Pietro Golia
se n'è tornato lassù alla "Patria sua" come amava chiamare il Regno
di Napoli, quel suo Regno tanto amato del quale manteneva vive le radici
storico-culturali con convegni, feste, conferenze, eventi culturali, con la
pubblicazione di libri con la sua associazione culturale e casa editrice
Controcorrente ... ed era davvero un uomo controcorrente e ogni occasione era
buona perché lui potesse "gridare" le ragioni della sua battaglia di
una vita, per ribadire che i Borboni non sono stati una dinastia oscurantista e
retrograda, come gli storici sabaudi e i loro successori hanno stabilito per
legittimare quella pagina vergognosa e sanguinosa che fu la Conquista del Sud e
che il Brigantaggio non fu un fenomeno criminale ma una resistenza popolare all'esercito
piemontese invasore.
Sì, a Pietro
Golia e alla sua casa editrice "controcorrente" si devono molti studi
seri sul Brigantaggio; lui stesso è stato una delle "penne" — Pietro
fu anche scrittore e giornalista — che riscoprì il "pensiero ribelle"
contro la "cultura omogeneizzante delle multinazionali", come lui
diceva.
Lo conobbi
nel 1981, a
sei mesi dal terremoto che devastò l'Irpinia e ampie zone della Campania con la
città di Napoli quando, con Guido Giraudo, direttore responsabile di
"Candido" — io ero vaticanista e inviato speciale di quel settimanale
a grande tiratura — iniziammo una campagna giornalistica contro
l'amministrazione del sindaco comunista Valenzi che, approfittando del
terremoto, con l'appoggio dei media e dei partiti — non esclusa la Destra
almirantiana — pronti al compromesso, cercò di cambiare la struttura
sociopolitica della città, con la deportazione della popolazione del centro
storico a Pianura.
Insomma anche
Pietro Golia, allora a capo di una Radio libera, particolarmente ascoltata, a
fianco di noi del "Candido", si battè contro la deportazione di
decine di migliaia di napoletani fuori dal centro storico e dalla cinta urbana,
secondo un progetto — studiato a tavolino dalla Giunta rossa di Valenzi —
presentato come doveroso e ineludibile, di sapore illuministico e
"Polpottiano", degli epigoni dei nobilastri giacobini di Napoli che
nel 1799 si schierarono con la Rivoluzione e l'esercito francese contro la
popolazione che resisteva con le armi.
Sì, fu una
grossa battaglia la nostra — e Golia, prima restio, capì che era anche la sua
battaglia — contro il progetto comunista e l'acquiescenza della cartilagine
democristiana e della neutralità missina, che con la scusa di creare nuove e
moderne aggregazioni urbane e civili in località e in comuni più qualificati e
più interni della Regione, per (udite!) demolire finalmente: "le
resistenze di quella cultura del sottosviluppo che viene utilizzata
demagogicamente da forze avventuristiche ed eversive... (per ) la modificazione
dell'attuale assetto ...".
In altre
parole: ridisegnare, con la deportazione degli abitanti, l'assetto
sociopolitico del centro storico e dei Quartieri dove la DC e, soprattutto, la
Destra, avevano la maggioranza dei consensi.
Ricordo
ancora i manifesti di “Controcorrente” e quelli del “Candido” con il "No
alla deportazione.
Ecco questo è il Golia che io rammento
volentieri, come ricordo volentieri le sue numerose "puntate" a
Civitella del tronto, dove, coaudiuvato dal fratello Carmine e dal fido Andrea
Finocchito, portava le ultime sue novità librarie insieme a tanti altri libri
della Tradizione... e qualche volta ci scontravamo, amichevolmente, sul senso
dal dare alla parola Tradizione. E di fronte a un Pietro Golia
"tollerante" tanto da mettere in vendita nel suo disordinato negozio
dei vicoli di Toledo — un disordine creativo fatto da pile di tomi, da mucchi
di giornali, cartoline commemorative, manifesti storici — alcune opere della
falsa tradizione: Evola, Guenon, Alain de Benoist, e altri scrittori della "Nuova
Destra" del GRECE, animalista, abortista, eutanasica, anticattolica e
antiumana.
Ma erano
discussioni, ripeto, amichevoli e passeggere perché a Pietro mi univano e ci
univano innanzi tutto l'amore per la Terra del Sud, per il glorioso Regno delle
Due Sicilie, per l'ammirazione verso i due ultimi sovrani Sofia e re Francesco
II (Dio guardi), mi univa anche la sua passione "culturale" per il
"campo dei ribelli" e per la cultura napoletana che ebbe i suoi aedi in
francisco Elias de Tejada, Silvio Vitale e Pino Tosca; mi univa con Pietro
anche il disprezzo per la Modernità; ricordo che lui mi diceva "Pucci io
mi rifiuto di parlare con una macchina" e rifiutava di rispondere alla
segreteria telefonica... e lo diceva a me che mi rifiutavo (fino a pochi anni
fa) di imparare a usare il computer, restando fedele alla mia penna d'oca con
il pennino d'oro e l'inchiostro stilografico. I nostri rapporti erano raramente
telefonici, quasi sempre epistolari. E anche questo non è un dettaglio.
Quest'anno lo
saluteremo, domenica 12 marzo 2017, "alla voce" durante
l'Alzabandiera presso la Rocca della "Fedelissima" Civitella del
Tronto e io lo rivedo ancora pensoso, passeggiare, pieno d'idee come un
vulcano, per i vicoli della "nostra" Civitella, ora che ha preceduto
alla "Patria nostra".
Pucci Cipriani
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