La nobile Destra
Nati per combattere, dalla “Sapienza” a “Regina Coeli” (Tabula fati, Chieti
2020), di Duilio Marchesini e Giancarlo Scafidi, è il romanzo-verità che
dovrebbe essere letto e divulgato soprattutto fra le nuove generazioni per la
grande carica educativa che va oltre il resoconto degli scontri di piazza iniziati
nel fatidico ’68. Si tratta della ristampa di un libro che ebbe nel recente
passato una grande accoglienza, ma solo per i pochi che erano a conoscenza
degli avvenimenti e delle qualità dei loro Autori.
Era l’epoca degli scontri fra studenti
di Destra e di Sinistra per l’occupazione di questa o quell’aula universitaria;
per un’incursione nel ritrovo (“covo”) degli uni o degli altri; per il primato
degli uni o degli altri nella conquista di un muro o di una lavagna da usare
come sito di pubblica comunicazione politica.
Era l’epoca in cui gli studenti «contestatori»
venivano alimentati nelle aule universitarie e scolastiche da maestri e pensatori
engagés, impegnati in una feroce
lotta atea e laicista contro il «sistema» personificato nelle istituzioni,
prima fra tutte la scuola e poi lo Stato, la famiglia, la Chiesa.
Gli studenti traducevano poi il
veleno ricevuto in slogan che facilmente si trasformavano in atti e fatti fisici
anche pericolosi.
La generazione che li ha vissuti li
ricorda come una serie di battaglie di una guerra infinita fatta anche di morti
e feriti nel nome di opposte ideologie.
Ma il discorso si fa diverso con
Marchesini e Scafidi e il loro gruppo di allora: questo manipolo di studenti e
di neolaureati pensava e agiva oltre le ideologie, e con straordinaria
preveggenza aveva intuito che il nulla che avanzava con le ideologie marxiste (si
parlava allora, a Sinistra, di marxismo, di leninismo, di trotzkismo, di
castrismo, ogni strada verso il nulla era buona) era prima morale e poi
politico e che in questo processo di dissoluzione anche la Chiesa del Vaticano
II aveva le sue grandi responsabilità.
Tutto si è avverato. Il decennio
successivo portò la legge sul divorzio, e poi quella sull’aborto, e con esse si
avviò il processo di dissoluzione progressiva della famiglia, dei valori
patriarcali e gerarchici in genere. In concomitanza, o forse anche un po’
prima, l’effetto dissolvente del Concilio aveva colpito la Chiesa nella sua
liturgia, nella sua ecclesiologia e nel suo magistero, dal cattolicesimo si transitava
lentamente, quasi senza accorgersene, al simil-protestantesimo e alla chiesa
ambientalista-neoterica di oggi.
Duilio Marchesini è venuto a
mancare nel gennaio di quest’anno ma il messaggio che ci ha lasciato insieme
all’amico Scafidi è che quegli scontri di piazza segnavano il principio della
regressione a una non-civiltà, a un caos istituzionale e familiare
incontrollabile, dagli sviluppi estremamente pericolosi soprattutto sotto il
profilo della deriva morale da una parte, e religiosa dall’altra.
Nati
per combattere affronta in una prima parte il resoconto minuzioso e
avvincente di quegli anni di scontri politici, che segnarono per sempre quei
ragazzi di allora imprimendo loro una memoria quasi fotografica di luoghi,
date, nomi degli avversari. Una memoria che in certe pagine sa anche di
rimpianto, forse perché gli antagonisti di allora si ritrovavano oggi in
posizioni obliate, magari di rilievo, di fortuna sociale, come se la gran parte
di loro avesse perduto quella sorta di innocenza antica che accomunava tutti
gli studenti di allora, destri e sinistri, cioè quello di essere scesi in
piazza, nelle strade, nelle facoltà e di non aver avuto paura dell’azione
politica vera e propria, quella di fatto.
