Quella di Pucci Cipriani è un'opera dal contenuto STORICO-STRIOGRAFICO, di una storia personalissima ma anche di una storia che è di tutti noi.
Dall'espediente IRONICO; l'ironia non è una mancanza di serietà, ma un tratto caratteristico del fare di Pucci, che da un lato smaschera il nemico e dall'altro rende gioviali anche le prese di coscienza più amare su un tempo che pare aver dimenticato ogni bellezza
Dal tenore AFFETTUOSO
Don Giussani, ad un ragazzo comunista che voleva fare la storia con la rivoluzione, disse: "Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell'uomo"; Pucci racconta di fatti e di vissuti che hanno fatto la storia dell'uomo più di tanti eventi macro di cui si occupa la storiografia ufficiale; non si può spiegare la storia del nostro passato senza la Messa di sempre, senza i rosari, senza ciò che animava il vivere, il morire, il fare, il lavorare degli uomini.
Ma la storia ha un nesso evidentemente molto forte con la Tradizione; per Chesterton la Tradizione è "la democrazia dei morti", ossia la possibilità di decidere, di essere, di giudicare, non a partire dall'ondivago sentimento di quel che siamo noi presenti oggi in terra, ma a partire dal giudizio e dall'amore di quelle innumerevoli generazioni che ci hanno preceduto consegnandoci ciò che di caro abbiamo oggi, dalle piazze ai ponti alle usanze alle processioni. La storia si fa quindi metodo per l'unica democrazia possibile, che non è quindi la volontà della maggioranza ma l'affermarsi della Tradizione vera, la Santa Tradizione.
Chesterton ci introduce anche al secondo tratto, quello dell'espediente ironico; ironia così tipica di Chesterton, e così tipica di Pucci.
In Pucci diventa come la forma letteraria della dimostrazione per assurdo: assunzione dell'ipotesi nemica, sviluppo coerente del discorso fino a mostrare come l'ipotesi avversata conduca al ridicolo. E questo si vede nella rappresentazione plastica di tali "ipotesi", che nel nostro presente più che ipotesi sono realtà effettuali; rappresentazione plastica della trivialità che abita il nostro tempo, nelle mammine preoccupate che i figli possano essere feriti dal riflettere sui Novissimi, ma altrettanto tranquille nei confronti della pornografia che abita i loro telefoni cellulari; o nelle gonnelle che prima sdottoreggiano al leggio e poi ti danno la Particola senza che si sappia bene cos'han toccato prima, come in una sgangherata commedia in cui tutto si palesa fuorché il senso della ritualità e della presenza reale del Signore.
Infine questo nuovo libro di Pucci Cipriani è un'opera dal tenore affettuoso, come potrete facilmente capire leggendola, tra pagine che così facilmente portano alla commozione e alle lacrime. Per una nostalgia che è dell'anima e non solo legata al fatto che il tempo andato sia in quanto tale, appunto, andato. Anche chi, come me, buona parte delle cose narrate nel libro non può averle neanche vissute, per ovvi motivi anagrafici, potrà commuoversi alla rappresentazione di sì tanta bellezza, in luogo della quale oggi si ha sì tanta bruttezza.
Pucci racconta storie affettuose, che toccano le nostre corde più profonde facendole struggere di desiderio per quella bellezza, e dimostra anche che il cristianesimo non è innanzitutto un ragionamento, ma una storia che ci muove e commuove. I personaggi del libro non sono perlopiù esperti di teologia, ma soggetti coinvolti da una ritualità, da una storia, da degli accadimenti e da uno sguardo capaci di integrarci in una vita più grande, più bella, oserei dire divina, nonostante tutta la cattiveria dell'uomo.
Il mondo di oggi è un mondo al quale Pucci sente di appartenere sempre meno. Con analoga intuizione Mons. Luigi Negri l'anno scorso dichiarava che l'unità della società italiana è oramai contro Cristo e contro la Chiesa. Di questo dobbiamo prendere atto, perché se è vero che ogni momento della storia è occasione favorevole per la nostra battaglia e per la nostra e altrui salvezza, non è però vero che tutti i momenti della storia siano altrettanti intrisi di verità e di bellezza. Non si tratterà quindi di chiudersi in una nostalgia disperata, e l'ironia a cui Pucci mai rinuncia è proprio l'indice di quella giovialità invincibile che è propria degli amici di Cristo. Si tratterà invece, nel prendere atto che una certa bellezza nel mondo c'era e non c'è più, e che siccome il cristianesimo è per sua natura non intimista ma produttore di civiltà, produttore di carne, di modi dell'esistere storico in cui possa la verità di sempre rifulgere della Maestà Divina (si pensi alla dimenticata Regalità Sociale di Cristo), di pregare e fare perché la bellezza in questo testo cantato torni ad essere storia. Non è una disperazione che lascia addosso questo libro, ma una nostalgia desiderante, una nostalgia belligerante, una nostalgia produttrice -ancora- di civiltà cristiana.
A Pucci Cipriani, quindi, il merito di farci desiderare così tanto le cose di lassù, vissute già quaggiù come le vivevano i nostri nonni, "quando ancora c'era la Fede e si pregava in latino".
Lorenzo Gasperini
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