requiem
aeternam", riposo verace,
da'
lor Signore, e fa' che luce eterna
risplenda
ad essi, riposino in pace.
(Cfr. Tito Casini in "Paolo
Bartalesi, studente fiorentino", SEI 1959)
Spero anch'io di poter domandar ancora
"Per chi suona la campana" del Longobardo campanile - ora che, da
tanti anni, non ha più suonato -, fino quel giorno che la gente dirà che ha
suonato per me.
Gaddo
de Grandville
Fonte : "Il
Galletto" Giornale del Mugello e della Val di Sieve dal 1986! del 14 -
ottobre 2017.
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