Il «di più» di Marchesini e Scafidi
e dei loro amici, o per meglio dire commilitoni, era la fede: come per il
cavaliere antico la fede era lo scudo, così per Marchesini e Scafidi e gli
altri la fede è stata lo scudo che li ha accompagnati anche nelle vicende di
piazza, tanto che molte di quelle imprese furono determinate dall’esigenza di
ribadire o far rispettare presso tutti quei principi e segni di fede che venivano
comunemente calpestati, come i crocifissi delle aule frantumati in odo del
cattolicesimo.
Non era certo comune trovare in quei
tempi un gruppo di amici sodali nell’azione ma ancor più uniti nella preghiera.
Perciò l’analogia con la cavalleria medievale mi è sembrata la più consona a
definirli e ad apprezzare ancor di più la loro coerenza d’azione.
Una coerenza che li ha portati a
salire più volte “i tre gradini” di Regina Coeli – indice di romanità –
scrivono gli Autori: ed indice di grande nobiltà, aggiungo, poiché quei
gradini, sia Marchesini che Scafidi li salirono e li ridiscesero più e più volte
ma sempre per motivi politici che mai erano scissi da rivendicazioni di
carattere fideistico-religioso.
Tutta la parte centrale del romanzo
è dedicata a una di queste detenzioni, e al modo in cui i due amici per la
pelle la affrontarono: l’affidamento al Signore e alla Vergine al loro ingresso
nelle celle, le lezioni che subirono e gli insegnamenti che seppero dare agli
altri detenuti, ma anche alle stesse guardie carcerarie; la figura altrettanto
nobile e degna del cappellano del carcere; i tre fraticelli della ilare Chiesa
conciliare anch’essi detenuti a vario titolo e subito “rieducati” al rito romano
tradizionale dai due amici; lo scontro coi boss di Regina Coeli; la droga e la
corruzione imperversanti in tutti i bracci del carcere romano, come del resto
in ogni altro carcere; l’oltraggio all’altare della Messa di Regina Coeli
durante una rivolta dei detenuti e l’intransigente difesa da parte dei due;
l’incontro in carcere col Sottosegretario alla Giustizia del tempo, voluto e
stimolato dai due amici incarcerati al fine di ottenere un miglioramento delle
condizioni di tutti.
Ma soprattutto vi si trovano alcune
bellissime pagine dedicate alla riflessione su passi del Vangelo di Giovanni
svolte dai due poveri carcerati in una indimenticabile gelida notte a Regina
Coeli dopo esser passati dall’inferno della cella di punizione, in un quadro di
grande misticismo che rivestiva questi due giovani amici come il saio dei
monaci-soldati medievali.
In generale, si trovano in questo
romanzo tutti gli elementi per una riflessione sulla società e sulla politica
di quegli anni ma mai in svolta in modo da appesantire un racconto che si
mantiene sempre agile ed allegro, anche nei momenti in cui si racconta della
privazione del bene più grande per un uomo, della libertà, sia quella di
pensiero che quella fisica. Per questi motivi, il racconto di Marchesini e di
Scafidi non correrà mai il pericolo di essere datato, perché lega il
contingente all’Assoluto e il frutto è quell’esperienza storico-mistica che fa
dei due amici i due protagonisti di una storia vera e appassionante, da leggere
d’un fiato, e insieme di una storia autentica del ritrovarsi comune in Dio.
Perciò mi sento di dire che questo
romanzo lascia una traccia profonda, tanto più ora che Duilio Marchesini - il
“cazzotto di Dio” come veniva allora chiamato, ma anche professore due volte
laureato, cattolico tradizionalista, artista, scrittore, membro dell’Opus Dei –
ci ha lasciato, ed ha lasciato all’amico Giancarlo Scafidi il compito di
continuare a testimoniare forse in un mondo ancora più duro, più spietatamente
laico e più pericoloso dei romantici anni Settanta.
Giovanni
Tortelli